Ieri mi son ripreso il mio tempo.
Con una mia amica colombiana siamo saliti al monastero di San Bartolomeo nel parco delle cariadeghe.
S
alendo ho approfittato di aprire al massimo i polmoni e di aguzzare la vista lungo il sentiero della via crucis.
Oltre, sotto, e in parte ho rivisto le mie …. il mio mondo vegetale. Ma scusa queste sono tutte foglie di fragolina? Yes la risposta e guarda quante cicorie già fiorite, quante ortiche novelle già pronte per essere impastellate o lessate per la minestra o risotto, oltre tanti vegetali ormai sconosciuti. E stà attenzione a queste che ti fanno venire gli ossalati, padri dei calcoli renali, ricordi offuscati di studi giovanili. Raggiunto il monastero ci sedemmo su una panca e beneficiammo della vista; vista che cadde su una macchia di verzulì. A sera la frittata non è venuta come avrei voluto, cambierò di sicuro alcuni ingredienti, ma sicuramente i frati Benedettini erano beneficiari di quiete e solo poco passi raccoglievano le erbe per mettere nel pentolone e per i loro studi per scoprire i principi attivi e per curare.
Poi mi fece una semplicissima domanda che rivolgo a Lei signor Massimo Tedeschi per ampliarla a tutta la platea: la differenza fra pino e abete. Gli spiegai che vi è una gran confusione, in ambiente montano vi sono soprattutto abeti, rosso e nero, e in quello strettamente alpino l’unico che sopravvive e il larice e il pino mugo da forme contorte per affrontare diversità, vento e neve. Il pino cembro invece in provincia di Bs ramifica solo al confine con la provincia di Sondrio, sul Mortirolo. E poi parlai del legno preferito da Stradivari che ottenuto da un bosco sul Trentino ove due aerei della Nato inciamparono sui fili dell’Enel.
Suono chiaro e rotondo così ho letto da ignorante da qualche parte e anche gli artisti giapponesi o americani, ecc. riconoscono, cosi ho letto anche sul sito di officina da camera che secondo la mia sensibilità è un’altra efficienza made in Bs.
Dendrologia, alla Pace, ancora negli anni giovanili feci un corso per partecipare a un stage archeologico in Cecoslovacchia. Lo studio dell’accrescimento degli alberi e tramite l’accrescimento annuali degli anelli, il cambio, e tramite l’osservazione dell’accrescimento annuale di cambio, paragonando gli anelli, i tedeschi sono riusciti a risalire sino a 300/400 anni fa utilizzando anche “ siringature “ di legno che componeva le cornici dei quadri, madie, portoni, sedie antiche ecc. Tutto questo perché la vista mi si depositò sulla sezione di tronco che faceva da panca.
Mangiammo al rifugio degli alpini e la signora con convinzione piena di orgoglio ci disse che anni fa in una gita a Roma vide nei musei vaticani un antica mappa d’Italia ove comparivano solo la città di Roma e Serle con il suo monastero; il marito era molto meno convinto e tutto lo lasciai alle suggestioni della fantasia o convinzione.
Nell’era del Web tutto questo può sembrare “ effimero “ , tutto è pixel se non realtà virtuale. Ma la mia salita al monastero di San Bartolomeo e i virzulì non sono stati virtuali e tantomeno il mio ricordo a Carlo Magno che ha introdotto una disciplina unica di scrittura in tutta Europa e soprattutto nei monasteri e conventi. Lo pensai e pensai alla dispersione di sapere e conoscenza vi oggi e come uno scrigno è racchiusa fra le mura dei monasteri e pensai che fra qualche settimana “ devo” visitare ancora e ancora una volta l’eremo di San Costanzo, poi diventato convento a Conche, sito fra Lumezzane e Nave. E si dice che è stato fattore di sviluppo di Lumezzane e zone vallive contigue.
Signora Castelletti, ho scritto Carlo Magno e perciò come sempre mi accade questa lettera ha autonomia dallo scrittore, cioè dal mio scritto mi sovviene Santa Giulia e le bionde trecce abbandonate di Ermengarda, sposa ripudiata e quindi se i monasteri posseggano una storia non “ ufficiale”, ancora racchiusa nelle loro mura fra registri e miniature, fra codici e alambicchi sono li dentro, fuori e in parte le radici del nostro sapere tramandato ove i virzulì e le cicorie danzano in primavera.
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Ma e tuttavia l’articolo di Massimo Tedeschi e soprattutto il potere della foto che lo completa mi richiama ad altre immagini e concetti.
Questo è l’orto botanico di Padova nella lista dei siti dell’Unesco. Mi fa piacere.
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