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Tenere insieme l’Europa non sarà facile” spiega Stefano Lepri nel suo editoriale. “L’Italia rischia di fare un tuffo nel passato”.
Evitiamo le trappole del passato
Tenere insieme l’Europa non sarà facile, nel 2017. Le istituzioni del nostro continente si trovano in un equilibrio precario, che si conserverà solo se non saranno troppo forti gli choc esterni a cui saremo sottoposti. L’Italia non rischia catastrofi, ma davvero è una sfida sempre più ardua sottrarla al lento declino che i giovani sperimentano per primi nella difficoltà di trovare un buon lavoro.
Il più potente choc esterno si avrebbe se Donald Trump mettesse in atto le misure protezionistiche promesse in campagna elettorale.
I mercati credono che resteranno chiacchiere, e sono ottimisti; si vedrà. Ma in ogni caso con il suo «America First» conservare un senso alla cooperazione internazionale sarà problematico, proprio nell’anno in cui l’Italia presiederà il G7.
In Europa, la fragilità viene innanzitutto da un divario che al momento non sembra poter essere colmato tra due concezioni diverse dell’unione monetaria. La soluzione proposta dalla Commissione europea – più investimenti nei Paesi con bilanci sani, per ottenere più crescita – viene respinta dalla Germania e dai suoi alleati.
In mancanza di un compromesso, il rischio è di continuare il ripetitivo teatrino in cui i Paesi deboli accusano i nordici di inutile rigore e la Germania accusa i mediterranei di irresponsabilità. Una speranza è che il nuovo presidente francese sappia dalla prossima estate, riformando il suo Paese, indicare una via accettabile da entrambe le parti; è dubbio che ne avrà la forza.
In Italia abbiamo un governo a termine quando i problemi irrisolti richiederebbero un impegno di ampio respiro, e i conti pubblici resteranno sotto costante critica europea. La crescita lenta, la scarsa innovazione, istituzioni poco funzionali, corporazioni attaccate alle loro fette di potere, sono mali di sempre che si sono aggravati negli anni, che ci svantaggiano sempre di più nel mondo come è oggi.
All’opposizione abbiamo una forma di populismo che è diversa e più insidiosa – perché capace di sfuggire alle tradizionali distinzioni tra destra e sinistra – di quelle presenti negli altri Paesi. Ma il prezzo che il Movimento 5 Stelle paga alla sua forza è di non saper indicare una sua idea di interesse generale dei cittadini contro la vecchia politica paralizzata da piccoli e grandi gruppi di potere.
La maniera in cui l’Italia vive la vicenda del Monte dei Paschi è appunto un chiaro esempio. Altrove, qualche opposizione si sarebbe levata contro il salvataggio di una banca con il denaro dei contribuenti. Qui no, ci si preoccupa soltanto di non danneggiare i gruppi di interesse capaci di farsi sentire, mentre se paga Pantalone il prezzo di impopolarità appare basso. E si scoprirà magari domani che molti dei piccoli risparmiatori truffati la perdita l’hanno già subita mesi fa vendendo i loro titoli a speculatori.
Nelle richieste anche di altri di interventi dello Stato in aziende si nasconde poi il pericolo di rassegnarsi a un ripiego dell’Italia su sé stessa, costoso in tasse quanto senza prospettive, utile solo a conservare assetti dati per paura di cambiare. Se degli stranieri si ha paura, se le riforme non si fanno perché politicamente non pagano e comunque nessuno le chiede, non resta che vivacchiare.
Un tuffo nel passato sono anche i referendum della Cgil che il governo Gentiloni dovrà cercare di disinnescare. Facile sarà rivedere i «voucher» perché si limitino a raggiungere lo scopo originario, far emergere lavoro nero. Ma scoraggia dover discutere su una estensione di tutele a chi lavora in una azienda tra 5 e 15 dipendenti quando l’ansia dei giovani oggi riguarda tutt’altro.
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