La Corte dei Conti ha contestato al governo del presidente Musumeci di avere sostituito il rendiconto generale della Regione per il 2017, già parificato dai giudici a luglio.
“Mai successa una cosa del genere”, commenta la presidente della sezioni riunite della Corte dei Conti, Luciana Savagnone, dopo l’adunanza pubblica. A conclusione dell’udienza, la Corte si è riunita in camera di consiglio per deliberare.
Ieri la Corte dei conti ha ricevuto un faldone dalla Regione contenente il disegno di legge sono stati “unificati” il rendiconto del 2017 e il rendiconto consolidato, già trasmessi all’Assemblea regionale per l’approvazione. I giudici hanno ricevuto anche un emendamento al ddl col quale il governo sta tentando di correre ai ripari cercando di ripristinare i contenuti del rendiconto parificato ma sostituito. La procedura ha lasciato alquanto perplesso il procuratore Maria Rachele Anita Aronica che ha rinunciato a fare la sua relazione sul rendiconto sostituito proprio per la presenza dell’emendamento di cui non era a conoscenza. Assenti all’adunanza il governatore Nello Musumeci e l’assessore all’Economia Gaetano Armao.
Alla domanda se a questo punto servirà una nuova parifica sul nuovo testo deliberato dalla giunta, Savagnone sorride: «Non so cosa uscirà dalla camera di consiglio della Corte, secondo me quella delibera parificata non esiste più; del resto cambiando un dato diventa tutto un altro documento». E chiosa: «Non posso dubitare della buona fede del governo».
L’opinione.
Detto molto semplicisticamente da questa pagina, se un cittadino cambia le carte davanti ai Giudici incorre nella legge n. 133 del 2016, la quale prevede il reato di frode processuale e depistaggio che punire con la reclusione da 3 a 8 anni il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che compia una delle seguenti azioni, finalizzata ad impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale: mutare artificiosamente il corpo del reato, lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone connessi al reato; affermare il falso o negare il vero ovvero tacere in tutto o in parte ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito, ove richiesto dall’autorità giudiziaria o dalla polizia giudiziaria di fornire informazioni in un procedimento penale.
Il nuovo reato è aggravato quando: il fatto è commesso mediante distruzione, soppressione, occultamento, danneggiamento, in tutto o in parte, ovvero formazione o artificiosa alterazione, in tutto o in parte, di un documento o di un oggetto da impiegare come elemento di prova o comunque utile alla scoperta del reato o al suo accertamento (la pena da applicare è aumentata da un terzo alla metà); il fatto è commesso in relazione a procedimenti penali relativi ad alcun specifici gravi reati (si applica la pena della reclusione da 6 a 12 anni). La pena è diminuita dalla metà a due terzi se l’autore del fatto si adopera per: ripristinare lo stato originario dei luoghi, delle cose, delle persone o delle prove; evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori; aiutare concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto oggetto di inquinamento processuale e depistaggio e nell’individuazione degli autori.
Alla condanna per il delitto di frode in processo penale e depistaggio consegue, in caso di reclusione superiore a 3 anni, la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici. I termini di prescrizione per il delitto di frode in processo penale e depistaggio aggravato sono raddoppiati.
L’articolo 3 modifica l’art. 376 c.p. per affermare, anche in relazione al nuovo delitto di frode in processo penale e depistaggio, la non punibilità del colpevole che entro la chiusura del dibattimento ritratti il falso e manifesti il vero. L’articolo 1 della legge interviene anche sul primo comma dell’articolo 374 del codice penale per innalzare a 1 anno (nel minimo) e a 5 anni (nel massimo) la pena della reclusione per chi si rende responsabile del reato di frode processuale nell’ambito di un procedimento civile o amministrativo, e cioè per colui il quale – nell’ambito di tale procedimento – al fine di trarre in inganno il giudice in un atto d’ispezione o di esperimento giudiziale, ovvero il perito nell’esecuzione di una perizia, immuta artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone. La pena attualmente prevista per tale fattispecie delittuosa è da 6 mesi a 3 anni.
A
dduso Sebastiano
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