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Castellammare di Stabia

Selfie: nomination a Miglior Documentario agli EFA

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“Selfie” il film dal vero di Agostino Ferrente candidato come Miglior Documentario 2019 agli EFA – European Film Awards, gli Oscar europei.

L’annuncio al Festival del Cinema Europeo di Siviglia.

È stato una delle visioni imperdibili del cinema italiano nel 2019, e ora Selfie, il nuovo film documentario di Agostino Ferrente (già autore dell’acclamato ‘L’Orchestra di Piazza Vittorio’ e, con Giovanni Piperno, de ‘Le cose belle’) torna consacrato all’attenzione internazionale con la nomination a Miglior Documentario agli EFA – European Film Awards 2019, gli Oscar del Cinema europeo. Un traguardo straordinario per un film che proprio da una platea europea ha iniziato il suo viaggio sugli schermi, in febbraio all’ultimo Festival di Berlino nella sezione Panorama, dove è stato presentato e acclamato dal pubblico e da una messe clamorosa di elogi sulla stampa (The Hollywood Reporter lo ha definito «penetrante e commovente», mentre Variety ha scritto dei «due fantastici protagonisti», del film).

Accolto da un ottimo risultato nelle sale – distribuito da Istituto Luce-Cinecittà –  Selfie è stato eletto in Italia ‘Film della Critica’ dal Sindacato Critici Cinematografici,  e  ha ricevuto oltre quindici riconoscimenti in festival nazionali ed esteri, tra cui la menzione al Prix Italia e i Premi come miglior documentario ai Festival di Luxembourg  City e di Seoul.

L

a candidatura agli EFA, cioè al vertice del cinema continentale, annunciata oggi al Festival del Cinema Europeo di Siviglia, arriva quindi alla fine di un viaggio importante.

Ma dà un senso ancora più forte all’universalità di un film che parte da una matrice profondamente locale, quella del Rione Traiano di Napoli, dei ragazzi e cittadini che lì vivono. E dalla vicenda individuale e tragica di un ragazzo, Davide Bifolco, colpito a morte durante un inseguimento da un carabiniere che lo aveva scambiato per un latitante. La storia di Davide e del ricordo che ne portano i suoi due amici, Alessandro e Pietro, e la verità e vitalità con cui le esistenze di una realtà difficile sono restituite da Ferrente e dal film, sono evidentemente state capaci di coinvolgere, commuovere, divertire, e farsi sentire da pubblici che sono di un rione, di una città, dell’Italia, e alla fine di una platea  pienamente internazionale.

Nelle motivazioni che hanno accompagnato i premi e nelle recensioni della stampa ricorre la definizione di “Selfie” come film «in controtendenza»: contrariamente a tanta narrazione dedicata a Napoli nella quale viene descritta spesso con toni epici l’ascesa dei ragazzini nelle gerarchie criminali, infatti, il film di Ferrente smonta i luoghi comuni, raccontando in modo tenero e poetico la dignitosa resistenza di due sedicenni alla tentazione dello spaccio, in un ambiente dove l’alto tasso di abbandono scolastico e la cronica mancanza di lavoro fanno dell’opzione criminale il più facile e il più accessibile degli ammortizzatori sociali.

Amnesty International Italia, che da subito ha patrocinato il film e la sua diffusione (avendone riconosciuto l’efficacia nel combattere i pregiudizi che riguardano la maggior parte dei quartieri popolari del sud), spiega: La storia di Davide assomiglia a tante, troppe storie di violazioni dei diritti umani da parte delle forze di polizia sui più indifesi e dimostra come nascere in ambienti disagiati, nella costante negazione dei propri diritti, non è solo un handicap ma addirittura diventa una colpa. Perché Davide è stato ucciso due volte, prima dal carabiniere e poi dal tritacarne del pregiudizio sociale, che dopo pochi minuti dalla diffusione della terribile notizia aveva trasformato Davide da vittima a colpevole, come ad alludere che c’era “uno di loro in meno”. Ma Davide non aveva mai commesso alcun crimine. Tommaso, suo fratello maggiore, è morto di infarto a pochi giorni dal giudizio definitivo del tribunale, che di fatto lasciava impunito il carabiniere omicida, reintegrandolo nella prosecuzione del suo lavoro.

Dichiara Agostino Ferrente: ‘Un film non può far resuscitare un bambino ucciso, ma almeno far conoscere il più possibile la sua storia nella speranza che non si ripeta. Per questo ogni volta che succede qualcosa di bello a questo nostro piccolo film, lo dedico ai tre protagonisti, a Davide, che purtroppo non c’è più ma vive nel ricordo della famiglia e degli amici che lo amano e ad Alessandro e Pietro che si sono messi a nudo, aiutandomi a realizzare un film che “parla della morte” raccontando la vita.

