Milano è capofila – commenta Luigi La Spina – di una richiesta di aiuto che arriva dalle città, mentre la legge sulla sicurezza urbana è impantanata al Senato. Il sindaco di Milano Giuseppe Sala chiede più soldati nelle periferie. L’emergenza è evidente: venerdì una sparatoria tra albanesi a Cornaredo, sabato la coltellata (in via Padova, zona di immigrati) ad Antonio Rafael Ramirez, 37 anni, dominicano e immigrato irregolare, morto ieri per le conseguenze della ferita.
Come evitare l’errore delle banlieues a Milano
Prima di tutto occorre evitare due atteggiamenti contrapposti, inutili, nel migliore dei casi, spesso molto dannosi perché rendono più complicata una situazione già molto complicata. Il primo è quello di coloro che, facendosi scudo di nobili parole, come «solidarietà», «accoglienza», «compassione», evitano la gravosa, ma doverosa, responsabilità di valutare le conseguenze della trasformazione sociale, etnica, culturale, religiosa di molti quartieri delle nostre città. Il secondo, altrettanto facile e lucroso di consensi a buon mercato, è quello di chi invoca soluzioni impossibili, tanto illusorie quanto semplicistiche.
I fenomeni migratori, in tutto il mondo, si possono e si devono controllare, limitare, ma non si possono fermare.
Tra l’altro, al di là di obbligate considerazioni umanitarie, sul Mar Mediterraneo non si possono costruire muri e l’unica alternativa all’accoglienza sarebbe mandare a morte migliaia di persone. E’ giusto lo sforzo di contenere gli arrivi attraverso accordi con gli Stati di provenienza degli immigrati che prevedano aiuti in denaro e in assistenza per migliorare le condizioni di vita in quelle regioni del mondo. Ma onestà intellettuale richiede di ammettere che sarà difficile, in nazioni senza stabili e credibili governi, in zone di guerre civili, ottenere risultati concreti e, soprattutto, in tempi non lunghissimi.
Di fronte alla crescente inquietudine e, in alcuni casi, di fronte alla vera angoscia di sindaci che non possono più ignorare i problemi che le ondate immigratorie provocano nelle loro città non si può né alzare le braccia in segno di resa, né accusarli di ingiustificati allarmi. Il drammatico esempio delle banlieues a Parigi o a Bruxelles, covi di disperazione, di terrorismo, territori di fatto esclusi da qualsiasi presenza dello Stato, è, per ora, solo un incubo da scacciare, ma, in futuro, è una eventualità da non escludere anche dentro i nostri confini.
Si deve, allora, affrontare la realtà con misure, possibili, urgenti, coraggiose che aiutino l’integrazione dei migranti in due principali emergenze, quella abitativa e quella lavorativa. Occorrono leggi che, da una parte, consentano di trovare sistemazioni decenti per gli immigrati, evitando concentrazioni in ghetti urbani e, dall’altra, favoriscano il loro inserimento nel mondo del lavoro. A fronte di tali interventi, lo Stato deve esigere la frequenza di lezioni per una obbligatoria conoscenza della nostra lingua che comporti anche una accettazione piena e verificabile delle fondamentali regole che la nostra Costituzione impone a tutti i cittadini. Senza tollerare, più o meno tacitamente, violazioni dei principi sui quali si regge la nostra convivenza civile. Violazioni che dovrebbero comportare l’immediata espulsione dal nostro territorio di chi se ne rendesse colpevole, perché non è più ammissibile la consuetudine di fogli di via che vengono ignorati o stracciati appena si esce dall’ufficio che li ha consegnati.
La retorica di una accoglienza che non si fa carico dei problemi suscitati dalle ondate immigratorie è, ormai, insopportabile. Così come è ridicola quella che fa la faccia feroce e lancia proclami irrealizzabili. Gli abitanti delle nostre città meritano di meglio.
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