Ivan Scalfarotto (agf)
Il racconto del deputato dem, Scalfarotto, tra coming out e accuse dai cattolici Pd: “Colpa tua se il vescovo non mi saluta”
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OMA. “Da tempo ho fatto testamento in favore di Federico, ma mi giravano le palle. Ero andato da un vecchio notaio di Milano per un diritto che doveva essere pubblico, di tutti. Quando tornai a casa con il pezzo di carta, il mio compagno non lo volle neanche vedere: “Mettilo via che porta sfiga””. Ivan Scalfarotto, 51 anni, deputato del Pd, racconta la sua doppia storia: quella del sottosegretario alle Riforme (oggi è viceministro allo Sviluppo) che ha seguito da vicino i passaggi della legge sulle unioni civili e quella del ragazzino che si è vergognato e ha sofferto, che ha trovato il coraggio di fare coming out con il padre a 27 anni, che ricorda quando a Foggia, la città dov’è cresciuto, la coetanea Vladimir Luxuria rompeva il muro “mostrandosi, esibendosi. Più lei si esponeva, insultata e maltrattata, e più mi nascondevo. Mi sentivo un vigliacco mentre Vladimir era la mia eroina. Adesso qualcuno la vorrebbe sindaco…”. La ruota gira e la società cambia. “E’ proprio una bella giornata”, sospira Scalfarotto. Una giornata di ricordi, tanti brutti. Ma ora si può “sposare”, no? “Aspetto che me lo chieda Federico. In un posto romantico”. La normalità invece della diversità.
Suo padre che disse?
“E’ diventato presidente del circolo foggiano di Agedo, l’associazione dei genitori di figli gay. Oggi non c’è più e il circolo si chiama Gabriele Scalfarotto. Lo slogan dell’Agedo è semplice: “Etero o gay, sono figli miei”. Questa legge cambierà le cose per tutti i ragazzini omosessuali com’ero io. Non solo a Milano e Roma, le metropoli, ma anche a Rocchetta Sant’Antonio, in provincia di Foggia, perché entrerà in vigore anche lì”.
Come può una legge proteggere un giovane dalla scoperta della propria sessualità?
“Certo che può. Essere figlio di separati negli anni ’60 era una vergogna, oggi è normalissimo. Sarà tutto più naturale. Renzi lo disse alle associazioni gay quando saltò l’accordo con i 5stelle al Senato. Li incontrammo in una pausa dell’assemblea nazionale del Pd, erano arrabbiati per il fallimento, per lo stralcio della stepchild adoption. Matteo li affrontò anche a muso duro: “Guardate che questa legge mica la facciamo solo per voi, la facciamo per l’Italia. Come è stato per il divorzio””.
Ha provato la discriminazione anche durante le tappe del provvedimento?
“Nei dibattiti pubblici o nei talk televisivi invitavano sempre me e un giurista per la vita o uno del Family day o uno di Manif pour tous . “Se il criterio è quello dell’amore, allora vale anche il matrimonio con il cane”, disse uno di loro in un liceo romano. Mi alzai di scatto: “Federico non è un cane””.
Scappò?
“No, rimasi. Ma mi fu più chiaro il meccanismo e ho detto basta a un aberrante par condicio. Non si mette sullo stesso piano chi chiede più diritti e chi li vuole negare. Come se accanto a un ebreo si dovesse mettere sempre un nazista o accanto a un nero un membro del Ku Klux Klan”.
Discriminazioni da parte dei colleghi?
“Per studiare un testo che dopo il passaggio in Senato fosse approvato subito dalla Camera, il Pd istituì un comitato paritario: 5 deputati e 5 senatori. Vado a uno di questi incontri. Stefano Lepri (senatore del Pd ultracattolico ndr) mi blocca: “Sei qui come governo?”. Io, sulla difensiva: “No, come Ivan”. E lui, gelido: “Allora sei un deputato, qui siamo già al completo. Ti accompagno alla porta””.
Bel clima. I cattolici dem volevano far saltare tutto?
“Un nostro senatore mi disse, serio: “Per colpa tua il vescovo mi ha tolto il saluto”. I cattolici non volevano la legge. Puntavano a svuotarla, in modo che i gay non l’avrebbero più difesa e le Sentinelle in piedi avrebbero continuato ad attaccarla. Proprio come è successo con la norma sull’omofobia. Io ho pensato: “Non mi faccio fregare una seconda volta””.
Allora avete cercato i 5stelle e vi hanno fregato anche loro.
“Andiamo da Renzi io, la Boschi, Rosato e Zanda. “Facciamo un accordo che rompe la maggioranza di governo, ci copri?”. Andate avanti, risponde. Quando i grillini non votano il canguro al Senato si capisce che abbiamo fatta una cazzata politica grande come una casa. Se c’era il Pcus ci avrebbero spediti in Siberia… Quella sera sono a cena con Federico che guarda le foto sul mio cellulare. “C’è un Matteo che ti cerca”, dice. Leggo Whatsapp, messaggio di Renzi: “Solo fra me e te, che facciamo?””.
E lei?
“Mi aspettavo un vaffa invece… “Mettiamo la fiducia e stralciamo la stepchild”, scrivo. Renzi era già pronto”.
Il suo sciopero della fame sembrò ad alcuni una burletta.
“Venti giorni, dal 28 giugno al 18 luglio. Dopo tre giorni non senti più la fame. Arturo Scotto di Sel mi dice: “È ridicolo fare lo sciopero della fame contro il tuo governo. Perché non ti dimetti?”. Ma io non lo facevo contro il governo, volevo smuovere le coscienze. Dovevo finire in ospedale, ero sicuro che una volta ricoverato sarebbe successo qualcosa”.
Smise solo per la promessa di Renzi.
“Mi telefonò: “Se non mangi ti spezzo le gambe”. Promise pubblicamente la legge. Mi fidai. Ho fatto bene. Adesso siamo come gli altri, costruiremo delle famiglie uguali alle altre”.
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