Taormina, ritorna sotto i riflettori del mondo anche in quest’autunno per dare il via al G7 delle Pari Opportunità, in programma il 15 e 16 novembre 2017.
I sette Paesi più industrializzati del pianeta si ritroveranno nella cittadina siciliana per discutere di politiche sociali e diritti delle donne. Un appuntamento inedito, che per la prima volta riunisce i vertici del potere mondiale in un summit G7 sulla questione femminile.
Si discuterà di rafforzamento delle misure contro la violenza sulle donne e l’empowerment (“la conquista della consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte, decisioni e azioni, sia nell’ambito delle relazioni personali sia in quello della vita politica, sociale e lavorativa”) femminile, specie sul versante economico. L’Italia, organizzatrice dell’evento, è stata rappresentata da Maria Elena Boschi, sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio con delega alle pari opportunità, che a Taormina ha presieduto la riunione ministeriale. A prendere parte al vertice, insieme a lei, sono Maryam Monsef, ministra per la condizione femminile in Canada; Marlene Schiappa, Segretaria di stato con delega alla parità tra donne e uomini in Francia; Kathryn C. Kaufman, consigliera del Presidente negli Usa; Joanna Roper, inviata speciale per le parità di genere della Gran Bretagna; Katarina Barley, ministra federale per la famiglia, gli anziani, le donne e i giovani in Germania; Yuhei Yamashita, vice ministro parlamentare dell’Ufficio di Gabinetto in Giappone. Un migliaio le forze dell’ordine in servizio per garantire la sicurezza durante l’evento, cui sarà presente anche Vera Jourová, Commissaria europea per la giustizia, la tutela dei consumatori e l’uguaglianza di genere.
In quest’occasione, ma come in altre analoghe, sembra però che la sostanza venga velata dall’apparenza, per carità, bella sia come luogo che come persone, ma così risaltano più gli zuccherati messaggi formali, propagandistici e rassicuranti, rispetto al farraginoso quotidiano in cui sono risaputamente carenti, confuse o incomprensibili le leggi, troppo soggettive le sentenze e vaghi i controlli.
Da un lato infatti, leggo con entusiasmo le parole della Sottosegretaria di Stato Elena Boschi: “Anche stavolta Taormina è bellissima. Aver iniziato l’anno di presidenza italiana con il G7 della Cultura a Firenze e chiuderlo qui con il G7 delle Pari Opportunità a Taormina, mette insieme due elementi, Cultura e Pari Opportunità, che rappresentano la quinta essenza del messaggio che l’Italia lascia della propria presidenza dei Paesi più Industrializzati”. Lo ha detto Maria Elena Boschi, solare e sorridente protagonista ieri della giornata inaugurale della Ministeriale dedicata a Taormina ai diritti delle donne. Proprio la Sottosegretaria di Stato, con delega alle pari opportunità, ha accolto in piazza IX Aprile i ministri, per la foto ricordo con lo sfondo sontuoso dell’Etna e della baia di Naxos;
Dall’altro tuttavia, ho seguito un’annosa vicenda di una donna, madre, lavoratrice e anche volontaria, contro una strana Giustizia, ove le è stato negato in modo dichiarato la possibilità di fare valere i propri diritti, affermazioni, documenti e testimoni, di fatto anche umiliandola e prostrandola.
La Cassazione poi ha fatto come Ponzio Pilato, mentre prima ha cassato questo comportamento del Tribunale, dopo, nonostante quest’ultimo abbia ostentatamente reiterato nel giudizio di rinvio il proprio diniego alla legittima produzione di atti e testimoni, se n’è lavata le mani affermando che non poteva entrare nel merito visto che il Tribunale aveva verificato i documenti, i fatti e ascoltato i testimoni, quando invece aveva nuovamente negato in giudizio e per sentenza proprio questo.
Era stata quella un’infelice vicende di lampante MalaGiustizia, in cui quella donna ha attraversato quasi un ventennale calvario, anche molto oneroso e falcidiante sotto tutti i profili umani, fisici, psicologici e quotidiani. Sicché mi domando quali “Pari Opportunità” ?
