Ancora troppe domande sulla morte assurda di Pierluigi Rotta e Matteo Demenego, i due polizitti uccisi dal 29enne domenicano. Maurizio Cudicio, ex poliziotto della questura triestina, esamina le problematiche sulla sicurezza
Trieste, una tragedia che si poteva evitare? Risponde Maurizio Cudicio, ex poliziotto della questura triestina
di Maria D’Auria
Trieste- A Trieste proseguono le indagini sulla sparatoria in cui hanno perso la vita Pierluigi Rotta e Matteo Demenego, i due poliziotti uccisi da Alejandro Augusto Meran in questura, lo scorso venerdì 4 ottobre. Il 29enne domenicano ora è in carcere, piantonato a vista da un agente della Penitenziaria per evitare che possa tentare il suicidio.
La domanda che tutti si pongono è se questa tragedia si poteva evitare.
Prova a rispondere Maurizio Cudicio, poliziotto triestino in congedo che lì, proprio in quella questura, ci ha lavorato per 28 lunghissimi anni.
“Certo che si poteva evitare, sia questa che decine e decine di morti che si sono succedute negli anni tra le Forze dell’Ordine. Purtroppo di quelle passate ci si dimentica presto, si dimentica il sacrificio di chi ha donato la propria vita per salvare un perfetto sconosciuto o correre da chiunque chiami quando ha bisogno. Si dimentica troppo presto e tutto cade nell’oblio”.
Maurizio Cudicio, da poliziotto e da sindacalista, ha sempre cercato di far emergere le criticità riguardanti il problema sicurezza. Eppure, nonostante siano state sollevate a voce alta, e perfino “gridate” da tanti colleghi, non è mai stato fatto nulla di concreto da parte di chi doveva provvedere.
Ma quali sono queste criticità? L’ex agente Cudicio prova a partire dall’inizio esaminandole una per una.
“Partiamo dall’ingresso. La porta della Questura è una porta storica, bellissima, ma è obsoleta e pericolosissima. Chiunque può entrare indisturbato in quell’enorme atrio: dall’ingresso principale di quel portone al controllo individuale effettuato dal piantone, ci sono 30-40 metri di distanza, per cui se volesse entrare un malintenzionato, potrebbe farlo tranquillamente. Può entrare armato e sparare a chiunque si trovi in quel magnifico atrio. E spesso quell’atrio è popolato da moltissime persone perché lì sono presenti gli sportelli dell’Ufficio Passaporti e quelli del rilascio dei vari permessi agli stranieri. Un delinquente potrebbe benissimo entrare con una bomba e salire indisturbato, senza essere notato, confondersi tra la folla e recarsi ai piani superiori percorrendo una delle tre scalinate che si diramano da quel vasto corridoio”.
È solo un caso che il giorno della tragedia non ci fossero persone in quell’androne in cui l’omicida, armato di due pistole, è scappato sparando senza tregua.
“La colpa – continua l’ex poliziotto– non potrebbe in nessun caso essere del piantone, cioè un poliziotto lasciato da solo a fare dei controlli in quell’atrio gigantesco dove si alternano gruppi di decine e decine di persone. Talvolta capita che ci siano due agenti addetti ai controlli, ma sono comunque insufficienti perché le scale che portano ai piani superiori non hanno porte, tutto è aperto. Negli anni passati capitava spesso di trovare dei ‘passanti’ vagare per i piani, erano persone che cercavano informazioni perché si erano perse!”.
Eppure non sarebbe difficile trovare una soluzione a questa falla nella sicurezza dei locali che ospitano la questura di Trieste. Basterebbe un tornello e un piantone nelle immediate vicinanze. Le persone entrerebbero una per volta e potrebbero essere sottoposte ad un adeguato controllo. “Oppure una porta con un metal detector– suggerisce Maurizio– perché la questura deve essere un posto sicuro. La tragedia si è consumata a pochi metri dall’atrio, negli uffici dell’UPGSP (ex squadra Volante), nel corridoio e nel bagno, dove sono stati uccisi i due poliziotti. Una sala-volanti posta a pochi metri dalla porta (sempre aperta) che dà sui grandi sotterranei, ecco il motivo per cui uno dei due individui portati in Questura è riuscito a nascondersi nel sotterraneo”.
Su questa tragedia se ne sono sentite tante, ognuno ha voluto mettere bocca su cose di cui non ha conoscenza. Qualcuno ha sentenziato che i due dovevano essere ammanettati, altri che dovevano usare le stringhe in plastica. C’è chi ha puntato il dito contro i poliziotti che ‘dovevano stare più attenti’ e chi ha infierito sostenendo che fossero addirittura ‘impreparati’.
