Torino e Milano non trovano l’intesa sul Salone del Libro e dunque ve ne saranno due. “È andata come doveva andare, cioè male”, commenta Massimo Gramellini nel suo editoriale. “La Patria degli analfabeti di ritorno, e spesso di sola andata, avrà due fiere del libro in meno di un mese e di cento chilometri. Troppa grazia, sicura disgrazia”, aggiunge Massimo.
Salone, la somma non farà mai il totale
È andata come doveva andare, cioè male . La Patria degli analfabeti di ritorno, e spesso di sola andata, avrà due fiere del libro in meno di un mese e di cento chilometri. Troppa grazia, sicura disgrazia. Anche se non una tragedia. Solo una figuraccia. E un’occasione perduta. La fiera del libro di Milano si chiamerà Fabbrica, si svolgerà a fine aprile nei padiglioni di Rho ancora caldi di Expo eospiterà i grandi editori, gli scrittori internazionali invitati dai grandi editori e i giornalisti di tutta Italia, che la illumineranno con centinaia di articoli e decine di servizi televisivi. Quella di Torino continuerà a chiamarsi Salone, si svolgerà a maggio nel costosissimo Lingotto e ospiterà i piccoli editori, gli autori di nicchia e i giornalisti di tutto il Piemonte e delle riviste specializzate. Per gli scrittori italiani delle grandi case editrici cambierà poco: se prima i loro libri primaverili dovevano essere pronti a maggio, in tempo utile per la kermesse torinese, adesso verrà loro chiesto di anticiparli ad aprile, così da garantire a Milano lo «jus primae noctis», esaudito il quale saranno liberi di affacciarsi in seconda battuta al Lingotto.
C
i abitueremo, ci si abitua a tutto. Milano andrà avanti senza guardarsi indietro né intorno, energica ed efficiente come tutti i predatori. Torino attraverserà la fase del mugugno, accusando i milanesi di averle portato via anche i libri, dopo la moda e la pubblicità. Ma al mugugno seguirà un sussulto d’orgoglio, culminante in un’idea innovativa che in caso di successo finirà a Milano fra una trentina d’anni.
I milanesi non hanno più colpe di quante ne ebbero i visigoti nel disfacimento dell’Impero Romano. Hanno visto un vuoto e da abili imprenditori ci si sono infilati senza pietà. Ingabbiato nelle sue complesse procedure pubbliche, il Salone di Torino ha avuto almeno due anni per risolvere i problemi interni e porre rimedio allo scandalo dell’affitto dei padiglioni del Lingotto, di sei volte superiore a quello della Fiera di Milano. Un milione e duecentomila euro. A riprova che era esagerato, la nuova sindaca Appendino è riuscito a dimezzarlo in meno di due ore, ma era ancora troppo caro e soprattutto era troppo tardi. Milano aveva ormai fiutato e afferrato la preda. I tentativi di mediazione del ministro Franceschini sono falliti di fronte alla evidente sproporzione delle forze in campo. A Torino è stata chiesta una capitolazione umiliante che non poteva accettare. I milanesi volevano tenersi tutti gli editori (e gli autori) e lasciarle soltanto i librai. Su queste colonne avevo lanciato una modesta proposta di compromesso: evitare la concomitanza delle date, letale per la più piccola Torino, dando vita a una staffetta che lasciasse a Milano la fiera e sotto la Mole lo spettacolo della lettura nelle piazze. Pur avendo ricevuto il gradimento di tanti lettori comuni, anch’essa è ovviamente naufragata nei campanilismi degli addetti ai lavori e ai livori.
Nell’emergenza ciascuno ha dato il peggio di sé, accusando la controparte di arroganza e disonestà. I milanesi si sono sentiti trattati come dei droghieri del libro attenti solo ai fatturati e adesso vorranno dimostrare di sapere organizzare una fiera culturale con lo stesso gusto dei torinesi. I quali, a loro volta, fomentati dai piccoli editori, si accingono a raccontare la prossima disfida dei due Saloni come un duello tra la gretta quantità di Milano e la raffinata qualità di Torino. Ma il segreto del Salone del Libro, diretto da intellettuali sublimi come Beniamino Placido e Ernesto Ferrero, consisteva proprio nel riuscire a mettere insieme quantità e qualità, tappeti rossi e materia grigia, Fabio Volo e lo scrittore tunisino esordiente. Paragonandolo al cinema, era come avere la Mostra di Venezia e il Torino Film Festival nello stesso luogo e nello stesso momento. Un miracolo durato ventinove anni. Ora la dabbenaggine e l’avidità degli uomini lo hanno spaccato in due. E ci spiace contraddire il grande Totò, ma stavolta la somma non fa il totale.
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