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Uccisa dal marito. Assolti in appello a Messina i Pm ritenuti responsabili civili per inerzia. La norma

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Era stata riconosciuta in primo grado la responsabilità civile dei Magistrati rimasti inerti nonostante le 12 denunce della donna poi uccisa.

Il Tribunale civile di Messina aveva condannato in primo grado due ex Pm della Procura di Caltagirone per non avere garantito la tutela di una donna, Marianna Manduca, uccisa nel 2007 a coltellate dal marito a Palagonia, località in provincia di Catania, nonostante la vittima avesse presentato ben 12 denunce nei confronti dell’uomo prima di essere assassinata.

Il processo era stato intentato dal padre adottivo dei ragazzi, Carmelo Calì lontano cugino della donna uccisa, che viveva a Senigallia in provincia di Ancona con la moglie e tre figli, il quale aveva chiesto l’adozione di quei tre ragazzini nonostante non li avesse mai conosciuti prima. Il processo ha dovuto passare da un giudizio di ammissibilità che va richiesto nel caso di responsabilità dei magistrati. L’ammissibilità della richiesta era stata rifiutata dal Tribunale di Messina, poi dalla anche Corte d’Appello del medesimo distretto per poi giungere alla Cassazione che ha invece bocciato le Corti messinesi. Solo pertanto dopo la sentenza della Cassazione che ha accolto la richiesta dei legali Alfredo Galasso e Licia D’Amico del Calì, il processo ebbe avuto inizio e il 7 giugno il Tribunale di Messina di primo grado ha depositato la sentenza riconoscendo la responsabilità negli ultimi sei mesi di vita di Marianna della magistratura.

La Corte di primo grado decretò che c’era stato dolo e colpa grave nell’inerzia dei Pm che, dopo i primi segnali di violenza da parte del marito, non avevano trovato il modo di fermarlo. Se i primi segnali della escalation di violenza potevano essere incolpevolmente sottovalutati, così non poteva essere dopo le prime denunce formali, le testimonianze, il racconto della vittima, minacciata chiaramente di morte dal marito che le aveva mostrato il coltello, lo stesso con la quale poi ha messo fine alla sua vita. La sentenza riconobbe la responsabilità civile del Magistrati in causa per i isoli danni materiali, non per quelli morali patiti dai tre figli piccoli della coppia. Al loro padre adottivo, piccolo imprenditore edile di origini catanesi trapiantato a Senigallia, era stato riconosciuto il ristoro economico per le tante difficoltà affrontate in questi anni per essersi fatto carico di tre ragazzini che vanno ad allargare il nucleo familiare, in un periodo di crisi economica, non è cosa di poco conto.

Quello della trentaduenne Marianna Manduca era stato il tipico caso di morte annunciata visto che la donna aveva denunciato molteplici volte le minacce e violenze subite del marito, il quale aveva anche problemi di droga e che alla fine l’ha uccisa con sei coltellate al petto, ferendo anche il padre della donna intervenuto per difenderla. Poi era andato a costituirsi consegnando il coltello agli investigatori. La stessa arma che aveva mostrato continuamente alla donna dicendo: “Io con questo ti ucciderò“.

A risarcire i tre figli della donna, che oggi hanno 17, 15 e 14 anni, doveva essere secondo la legge sulla “responsabilità dei Magistrati” la Presidenza del Consiglio dei ministri che avrebbe dovuto sborsare quasi 300mila euro. L’assassino, Saverio Nolfo, fu invece condannato a 20 anni e oggi sta scontando la condanna. Per il Tribunale, che ha applicato la norma sulla “responsabilità civile dei magistrati”, questi ultimi non avrebbero fatto quanto in loro potere per evitare l’omicidio. La Presidenza del Consiglio, per legge, poteva rivalersi sui Magistrati in causa.

A settembre del 2017, Il viceministro Enrico Morando, PD, aveva risposto in Aula a un’interpellanza urgente della deputata Maria Edera Spadoni, M5s e garantito che sarebbero stati versati i quasi 300mila euro stabiliti dalla sentenza ma contemporaneamente è stato presentando ricorso contro la sentenza di primo grado.