Forse sarebbe più efficace che il nostro fior fiore di giuristi italiani nel Parlamento, incida più concretamente su questa materia (e non solo su essa). Diversamente i cittadini, peraltro anche (già scolasticamente) profani di Diritto e quindi in un certo senso forzosamente impotenti, non possono che continuare a subire e pure soccombere.
La questione di cui ho accennato la riassumo qui di seguito senza però citare i nomi e gli atti. La persona interessata mi ha chiesto di non indicarla. Troppo amara per lei quella vicissitudine e da potere dimenticare. Pertanto attraverso un succinto riepilogo vorrei anche ribadire la personale civile indignazione e lo sconcerto naturale che ho provato allora nel leggere gli atti e soprattutto le sentenze di tutta evidenza dal sapore misogino e arrogante. Immagino purtroppo, che anche molte altre donne si riconosceranno analogamente in questa peripezia.
La donna in questione lavorava dal 1983 in una società a responsabilità limitata che gestiva delle concessioni pubbliche. La ditta a seguito di una serie di attentati di “matrice mafiosa” dopo alcuni anni chiuse per fallimento nel 1999. Nel frattempo la lavoratrice nel 1988 si era anche sposata con l’amministratore della società. La società pubblica di trasporti regionale che acquisì per decreto le concessioni, i contributi pubblici e tutto il personale maschile, rifiutò però di assumere anche l’unica donna che era la lavoratrice di cui trattasi. La questione finì innanzi al giudice del lavoro. La difesa della società regionale fu semplicisticamente che la lavoratrice non era tale in quanto sposata con l’amministratore della precedente ditta. Il giudice di primo grado nella sentenza acconsentì a tale misogina falsità, sentenziando che la lavoratrice non aveva dimostrato di essere tale. Quest’ultima fece appello e ad abundantiam, produsse tutta una serie di documentazione e testimoni, anche di uffici pubblici e fiscali con i quali per lavoro la donna aveva avuto continui contatti. La Corte d’Appello rigetto ogni prova e dichiarò ancora una volta soccombente la lavoratrice. Seguì il ricorso in Cassazione che lo accolse, però rinviando la causa al medesimo Tribunale, seppure con collegio diverso, affinché si accertasse la condizione lavorativa della donna. Il Tribunale del Rinvio, malgrado la produzione di ogni e qualsiasi documento e parecchi testimoni citati, rifiutò ogni e qualsiasi prova a difesa della donna e rigettò il ricorso. La lavoratrice ritornò nuovamente in Cassazione, la quale stavolta, come “Ponzio Pilato” rigettò il ricorso asserendo che non poteva entrare nel merito della decisione del Tribunale del Rinvio che evidentemente aveva valutato gli atti, quando invece non li aveva nuovamente neppure ammessi. Insomma una donna, una lavoratrice e una moglie (anche madre), si è vista umiliare, offendere, denigrare e condannare a circa vent’anni di calvario giudiziario con notevoli spese legali per migliaia di euro, poiché ad un certo punto della sua vita aveva deciso di sposarsi e questo legittimava la controparte e tutti i Giudici, a screditare la sua persona, dignità e onestà intellettuale, tanto da rifiutare questi ultimi persino ogni e qualsiasi prova e testimone a suo favore.
Quando qualche tempo addietro un Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (dott. Davigo) affermò in una intervista che i Giudici possono sbagliare poiché gli atti che vengono loro prodotti li traggono in inganno, evidentemente non poteva riferirsi al giudizio sopra riepilogato.
L
a foto in copertina è tratta dalla pagina facebook pubblica della Sottosegretaria Elena Boschi: https://www.facebook.com/boschimariaelena/photos/pcb.1541698345917779/1541695852584695/?type=3&theater – (15-16.11.2017 Taormina, al via il primo G7 delle Pari Opportunità).
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