La devianza non è una predisposizione genetica di chi nasce, non per sua scelta, nei quartieri popolari. Tutti i ragazzi hanno le stesse potenzialità positive, ma purtroppo non tutti hanno le stesse opportunità. E spesso succede, com’è successo a Davide e ai tanti Davide sparsi nel mondo , che nascere in un quartiere svantaggiato, oltre che essere una barriera diventa anche una colpa, da punire. Vorrei che a questi ragazzi che resistono nonostante tutto, venissero offerte le chiavi della Città, onorificenza che di solito il sindaco assegna a illustri personaggi, e che secondo me meriterebbero anche loro perché, pur vivendo a pochi minuti dal centro di Napoli è come se la città non li considerasse suoi cittadini. È triste amare la propria città di un amore non corrisposto. Mi auguro che questa bellissima nomination, di un premio e un’istituzione tanto importanti, aiuti anche ad avvicinare la città alle sue energie più preziose’.

Selfie è una co-produzione Francia-Italia, prodotto da Marc BerdugoBarbara Conforti insieme a Gianfilippo Pedote, una produzione Arte France e Magneto

in coproduzione con Casa delle Visioni e con Rai Cinema in collaborazione con Istituto Luce Cinecittà. Ha ottenuto il Patrocinio di Amnesty International Italia, che ha accompagnato il film in tante delle proiezioni e dibattiti pubblici che il film ha saputo animare in tutta Italia lungo quest’anno, e per l’Italia è distribuito da  Istituto Luce Cinecittà.

L’appuntamento con la cerimonia di premiazione degli EFA, presieduta da Wim Wenders,  è a Berlino, il prossimo 7 dicembre.

Arte France e Magneto

con Casa delle Visioni e Rai Cinema

in collaborazione con Istituto Luce Cinecittà

presentano

SELFIE

un film di Agostino Ferrente

 prodotto da Marc Berdugo, Barbara Conforti

coprodotto da Gianfilippo Pedote

 una produzione Arte France e Magneto

in coproduzione con Casa delle Visioni e con Rai Cinema

in collaborazione con Istituto Luce Cinecittà

 distribuzione italiana Istituto Luce Cinecittà

uscita

30 maggio

con il patrocinio di

Scritto e diretto da                                        Agostino Ferrente

Interpretato e filmato da                               Alessandro Antonelli, Pietro Orlando

Musiche                                                         Andrea Pesce con Cristiano Defabriitis

Montaggio                                                     Letizia Caudullo con Chiara Russo

Sound Design                                     Benni Atria, Francesca Genevois,

Marco Saitta

Aiuto Regista                                                 Edgardo Pistone

Prodotto da                                                   Marc Berdugo, Barbara Conforti

Coprodotto da                                               Gianfilippo Pedote

una produzione                                             Magneto e Arte France

con il sostegno di                   Centre National du Cinéma et de l’Image Animée e PROCIREP – Société des Producteurs e ANGOA

in coproduzione con                          Casa delle Visioni con Rai Cinema

in collaborazione con             Istituto Luce Cinecittà, Reel One,    

Pirata Manifatture Cinematografiche

e con                                                              Film Commission Regione Campania

Distribuzione  Italia                                       Istituto Luce Cinecittà

Vendite Internazionali                                   Deckert Distribution

 Paese                                                             Francia/Italia

Durata                                                78 minuti

Sinossi

Napoli, Rione Traiano. Nell’estate del 2014 un ragazzo di sedici anni, Davide, muore, colpito durante un inseguimento dal carabiniere che lo ha scambiato per un latitante.

Davide non aveva mai avuto alcun problema con la giustizia. Come tanti adolescenti, cresciuti in quartieri difficili, aveva lasciato la scuola e sognava di diventare calciatore.

Anche Alessandro e Pietro hanno 16 anni e vivono nel Rione Traiano. Sono amici fraterni, diversissimi e complementari, abitano a pochi metri di distanza, uno di fronte all’altro, separati da Viale Traiano, dove fu ucciso Davide.

Alessandro è cresciuto senza il padre, che dopo la separazione dalla madre si è trasferito lontano da Napoli. Ha lasciato la scuola dopo una lite con l’insegnante che “pretendeva” imparasse a memoria “L’Infinito” di Leopardi. Ora fa il garzone in un bar: guadagna poco, non va in vacanza ma ha un lavoro onesto in un quartiere dove lo spaccio, per i giovani disoccupati, è un ammortizzatore sociale di facilissimo accesso.

