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Castellammare di Stabia

Il ritorno degli antichi in politica. Dalla Sicilia un segnale positivo

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Il 4 marzo andate, andiamo, vai a votare. La nausea, la depressione, l’avvilimento, la disperazione, serve solo ai nostri vari imbellettati di sempre.

Se l’Italia ha bisogno in politica del ritorno degli antichi (l’età non c’entra) per risollevarci, significa che questi stessi individui, come quelli ancora oggi allineati, con la loro politica evidentemente inconcludente ed ipocrita, hanno compromesso da anni la formazione di parte delle varie generazioni che non sanno più esprimere canditati, ma solo bimbiminchia e battute.

Non ci si è infatti e di tutta evidenza curati in questa Nazione, che qualcosa nel mondo andava modernizzandosi e particolarmente dal secolo scorso, soprattutto in occidente dopo due violente guerre mondiali che hanno modificato anche la percezione dello Stato, da despota a democratico, in cui tutti partecipano e insieme si evolvono e sono alla pari (dovrebbero esserlo).

Ha invece prevalso un patinato egocentrismo da clan, per cui la trasversale politica, le istituzioni, ecc. si sono avvitati nei propri palazzi con una sola innovazione, quella di piegare e assoggettare forzosamente gli altri concittadini attraverso leggi, sentenze e regolamentazioni,  senza parallelamente istruire le nuove generazioni, a partire da noi adulti fino ai nostri ragazzi, a questi nuovi concetti di diritto e altro, che sono alla base della nostra civiltà. Così la politica e i rispettivi Palazzi compiacenti, conniventi e convittuali, hanno deliberato norme per i loro scopi egemoni politico-sociali-economici, lasciando in massima parte la gente in uno stato di nuova insipienza, in balia del consumismo e della cosiddetta cultura (parola speculativa buona per tutte le occasioni e passerelle).

E mai come negli ultimi decenni si è anche diffuso, per via dei potenti mezzi tecnologici-mediatici-informatici, il metodo “Panem et circenses” (letteralmente «pane e [giochi] circensi») è una locuzione latina piuttosto nota e spesso citata, usata nell’antica Roma e al giorno d’oggi per indicare in sintesi le aspirazioni della plebe (nella Roma di età imperiale) o della piccola borghesia … la locuzione è stata poi usata, soprattutto in funzione critica, per definire l’azione politica di singoli o gruppi di potere volta ad attrarre e mantenere il consenso popolare mediante l’organizzazione di spettacoli e attività ludiche collettive o ancor più specificatamente a distogliere l’attenzione dei cittadini dalla vita politica, in modo da lasciarla alle élite. Con intenzione simile, si è usata l’espressione Feste, farina e forca per definire la vita nella Napoli del periodo borbonico, in cui all’uso di feste pubbliche e di distribuzioni di pane si accompagnava la pratica di numerose impiccagioni pubbliche come dimostrazione della capacità del potere politico di assicurare il mantenimento della legalità.

Sicché ancora in politica ci dobbiamo sorbire schiere di raffermi di sempre o rispettivi familiari e delfini, che ci fanno persino la morale sulla necessità dei vitalizzi, enunciandoci pure ritritati programmi, mentre loro e le rispettive pletore elettorali di strapagati con superremunerazioni, superpensioni, mantenuti, cantastorie, gonfiati e ondivaghi, continuano ad ingozzarsi facendo debito pubblico ed estorcendoci fiscalmente.

Tuttavia, se in questa Nazione siamo ancora esseri pensanti, non possiamo continuare ad essere sudditi, anzi quasi civili schiavi di queste boriose orde di trasversali asociali e che in massima parte incancreniscono in modo arrogante nel sistema pubblico-politico.

Se si vuole, se vogliamo, se vuoi cambiare questa subdola, autocrate e manierata democrazia italiana (ed europea) in un moderno, trasparente, progressista e civile governo della gente, il 4 marzo andate, andiamo, vai a votare. Se non andremo a votare non ci sarà niente da fare.

La nostra nausea, depressione, avvilimento e anche disperazione verso la irrancidita politica, a seguito della quale la metà degli aventi diritto non va più a votare, giova solo ai medesimi patinati imperiosi che ci sono da decenni nello Stato, Regioni, Enti, Partecipate, Comuni e rispettivi eserciti elettorali e allineati di profittatori, opportunisti, lucciole e gigolò, per continuare a pascolarci come un parco buoi, così da fornire a tutti loro e a vita, latte, carni e pelli, mediante il sacrificio della nostra dignità, esistenza e a volte pure unica vita.

Anche se a volte nei palazzi ci sono segnali di civiltà e attualità.

Spesso infatti si critica la Sicilia e i siciliani, il primo io che con i miei conterranei non sono mai tenero. Però ci sono occasioni in cui le indicazioni di dignità e scatto di intelligente orgoglio umano provengono proprio da questa Isola.

E il caso di quanto avvenuto ieri all’ARS (Assemblea Regionale Siciliana, il Parlamento siciliano) ove la prima commissione ha bocciato il disegno di legge che prevedeva la possibilità del terzo mandato per i sindaci dei Comuni al di sotto dei tremila abitanti.

Un testo presentato da Luigi Genovesi di Forza Italia, e che interessa soprattutto il territorio messinese, composto da tanti piccoli centri. Ma la commissione ha detto di no. A votare contro, infatti, sono state, compatte, le opposizioni composte dai quattro deputati grillini (Pagana, Ciancio, Cancelleri, Mangiacavallo), dall’esponente del Pd Lupo (era assente Cracolici) e da Fava.

“La bocciatura – dichiara il capogruppo del Pd Giuseppe Lupo – sancisce la sfaldatura della coalizione che sostiene il governo Musumeci anche in commissione affari istituzionali. È grave che la maggioranza abbia respinto la richiesta del Pd, e di altri deputati che insieme a noi hanno votato contro, di sentire in commissione il parere dell’Anci – conclude Lupo- in rappresentanza dei Comuni prima di procedere alla votazione testo”.

Contrario anche il voto di Vincenzo Figuccia, formalmente ancora deputato dell’Udc, partito di maggioranza, ma assai irrequieto dopo l’addio all’assessorato all’Energia e soprattutto dopo le prese di posizione nei suoi confronti dei partiti di maggioranza. “Non mi ha mai convinto – commenta Figuccia – una norma che preveda il terzo mandato per i sindaci dei comuni sotto i tremila abitanti.

Oggi in prima commissione Ars il mio voto contrario è stato determinante per bocciare tale disegno di legge (sei contro cinque). Credo che la materia vada regolamentata meglio e non con norme ad hoc in vista delle elezioni amministrative di primavera magari per garantire qualche piccolo feudo elettorale. Anche negli enti locali c’è bisogno di rinnovamento nelle Istituzioni. L’epoca dei sindaci per tutte le stagioni deve finire”.

Ecco, questo occorre, rinnovamento (intellettualmente onesto, compenetrato e competente). Anche partendo dal basso. Soprattutto a cominciare dai Comuni, ove alloggia e risaputamente una misconosciuta spartizione, connivenza, mangiucchia, corruzione, dispotismo, cortigianeria, parzialità e voto di scambio. Ma di ciò ne parleremo in un altro articolo.

A

dduso Sebastiano.

wikipedia – livesicilia


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