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hiuse le urne parte la chiamata al popolo. L’inizio è molto acceso. De Magistris-Zapata vuole fare di Napoli «un soggetto politico di liberazione contro il sistema politico oppressivo, mafioso e liberista». Ma, aggiunge il sindaco, «di questo movimento parlerò dal 20 giugno». Fino al ballottaggio proverà a conquistare i voti degli astenuti – a Napoli un cittadino su due – degli elettori del Pd e dei Cinque Stelle. Può darsi che, per convincere gli indecisi, il vincitore del primo turno usi toni più morbidi. Tuttavia se de Magistris avrà la meglio su Gianni Lettieri del centrodestra, circostanza allo stato molto probabile, la “rivoluzione della bandana” entrerà nell’ultimo, più avanzato, stadio. Il sindaco smentisce la candidatura alla guida di palazzo Chigi nel 2018, ma due anni sono un tempo lungo e tutto può accadere. Lui scorge davanti a sé l’agognato mare aperto della politica nazionale e non vede l’ora di tuffarcisi. Ha già provato con Ingroia e gli è andata male. Ritenterà, ha legittime ambizioni di leadership della sinistra. Intanto assapora la vittoria al primo turno.
Forse in cuor suo il sindaco ringrazia Matteo Renzi per avergli dato una insperata, ancora maggiore visibilità. Uno degli aspetti di queste elezioni cittadine è: ha fatto bene il presidente del Consiglio ad impegnarsi in prima persona nella campagna elettorale a Napoli, fin quasi a sembrare lui stesso il candidato al posto di Valeria Valente? Lo scontro diretto con de Magistris non ha dato una maggiore visibilità a quest’ultimo, elevandolo al grado di avversario diretto del premier e galvanizzando così il suo elettorato più radicale? Il mantello iperprotettivo di Renzi e dei ministri giunti a Napoli in gran numero, non ha oscurato il profilo già poco distinguibile della Valente?
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È possibile che il capo del governo si sia sovraesposto, sbagliando. È sembrata una sproporzione di forze: mezzo esecutivo romano contro il paladino di una città in crisi. La retorica di «Davide contro Golia» e dei «poteri forti» a quel punto era inevitabile ed ha avuto facile presa su ampie fasce di cittadini scontenti. L’impegno per Bagnoli è molto positivo, ma non doveva diventare terreno di scontro elettorale, assecondando la strategia conflittuale del sindaco.
L’interrogativo è: al punto in cui erano giunte le cose, Renzi poteva agire altrimenti? No, non poteva, perché l’errore era già stato commesso a monte, nella scelta tardiva della candidata e ancor prima, nei cinque anni precedenti di finta opposizione del Pd all’amministrazione comunale. L’alternativa ad Antonio Bassolino andava costruita molto prima che questi scendesse in campo, coinvolgendolo nella discussione per individuare la personalità migliore da candidare al Comune.
Bassolino non era la soluzione, così come non lo era la Valente. Occorreva uno sguardo nuovo per disancorare il Pd dalle secche dell’eterno scontro intestino. Ma un partito che non riesce a trovare neppure un nome per governare la terza città d’Italia può ancora dirsi partito? Si può andare avanti tappando le falle, lasciando ad altri le battaglie sui diritti e l’impegno sulle grandi questioni urbane?
L’alleanza con “Ala” di Denis Verdini si è rivelata indigesta per gli elettori progressisti. Ha dirottato il voto democratico parte nell’astensione, parte verso lo stesso de Magistris. Una metropoli come Napoli non può essere messa in agenda negli ultimi mesi utili prima del voto. Merita una discussione aperta e lenta, un grande lavoro di ascolto. C’era tutto il tempo per farlo.
La Valente ha affrontato dunque una triplice corrente contraria – scarsa visibilità politica, l’opposizione di Bassolino, l’alleanza con Verdini – e a Renzi non è rimasta altra scelta che affiancarsi a lei in campagna elettorale. Forse le ha permesso di guadagnare qualche punto, da sola la Valente avrebbe perso ancora di più. Ma la sconfitta, in virtù dell’impegno diretto e quasi obbligato del premier, si è riverberata anche su di lui. Una leadership, per quanto carismatica, non può sostituire l’assenza di lavoro politico.
Adesso il segretario provinciale Venanzio Carpentieri sarà sostituito da un commissario, ha commesso molti errori. Tuttavia è l’intero gruppo dirigente napoletano, parlamentari compresi, che non si è rivelato all’altezza della sfida. Neppure Super Matteo ha potuto coprire un simile rovina.
I Democratici napoletani sono stati spazzati via dal voto e ora il partito dovrà essere rifondato. Idee nuove, volti nuovi, ma davvero. Il primo banco di prova sarà il ballottaggio. Lettieri, mantenendo una cauta distanza da Forza Italia e ribadendo spesso la sua amicizia con Renzi, ha tenuto un profilo civico e in queste due settimane decisive lo accentuerà, guardando all’elettorato democratico. Lo stesso che, nel 2011, confluì su de Magistris determinandone la vittoria proprio su Lettieri. Anche il sindaco si rivolgerà ai delusi del Pd, oltre che ai Cinque Stelle, l’area politica più vicina alla sua, in parte già risucchiata grazie alla debolezza della candidatura di Matteo Brambilla. Sono tattiche politiche. Comprensibili, necessarie in questa fase, ma pur sempre tattiche. Non è di questo che la città ha bisogno.
Napoli chiede un sindaco che parli con ragionevolezza a tutti, senza guardare all’appartenenza, e affronti problemi veri salvaguardando l’interesse generale. Il ballottaggio è una partita completamente diversa dal primo turno, per quanto netti appaiano i risultati di partenza. Nulla è scritto. Chi combatterà una battaglia personale, chiunque sia tra de Magistris e Lettieri, non farà gli interessi della città. E con questo metro andrà giudicato. Mezza Napoli non ha votato e non si può consentire che la soglia del rifiuto cresca ancora.
vivicentro.it/sud/opinione – repubblica/Tutti gli errori del Pd da rifondare OTTAVIO RAGONE
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