“Facciamo un po’ di chiarezza –interviene Cudicio– Le manette vengono usate solo in alcuni casi, quando cioè ci sono persone che costituiscono un pericolo per sé e per gli altri, quando si tratta di un arresto, uno stato di fermo o comunque quando ci sono motivi validi per limitare la libertà personale. Quanto alle stringhette in plastica, neanche ne parlo: non esistono in polizia!”
Nel caso qui esaminato, c’erano due individui accompagnati in questura perché indagati per un reato precedentemente consumato (non c’era flagranza) ed erano assolutamente ‘tranquilli’. Motivo per cui le manette non andavano usate. I due poliziotti hanno operato nel pieno rispetto della normativa vigente. “Ad avvalorare la giusta decisione, va precisato che la Sala Operativa effettua tutti gli accertamenti del caso quando vengono comunicati i nominativi delle persone fermate. Gli operanti sono stati informati sull’esito dell’accertamento e non sarà emerso nulla di anomalo, per cui i due agenti erano consapevoli della non pericolosità dei soggetti. Forse l’attenzione dovrebbe essere spostata sulla mancanza di personale di controllo, che non è una colpa addebitabile ai due poliziotti”.
Tornando alle strutture inadeguate, la tragedia, dicevamo, ha avuto inizio in un bagno.
“Era un bagno piccolo con vecchie porte in legno – spiega l’ex poliziotto. È lì che viene sfilata la pistola all’agente che lo accompagnava, poi il criminale gli spara a bruciapelo.
L’agente ha sbagliato? È stato disattento? Non è stato pronto a reagire? Nessuno potrà sapere come sono andate esattamente le cose, erano soli. Sicuramente per togliere una pistola e sparare a bruciapelo, ci vuole mente fredda, bisogna essere pronti e decisi. Di fronte ad una situazione del genere, anche il poliziotto più esperto con 30 anni di servizio sarebbe stato sopraffatto dall’effetto sorpresa. Se invece gli agenti fossero stati in due, lo scenario sarebbe potuto cambiare, ma si torna nuovamente al problema della carenza di organico”.
Qualcuno ha parlato di fondine datate, incapaci di custodire in sicurezza la pistola.
“Ma di cosa stiamo parlando? Se hai di fronte una bestia di quelle dimensioni e con quella forza, non ti sfila la pistola dalla fondina ma spacca tutto! L’estrazione con violenza distrugge anche una fondina nuovissima. L’altro collega, accorso in aiuto, non ha avuto neanche il tempo di puntare l’arma che è stato freddato all’istante. Quando si dirige con due pistole nell’atrio incustodito, continuando a sparare, poteva essere una tragedia ancora più grave. Quel criminale è stato preso all’esterno e bloccato dopo aver ferito un altro poliziotto. Non darei la colpa alle fondine né all’inesperienza dei due poliziotti.
Forse la colpa è della mancanza del personale, della vetusta e obsoleta questura a cui manca un totale ammodernamento in grado di fronteggiare le esigenze di questi ultimi anni”.
E se avessero avuto un giubbotto anti proiettile? Matteo e Pierluigi potrebbero essere ancora vivi?
“Ma i cittadini lo sanno che il 90% delle autovetture di servizio non hanno i vetri antiproiettile? E quelle dotate lo sono solo per il parabrezza anteriore? Ho trascorso più della metà della mia vita in quegli uffici, in quel corridoio e mai avrei pensato potesse succedere un tragedia simile. Speravo che lo Stato si accorgesse in tempo che la Polizia aveva bisogno di aiuto, di un intervento concreto, chiesto da anni dai tanti poliziotti in strada. I 4 milioni spesi per i gradi, speravo venissero investiti per salvaguardare l’incolumità degli operatori delle Forze dell’Ordine… e allora sì, forse Matteo e Pierluigi sarebbero ancora vivi. Per 28 anni la questura è stata la mia seconda casa. Ne conosco ogni centimetro e tra mille difficoltà, anche con tanta fortuna, sono riuscito ad evitare di lasciarci le penne. Conosciamo bene il rischio che corriamo indossando una divisa. Ci si aspetta di morire mentre si sventa una rapina, durante un inseguimento, una rissa o un’aggressione… ma non in un bagno o in un corridoio della questura, dove ogni operatore dovrebbe sentirsi al sicuro perché per lui è, appunto, una seconda casa”.
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