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nche quest’anno la scuola inizierà con migliaia di cattedre vacanti, trasferimenti dei docenti ancora da completare, supplenti da assegnare all’ultimo minuto. Così è in gran parte d’Italia, con Torino e il Piemonte – come ci ha riferito questo giornale – messi peggio di altri.
«Com’è possibile?», si chiederanno le famiglie. La riforma della Buona Scuola non aveva stabilizzato 90.000 docenti precari l’anno scorso e previsto altri 63.000 posti di ruolo con il concorso nazionale iniziato in primavera? Non si era detto, spesso enfaticamente: basta con le cattedre prive di titolare, basta con gli oltre 100.000 supplenti annuali, che ogni anno abbandonano volenti o nolenti i loro allievi, basta con le assunzioni che non passano da una seria verifica delle competenze dei nuovi docenti?
Le cose non sono andate proprio così. Nel primo anno della Buona Scuola le supplenze sono sostanzialmente rimaste le stesse del passato e a settembre saranno ancora tantissime; il trasferimento di alcune migliaia di docenti di ruolo da Sud a Nord incontra forti resistenze, come le feroci polemiche di quest’estate ci hanno mostrato; i ricorsi giudiziari da dirimere sono innumerevoli. Per quanto riguarda il concorso, è già certo che poco più di 500 delle oltre 800 classi di concorso (e solo metà dei candidati) completeranno le prove entro la data prevista del 15 settembre: fra le 20 e le 30mila cattedre rimarranno quindi quest’anno senza vincitori, soprattutto nella scuola primaria e dell’infanzia, e dovranno essere coperte da supplenti.
Ma forse la notizia più sorprendente è l’elevato numero di bocciature al concorso. Sappiamo, infatti, che il 55% dei 71.000 candidati di cui già è noto l’esito degli scritti (in tutto sono 175.000) non è stato ammesso all’orale: in pratica, uno su due non avrebbe le competenze per insegnare. E questo nonostante il concorso sia riservato agli abilitati, docenti di cui, in altre parole, in passato erano stati accertati i requisiti minimi per entrare in aula. I bocciati agli scritti lamentano un eccesso di severità , una disparità nei criteri di valutazione (è possibile, molte commissioni sono state composte all’ultimo momento, dopo i rifiuti dei commissari selezionati per l’esiguità dei compensi e l’impegno agostano) e un’iniquità di trattamento rispetto ai colleghi messi in ruolo l’anno scorso. Su questo ultimo punto hanno sicuramente ragione. Come abbiamo spesso lamentato, i precari delle Graduatorie ad esaurimento sono stati assunti senza alcuna verifica delle competenze: in molti casi, erano persone che avevano insegnato saltuariamente o addirittura non insegnavano da anni. Se oltre la metà dei candidati al concorso – in genere più giovani, molti di fresca abilitazione – non è stata ammessa all’orale, possiamo solo immaginare che cosa sarebbe successo se anche i docenti dello scorso anno fossero stati sottoposti a verifica. Di sicuro, allora non è stato fatto un buon servizio alla qualità della scuola italiana.
In definitiva, questo concorso sancisce in via definitiva l’inefficacia dei vari sistemi di abilitazione che si sono susseguiti negli anni. Se così tanti non riescono a superare l’esame, viene il sospetto che molti – anche se non tutti – dei percorsi di abilitazione offerti dalle università siano stati poco più di un modo per spillare soldi ai docenti. La Buona Scuola prevede che in futuro l’abilitazione all’insegnamento si ottenga dopo un percorso molto lungo e largamente teorico, condotto, come in passato, soprattutto dagli atenei. A differenza delle più efficaci esperienze europee, la necessaria pratica didattica verrebbe svolta solo dopo l’abilitazione. Insomma, sono autorizzato ad andare in aula, ma non mi è stato insegnato come si fa. Le premesse non sono delle migliori.
*Direttore Fondazione Agnelli
vivicentro.it/opinione
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