 

 

Adesso è giunta la Sentenza di Appello del Tribunale di Messina, composta da Ventuno pagine per descrivere il senso di totale impotenza della Magistratura (in quel caso la Procura di Caltagirone) davanti alle suppliche di aiuto di Marianna. E per smentire la decisione di primo grado che invece aveva parlato di «grave violazione di legge con negligenza inescusabile» nel «non disporre nessun atto di indagine rispetto ai fatti denunciati» e nel «non adottare nessuna misura per neutralizzare la pericolosità di Saverio Nolfo». Il giudizio d’appello, invece, sostiene che la Procura fece il possibile date le leggi del momento (ancora non c’era la legge sullo stalking). Scrivono infatti i Giudici di secondo grado che — è vero — non fu eseguita la perquisizione e quindi non era stato sequestrato il coltello, ma le due non-azioni, appunto, non sarebbero bastate a scongiurare il peggio. Per i maltrattamenti e le minacce di morte era previsto anche allora l’arresto (quello sì che avrebbe scongiurato il delitto) ma i comportamenti di Nolfo non furono interpretati all’epoca, e non lo sono in questa sentenza, come gravi: «Non consentivano l’applicazione della misura cautelare». Nemmeno quando lui accolse Marianna mostrandole un coltello a serramanico con il quale finse di pulirsi le unghie. Nessuna responsabilità quindi significa niente risarcimento.

Il padre adottivo, Carmelo Calì, il cugino di Marianna che, già padre di due figli, subito dopo l’omicidio aveva adottato i tre bambini, ha dichiarato dopo la sentenza che “se la Cassazione non rivedrà il giudizio per i miei figli sarà la rinuncia al futuro che avevano sperato, per esempio all’università”.

I suoi avvocati, Licia D’Amico e Alfredo Galasso, si dicono “sconcertati” e parlano di una Magistratura che “dovrebbe riflettere su questa permanente tendenza all’autoassoluzione”.

La Vicepresidente della Camera e deputata di Forza Italia, Mara Carfagna, si dice “incredula e indignata per la sentenza” di secondo grado che impone ai “tre orfani di Marianna Manduca di restituire la già misera somma che il Tribunale di Messina aveva previsto a loro risarcimento”. “La Corte d’Appello – aggiunge Mara Carfagna – dice quindi agli orfani, e a tutti noi, che quel femminicidio non poteva essere evitato, denunciare i violenti è vano”. “Non è mio costume mancare di rispetto alla magistratura – sottolinea Mara Carfagna – ma non posso astenermi dal dire che questa è l’ennesima beffa verso chi è vittima di violenza eppure trova il coraggio di denunciare, e soprattutto verso i più fragili, i più indifesi: gli orfani che hanno visto la madre uccisa dal padre.

Di “sentenza inaccettabile” parla la presidente del Telefono Rosa Nazionale, Maria Gabriella Carnieri Moscatelli che “non accetta che tre ragazzi orfani della mamma, con il padre che ha tolto loro l’affetto più caro e li ha lasciati soli senza mezzi di sussistenza vengano nuovamente colpiti da parte di chi dovrebbe aiutarli a vivere e a crescere in un paese sensibile ai più deboli. La Corte di Appello di Messina ha annullato il risarcimento di 259mila euro riconosciuti ai tre figli minorenni, orfani di femminicidio di Marianna Manduca. In pratica lo Stato potrebbe richiedere la restituzione di quanto già riconosciuto nella sentenza”.

La richiamata normativa contenuta nella L. 117/1988, conosciuta anche come legge Vassalli, contiene le disposizioni relative alla responsabilità civile dei magistrati ed in particolar modo, al risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie dei magistrati. L’art. 1 chiarisce che vi è la possibilità di adire in giudizio lo Stato al fine di sentirlo condannare al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale cagionato da un comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato nell’esercizio delle sue funzioni. Tale azione è tuttavia subordinata alla circostanza che il danno subito sia ingiusto e che l’azione dell’organo giudicante sia stata posta in essere con dolo o colpa grave. E in ogni caso, “nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove”. A tal proposito, si ricorda che le ipotesi di colpa grave sono le seguenti: la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea; il travisamento del fatto o delle prove; ovvero l’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento o la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento; ovvero l’emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dai casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.

Adduso Sebastiano


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