Pietro ha frequentato una scuola per parrucchieri, ma al momento nessuno lo prende a lavorare con sé. Il padre, pizzaiolo, ha un lavoro stagionale fuori città e torna a casa una volta alla settimana, mentre la madre è andata in vacanza al mare con gli altri due figli. Lui, invece, ha deciso di passare l’estate al rione, per fare compagnia al suo migliore amico e iniziare una dieta che rinvia da troppo tempo.

Alessandro e Pietro accettano la proposta del regista di auto-riprendersi con il suo iPhone per raccontare in presa diretta il proprio quotidiano, l’amicizia che li lega, il quartiere che si svuota nel pieno dell’estate, la tragedia di Davide. Aiutati dalla guida costante del regista e del resto della troupe, oltre che fare da cameraman, i due interpretano se stessi, guardandosi sempre nel display del cellulare, come fosse uno specchio, in cui rivedere la propria vita.

Una disputa allontana i due amici: Alessandro preferirebbe venisse raccontato solo il loro rapporto e il resto delle cose belle del rione, ché di quelle brutte parla già quotidianamente la stampa. Pietro, al contrario, non vorrebbe tacere nulla, perché solo così lo spettatore potrà capire quanto è difficile per loro, in quel contesto,  vivere una vita “normale”.

Il racconto in “video-selfie” di Alessandro e Pietro e degli altri ragazzi che partecipano al casting del film viene alternato con le immagini gelide delle telecamere di sicurezza che sorvegliano come grandi fratelli indifferenti  una realtà apparentemente immutabile, con i ragazzi in motorino che sembrano potenziali bersagli in un mondo dove la criminalità non sembra una scelta ma un destino che ti cade addosso appena nasci.

Un film fatto interamente di sguardi dove il rione appare ai due ragazzi come una parafrasi dell’Infinito di Leopardi, che Alessandro prova finalmente a raccontarci: circondato da un muro che esclude la conoscenza di tutto ciò che sta al di là e che forse, si augura, un giorno, almeno i suoi figli potranno finalmente scoprire.

Note di regia

Dopo L’Orchestra di Piazza Vittorio e Le cose belle, avevo giurato di non realizzare più documentari. Avevo sofferto troppo entrando nelle vite delle persone coinvolte: non so fare documentari diversamente, ho bisogno di immergermi a fondo nella realtà che voglio raccontare, fino a diventarne parte. Non so realizzare documentari d’osservazione, raccontare in maniera neutra. No: io sprofondo nella realtà di cui mi innamoro e non voglio più raccontarla,  voglio modificarla, “ripararla”.

Ma poi venni a conoscenza della storia di Davide.

 Se ne era parlato molto tra giornali e talk show e mi aveva colpito la facilità con cui un ragazzino colpevole solo di avere l’età sbagliata nel momento e nel posto sbagliati, per molti era diventato il colpevole e non la vittima: a poche ore dalla notizia il tritacarne del pregiudizio sociale aveva già sentenziato che si trattava di un potenziale delinquente e che quindi, in fondo, era solo “uno in meno”.

 Gianni Bifolco, il papà di Davide, mi aveva dato appuntamento al Bar Cocco. Gli raccontavo che non volevo realizzare un’inchiesta sulla dinamica dell’accaduto, anche volendo non ne sarei stato capace, volevo piuttosto provare a raccontare il contesto nel quale quella tragedia assurda si era consumata. Per questo mi sarebbe piaciuto incontrare ragazzi del rione che avevano la stessa età di Davide quando era stato ucciso. Era capitato a lui, ma poteva succedere a loro. Volevo che, partendo dalla sua storia, raccontassero se stessi e il proprio universo.

Mentre riferivo il mio progetto ci venne incontro l’inserviente del bar, un ragazzino con la faccia magra da adolescente che andava di fretta perché doveva prepararsi per la festa della Madonna dell’Arco.

Gli chiesi se gli andava di filmare la cerimonia con il mio smartphone, pregandolo di tenersi sempre nell’inquadratura. Lui accettò e mi colpì perché durante la processione si commosse ma non smise di filmare se stesso tra le lacrime, con la statua della Madonna alle sue spalle. 

Il giorno dopo si presentò da me, sempre al bar Cocco, un ragazzo paffutello e con i baffi, che si definiva il migliore amico di Alessandro. Sembrava molto più grande ma giurava di avere anche lui 16 anni..

