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È tempo di bilanci: la situazione è migliorata?

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È tempo di bilanci: la situazione è migliorata? – OPINIONI

Carlo Cottarelli analizza i risvolti economici di questa fase storica: “La situazione migliora, ma l’andamento resta lento”.

L’economia migliora ma l’andamento è lento

Finisce l’anno. Finisce la legislatura. È tempo di bilanci. Rispondere alla classica domanda: «State meglio o peggio di cinque anni fa?» è facile. Stiamo meglio, almeno dal punto di vista economico. Le risposte ad altre domande sono però meno rassicuranti.

Cinque anni fa eravamo nel mezzo di una profonda crisi. Nel 2012 il Pil scendeva di quasi il 3 per cento, la disoccupazione era in crescita (avrebbe superato l’anno dopo il 12 per cento), i nostri conti con l’estero (la differenza tra esportazioni e importazioni di beni e servizi) erano ancora in rosso e il debito pubblico era in rapida crescita, nonostante le manovre di correzione dei governi Berlusconi e Monti. Lo spread rispetto alla Germania era a metà anno intorno ai 500 punti base.

Oggi il Pil sta crescendo a un tasso di almeno l’1 e mezzo per cento, il tasso di disoccupazione, seppur ancora alto, è in discesa e ci sono 400.000 posti di lavoro in più rispetto al 2012 (800.000 rispetto al minimo del 2013), abbiamo un surplus nei nostri conti con l’estero del 2-3 per cento del Pil, e il debito pubblico, sempre in rapporto al Pil, ha smesso di crescere. Lo spread è intorno a 150 punti base. Stiamo decisamente meglio. Certo, la ripresa non è ancora completa: il reddito pro capite è solo ora tornato al livello del 2012 ed è ancora inferiore a quello del 2007. Forse per questo prevale ancora un senso di insoddisfazione in buona parte della popolazione. Ma il miglioramento economico rispetto a cinque anni fa è palese.

Se ci fermassimo qui, dovremmo essere soddisfatti. Ma occorre porsi almeno altre due domande, più scomode. Prima domanda scomoda: stiamo recuperando rispetto agli altri Paesi? No, noi cresciamo, ma gli altri Paesi crescono di più. Rispetto all’area dell’euro il differenziale di crescita (intorno allo 0,6-0,7 per cento nel 2017) resta elevato, anche se un po’ al di sotto di quello medio degli ultimi vent’anni (vicino all’1 per cento). Cresciamo meno anche rispetto alla media dei grandi Paesi avanzati: il differenziale con i G7 è di circa mezzo punto percentuale. Il confronto è anche più sfavorevole se consideriamo che lo choc economico del 2012 è stato più forte per noi che per gli altri e quindi il rimbalzo avrebbe dovuto essere per noi maggiore, non minore. Quindi la risposta alla prima domanda scomoda è chiara: non stiamo recuperando.

Seconda domanda scomoda: siamo più solidi di quanto eravamo, o, se uno choc colpisse l’economia mondiale o l’area dell’euro, faremmo ancora da parafulmine attirando gli attacchi speculativi dei mercati? Siamo ancora vulnerabili. C’è un aspetto in cui siamo un po’ meno vulnerabili: il nostro divario di competitività di costo rispetto alla Germania, che si era ampliato notevolmente tra il 1999 e il 2008, si è ridotto negli ultimi anni: il costo del lavoro per unità di prodotto è aumentato meno che in Germania. Ma non abbiamo ancora recuperato quanto perso prima del 2008, al contrario di Spagna e Portogallo. Sul fronte dei conti pubblici, abbiamo interrotto il processo di aggiustamento. Il debito pubblico, rispetto al Pil, è ai massimi storici dalla fine della Prima guerra mondiale. L’avanzo primario (la differenza tra entrate e spese al netto degli interessi), che rappresenta le «munizioni» che ci servono per il servizio del debito e la sua potenziale riduzione, è sceso dal 2,3 per cento del Pil nel 2012 all’1,7 per cento nel 2017. La nostra ripresa economica è stata alimentata anche da questo rinvio nell’aggiustamento fiscale: il conto resta ancora da pagare. Su altri fronti strutturali il progresso è stato limitato.

Ci sono segni di una minore evasione fiscale nel 2015, ma il miglioramento è avvenuto anche all’estero. I progressi nel semplificare la burocrazia sono insufficienti: abbiamo guadagnato qualche posto nella classifica del Doing Business della Banca mondiale, ma siamo ancor al 46 posto nel mondo. Si è ridotto in modo marcato il numero dei processi civili pendenti, ma la durata dei processi che arrivano al terzo grado di giudizio resta superiore ai sette anni e mezzo (in media). Il reddito pro capite del Sud è in ripresa rispetto a quello del resto del Paese, ma anche qui si tratta prevalentemente di un rimbalzo ciclico. Gli indici di percezione della corruzione (seppur con tutti i loro limiti) non segnalano un cambiamento di passo negli ultimi anni. Il tasso di natalità resta bassissimo, forse una delle nostre principali debolezze strutturali. Infine, la produttività del lavoro continua a ristagnare, anche se nel 2017 ci sono segnali di ripresa dopo il declino del 2016.

Questo è quello che più mi preoccupa: la nostra esposizione al rischio di choc. Una crescita più bassa che all’estero sarebbe stata accettabile se, negli ultimi cinque anni, avessimo eliminato, o ridotto sostanzialmente, le nostre vulnerabilità. Ma non è stato così. Se il mare resterà tranquillo, non avremo problemi, continueremo a crescere. Ma la nave non è stata ancora riparata per renderla più resistente alle tempeste. Dobbiamo sperare che il tempo rimanga buono e darci da fare nel frattempo.

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