La Repubblica celebra Lorenzo Insigne: “La lezione è semplice. Mai disperarsi quando salta un affare di mercato. Se ad agosto fosse arrivato il trequartista chiesto da Sarri, uno fra Soriano e Saponara, oggi il Napoli non conoscerebbe un Insigne così. Uno che prima serve a Higuaín «un pallone su cui c’è scritto: basta spingere» (copyright di Pablito Rossi, Mundial ’82, gol alla Polonia su cross di Bruno Conti) e poi pitta un calcio di punizione che a volergli cercare un modello il San Paolo saprebbe dove andare a parare. Il San Paolo sì, Skorupski no. Perciò a questo punto del campionato, dopo dieci gol e più assist di tutti in serie A (nove), il dubbio comincia a diffondersi: Insigne non sarà diventato per caso il miglior giocatore italiano? Forse sì, ma per caso no. Se fosse un pugile, coi suoi cinquantasette chili sarebbe un peso piuma, eppure per muoversi con questa nuova leggerezza ha dovuto fare il giro delle sue fragilità e dei suoi limiti. Zeman gli insegnò a puntare la porta, 19 gol un anno a Foggia e 18 a Pescara. Da Mazzarri, che lo vedeva riserva di Pandev, ha imparato l’arte di aspettare il proprio turno; da Prandelli, in Brasile, a uscire integro dopo un processo: «Mi aspettavo di più» disse il ct del suo Mondiale, 25 minuti in tutto contro Costa Rica. Con Benítez ha imparato a inseguire un terzino, con Sarri a essere se stesso. Senza più zavorre, tipo essere napoletano a Napoli: impresa cento volte più audace che diventare Bergomi all’Inter, Marchisio alla Juve o Totti a Roma”
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