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Castellammare di Stabia

Dopo il terremoto la vita non vuol altro che vivere. Parola di bambino

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«Tra le tende dopo il terremoto i bambini giocano a palla avvelenata».

«Giocano al mondo, ai quattro cantoni, a guardie e ladri, la vita rimbalza elastica, non vuole altro che vivere». Parole appese, sospese, sussurrate. Parole leggere e in movimento, quelle scelte lustri fa da Gianni Rodari, il più profondo interprete e narratore delle emozioni dei piccoli, per raccontare, tra le tende, la forza dei più fragili. Forza vitale, spontanea e inconsapevole su cui fare perno ora, dove nei bambini, oltre al terrore e alla disperazione del momento, si aggiunge il bisogno di comprendere, l’esigenza di sentirsi protetti, la necessità di rinsaldare un patto di amicizia con la vita. Le bambine e i bambini sono tra le vittime più colpite dal terremoto, e non solo in termini di morti: c’è chi ha perso i genitori, i nonni, i parenti o gli amici; chi è rimasto ferito o si è salvato fuggendo e vedendo il mondo crollare attorno a sé; chi alle luci dell’alba ha visto la propria casa, la propria scuola, il proprio paese in briciole. Occhi terrorizzati e smarriti, vuoti e disperati, tristi e interrogativi. Occhi in cerca di un abbraccio. Di un sollievo. Occhi in cerca di un appiglio. E ora?

«La vita rimbalza elastica» dice Rodari, ed è da qui che è utile ripartire. Intanto spiegando ai bambini quello che è successo. Con parole ragionate e vere, calibrate a seconda dell’età, va detto senza lasciar dubbi che la terra non è cattiva o malvagia, non è una matrigna che dà e toglie la vita, non è un’entità che si ribella: va affermato che la terra è semplicemente viva. E le scosse, imprevedibili e irrefrenabili, a volte inconsistenti altre volte devastanti, fanno parte delle caratteristiche del pianeta, come le eruzioni dei vulcani, le erosioni delle montagne, i movimenti dei mari o la nascita dei ghiacciai.

Non colpevolizzare la terra è fondamentale per trasmettere ai più piccoli la possibilità di poter ripensare ad un domani insieme a lei: il futuro sulla terra, su questa terra, non è un tabù. E la colpa allora, di chi è? Rispondere non è facile, ma ancora una volta i nostri cuccioli pretendono verità: non va nascosto che case, scuole e palazzi, se costruiti bene, possono non cadere o possono subire danni limitati. E che per costruirli bene servono competenze, onestà, buon senso e attenzione al bene comune. Messaggi alti e solidi, che richiamano la responsabilità di tutti. E che si portano con sé però una grande speranza: vivere al sicuro si può, non siamo condannati alla vulnerabilità.

E adesso? Un naso rosso, una chitarra, un pallone, un teatro di burattini: l’emergenza ora lascerà spazio anche a queste bombole d’ossigeno, a momenti di svago e divertimento capaci di generare nuovi sorrisi. È la vita che non vuole altro che vivere, ed è responsabilità di noi adulti ora permettere che questo possa accadere. E ancora di più tra poche settimane, quando suonerà la prima campanella del nuovo anno, in scuole provvisorie dove entreranno le angosce e le immagini di queste giornate, in aule sconosciute, con banchi lasciati vuoti da compagni che non ci sono più e quaderni dalle pagine bianche inumidite dalle lacrime.

Quella campanella sarà fondamentale, perché è da lì che si dovrà ricominciare: dalla comunità, dallo stare insieme, dal parlarsi e confrontarsi, dai compiti da fare, gli impegni da prendere, dal casino da fare in classe come in una qualsiasi altra classe. E con gli insegnanti chiamati come non mai a diventare faro di riferimento, porto in cui ripararsi, adulti a cui aggrapparsi. Insegnanti che non vanno lasciati soli: vanno accompagnati e supportati con risorse e personale d’appoggio, nuovi strumenti e consulenze mirate. Perché la ricostruzione (lenta, lunga ed elaborata) di questa generazione ferita passa attraverso di loro. E maestre e maestri lo sanno bene, perché è il cuore della loro missione educativa: la vita non vuol altro che vivere. Parola di bambino.

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