È guerra aperta tra Trump e l’intelligence americana, accusata dal presidente di essere al “servizio dei democratici”, per vendicare con le soffiate la sconfitta di Hillary Clinton nelle elezioni. La Casa Bianca: “Le agenzie non ci danno tutte le informazioni”. Nel mirino anche i giornalisti, considerati “il vero partito di opposizione”.
Trump attacca l’intelligence: “Al servizio dei democratici”
Le agenzie non danno tutte le informazioni al presidente. E Donald annuncia un nuovo bando contro gli immigrati
L
a sequenza degli ultimi giorni è stata terribile, per il Presidente. Prima lo stop dei tribunali al suo bando per rifugiati e immigrati in arrivo da sette Paesi islamici; poi le polemiche per le retate e le espulsioni degli illegali; quindi le dimissioni del consigliere per la Sicurezza nazionale Flynn. Quest’ultimo scandalo si è allargato in fretta, al punto che lo stesso «Wall Street Journal» si è chiesto se sia il nuovo Watergate. Trump, infatti, ha detto che ha chiesto le dimissioni dell’ex generale perché aveva mentito al vice presidente Pence sulla natura delle sue telefonate con l’ambasciatore russo a Washington, ma il vero problema è la natura del rapporto che la campagna elettorale di Donald aveva con Mosca fin dal principio, e quanto lui ne fosse informato o complice. Roba da far saltare la Casa Bianca.
Due giorni fa il «New York Times» ci ha aggiunto che Flynn non era l’unico ad avere contatti col Cremlino, perché i servizi segreti americani avevano intercettato conversazioni costanti tra i capi della campagna elettorale di Trump e l’intelligence russa. Ieri, poi, il «Wall Street Journal» ha scritto che gli agenti americani non danno tutte le informazioni che possiedono al Presidente, perché temono la sua collusione con Putin, mentre ancora il «New York Times» ha rivelato che Donald si appresta a incaricare il suo amico finanziare Stephen Feinberg di fare una revisione dell’intero apparato dell’intelligence americano, percepito come nemico. Guerra aperta tra amministrazione e spie, dunque, accusate da Trump di essere al servizio dei democratici, per vendicare con le loro soffiate la sconfitta di Hillary nelle elezioni. Con la complicità dei media, che secondo il Presidente e il consigliere Bannon hanno sempre rappresentato il vero partito di opposizione, e adesso hanno ordito un complotto con i delatori per abbatterlo.
Davanti a questa ondata montante, ieri Trump ha convocato una conferenza stampa fuori programma: «Voglio rivolgermi direttamente al popolo, che poi è quello che mi ha fatto vincere le elezioni». Ha annunciato che sta preparando un nuovo decreto, scritto su misura per rispondere alle critiche rivolte dai tribunali al bando, che verrà pubblicato la settimana prossima. Ha notato il sondaggio della Rasmussen che dà la sua popolarità al 55%, e quindi conferma come gli americani stiano dalla sua parte, nonostante le «false notizie» diffuse dai media, che già non avevano capito nulla durante le presidenziali. Ma soprattutto ha dichiarato guerra alla struttura dell’intelligence e agli stessi giornalisti, che lui vede come alleati nel complotto per distruggerlo.
Secondo Trump, «Flynn non aveva fatto nulla di male. Non gli avevo ordinato di parlare con l’ambasciatore russo, ma se non l’avesse fatto di sua iniziativa glielo avrei chiesto io, perché questo è il suo lavoro». Le dimissioni le ha pretese solo perché «non aveva detto tutta la verità al mio vice Pence, e questo era inaccettabile». Il Presidente però ha continuato a negare che la sua campagna elettorale avesse contatti con Mosca: «L’ex manager Manafort aveva fatto consulenze in Ucraina, ma questo tutti lo sapevano, e lui ha negato di aver parlato col Cremlino». Quanto a se stesso, «io non ho prestiti, affari o amicizie in Russia. Con Putin ho parlato due volte. Penso che se i rapporti con Mosca migliorassero, sarebbe meglio per tutti: anche Hillary ci aveva provato col “reset”, ma aveva fallito. Se però non sarà possibile andare d’accordo, nessuno sarà più duro di me con il Cremlino».
Trump è convinto che le soffiate vengano da membri dell’amministrazione Obama, rimasti negli apparati della sicurezza. «Ma presto finiranno, perché stiamo piazzando i nostri uomini. Abbiamo Pompeo alla Cia, Coats direttore nazionale dell’intelligence, e Comey all’Fbi», quasi confermando così che la persona che aveva affossato Hillary, riaprendo l’inchiesta sulle sue mail dieci giorni prima del voto, lavorava per lui.
Il Presidente è convinto di avere ancora gli elettori dalla sua parte, e quindi va allo scontro aperto. I problemi però sono due. Primo, gli apparati dell’intelligence sono composti da migliaia di persone che resteranno al loro posto, anche se cambieranno i capi. Il «deep state», come lo ha definito Bill Kristol, che potrà continuare a colpirlo. Secondo, le smentite di Trump ora verranno confrontate con le prove raccolte dagli inquirenti sui rapporti con la Russia, e da questo dipenderà la sua sopravvivenza.
vivicentro.it/cronaca
vivicentro/Trump alla guerra delle spie: ”Le agenzie non ci danno tutte le informazioni”
lastampa/Trump attacca l’intelligence: “Al servizio dei democratici” PAOLO MASTROLILLI – INVIATO A NEW YORK
Lascia un commento