A Roma è lotta di potere tra Virginia Raggi e il direttorio M5S. Per il Movimento la grande opportunità di governare la capitale si trasforma in una prova ad alto rischio. Esplode la protesta della base M5S e sul blog di Beppe Grillo alcuni messaggi vengono depennati. I vertici chiedono alla sindaca di rivedere le nomine di 4 membri dell’amministrazione capitolina considerati espressione dei “vecchi poteri”. La prima cittadina tenta di non cedere su tutta la linea. Oggi il direttorio la incontra.
Lotta di potere sull’eredità di Casaleggio
L
a cosa più stupefacente è che hanno fatto e stanno facendo davvero tutto da soli. Quello che sta accadendo a Roma, dove un’esperienza amministrativa appena nata si sta accartocciando su se stessa davanti allo sguardo sbigottito anzitutto degli elettori grillini, è un avvenimento politico di prima grandezza. Destinato ad avere ripercussioni almeno pari a quelle del referendum e capace di imprimere una brusca svolta alla vicenda italiana e alla natura stessa dei cinque stelle. La pietruzza di un’assessora maldestra e (quantomeno) reticente, rotolando giù dal colle del Campidoglio, ha colpito prima la sindaca Raggi e poi, a cascata, il candidato in pectore Luigi Di Maio. Macchiandone l’immagine e indebolendolo sul piano interno a favore di un altro potenziale leader come Alessandro Di Battista. Perché «Roma è Roma», come disse lo stesso Di Maio, non è Quarto o Livorno. Se il Movimento cade nella Capitale è finito.
A ben vedere non è la prima grave crisi di maturità dei cinque stelle dalla loro clamorosa affermazione nel 2013. Altri momenti molto difficili furono le espulsioni di massa del primo anno, culminate con l’assalto degli eretici alla villa di Grillo a Marina di Bibbona, la sconfitta alle Europee da parte di Renzi, la gestione dei sindaci di Parma e Quarto.
Nulla di paragonabile al caso Raggi. E c’è una ragione precisa che porta a considerare questo il passaggio centrale per capire quello che sarà e come evolverà il partito-non-partito che ha rivoluzionato la politica italiana. Il motivo si chiama Gianroberto Casaleggio. Il vero leader dei Cinquestelle, il capo «politico». «Il movimento farà a meno di me e di Grillo», disse in una intervista a Lucia Annunziata del 2014. Quel momento è arrivato. Cosa avrebbe fatto Casaleggio? Possiamo supporre che avrebbe convocato a Milano Raggi e le avrebbe intimato di cacciare su due piedi l’assessore Muraro e tutto quel giro di strane figure di staff di cui si è circondata. Pena l’espulsione immediata. Non avrebbe aspettato di essere travolto dallo scandalo e dalle bugie, avrebbe agito in contropiede. In maniera anche brutale. In fondo si deve a Casaleggio quell’articolo 9 del codice di comportamento degli eletti che impone al sindaco e a «ciascun assessore e ciascun consigliere di dimettersi laddove, in seguito a fatti penalmente rilevanti, venga iscritto nel registro degli indagati».
E’ quello che il Direttorio ha chiesto in extremis alla sindaca: la cacciata delle anime nere che hanno «contaminato» la purezza del M5s. Ci sono arrivati però dopo mille reticenze, mezze bugie, afasie e convulsioni, disvelando in questo modo una sorda lotta di potere interna. Da come il partito-non-partito uscirà da questa vicenda si capirà non solo chi comanda davvero a Roma – se i vertici M5S o la sindaca scelta da quasi 800 mila romani – ma soprattutto se il gruppo dirigente che ha preso in mano il Movimento dopo la morte del leader ha la capacità e lo spessore di candidarsi a guidare il Paese. «E’ in arrivo una tempesta, con lampi e tuoni», profetizzò ai primi di agosto uno stralunato Beppe Grillo in un video che fece molto rumore. Quello che non si aspettava è che avrebbe piovuto solo sui suoi ragazzi.
vivicentro.it/opinione
vivicentro/A Roma è resa dei conti: una grande opportunità si trasforma in una prova ad alto rischio.
lastampa/Lotta di potere sull’eredità di Casaleggio FRANCESCO BEI
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