Chiesi ad entrambi di “farsi” un provino col mio iPhone in una scuola appena ristrutturata e già in abbandono. Avevo convocato anche altri ragazzi con loro, ai provini, perlopiù amici intimi Davide, oltre ad alcune ragazzine e qualche bambino. Ma era già chiaro: i protagonisti del film sarebbero stati loro due, Alessandro e Pietro.

Ho consegnato loro due cellulari, affinché, attraverso l’espediente del selfie “responsabilizzato”, si annullasse ogni filtro tra loro e il regista (il primo spettatore del film) e i due, privati dell’ansia della prestazione indotta da una telecamera usata da un operatore, si potessero concentrare di più su quello che dicono e fanno. Ma non avevo intenzione di subappaltare, anche solo in parte, la regia del film, non cercavo un documentario “partecipato”: ho solo chiesto ai miei protagonisti di essere al tempo stesso anche cameraman, col compito di auto-inquadrarsi, da me guidati, guardandosi sempre nel display del cellulare come se fosse uno specchio: in cui rispecchiare sé stessi e il mondo alle loro spalle, così che quello specchio potesse diventare lo schermo cinematografico – per vedere (farci vedere)  Alessandro e Pietro che osservano se stessi  e il proprio contesto sociale e umano, la loro vita: i quartieri popolari di Napoli sono stati raccontati in lungo e in largo. Anch’io nel mio piccolo l’ho fatto, cercando “le cose belle” nascoste tra le rovine dovute frutto del disinteresse delle istituzioni, i fiori che resistono, nonostante tutto. La mia nuova ossessione era raccontare gli sguardi di questi ragazzi, concentrandomi non su quello che vedono, che oramai tutti conosciamo, ma sui loro occhi che guardano. Agostino Ferrente

Ringraziamenti

Il regista ringrazia Maurizio Braucci e Massimiliano Virgilio che per primi lo hanno introdotto alla vicenda di Davide Bifolco, con i loro scritti pubblicati nel libro “Una città dove ammazzano i ragazzini” Pubblicato da le Edizioni dell’Asino  nell’autunno del  2014 (pochi giorni dopo la tragedia). Agostino Ferrente

 (Cerignola, Foggia, 1971) è regista, produttore, direttore artistico.

Prima di occuparsi di cinema è stato anche coordinatore editoriale di varie testate giornalistiche per le comunità di italiani emigrati all’estero.

Dopo aver studiato al DAMS di Bologna e aver frequentato Ipotesi Cinema di Ermanno Olmi, produce, con la sua Pirata Manifatture Cinematografiche, e dirige i cortometraggi Poco più della metà di zero (1993) e Opinioni di un pirla (1994).

In seguito realizza con Giovanni Piperno Intervista a mia madre (1999) e Il film di Mario (1999-2001). Entrambi ottengono riconoscimenti festivalieri e diventano di piccoli casi in tv.

Nel 2001, insieme a una decina di complici, fonda a Roma il gruppo “Apollo 11” che salva lo storico cinema-teatro Apollo dal rischio di diventare sala bingo e con rassegne di cinema, musica e scrittura, diventa uno dei centri di produzione culturale più vivaci della Capitale, il primo con una programmazione continuativa dedicata al Cinema della realtà.

Nell’ambito di Apollo 11 crea una profonda collaborazione che con due maestri del cinema indipendente: Alberto Grifi e Vittorio De Seta e, insieme a Mario Tronco degli Avion Travel, crea L’Orchestra di Piazza Vittorio, una della prime band multietniche al mondo, di cui racconta la nascita con il documentario omonimo, che partecipa a numerosi festival internazionali ottenendo – tra gli altri premi – il Nastro D’Argento e il Globo d’Oro della Stampa Estera.

Con Anna Maria Granatello crea il Premio Solinas – Documentario per Il Cinema.

Ha realizzato due video clip entrambi premiati al P.I.V.I. per Ena Andi, dell’Orchestra di Piazza Vittorio, e Alfonsina e la bici dei Tetes de Bois, con la partecipazione di Margherita Hack.

Nel 2013 dirige con Giovanni Piperno Le cose belle, presentato in anteprima alle Giornate degli Autori a Venezia e premiato in numerosi festival italiani e internazionali.

Attualmente sta sviluppando il suo primo film di finzione.

Filmografia

2019    Selfie

2013    Le cose belle (doc, con Giovanni Piperno)

2006    L’Orchestra di Piazza Vittorio

2004    Scusi, dov’è il documentario? (collettivo)

2000    Intervista a mia madre (con Giovanni Piperno)

1999    Il film di Mario (con Giovanni Piperno)

1994    Opinioni di un pirla (cm)

1993    Poco più della metà di zero (cm)

SelfieIl Treiler

Redazione Sicilia/Mariella Musso

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