Non si placano le polemiche sulla mancata riapertura delle scuole che doveva avvenire gradualmente in tutt’Italia a partire dallo scorso 11 gennaio.
Riapertura delle scuole: ancora polemiche (Adelaide Cesarano)
Solo in poche regioni, infatti, il suono della campanella ha annunciato la ripresa della didattica in presenza. Restano ancora chiusi i battenti degli istituti scolastici, dove continua la DAD (didattica a distanza).
La decisione di procrastinare la ripresa delle attività didattiche in presenza presa dai governatori di molte regioni è stata dettata dall’aumento del numero dei contagiati, che alla fine del periodo natalizio risultava ancora molto alto (centinaia di morti al giorno, oltre 80mila vittime dall’inizio della pandemia).
Questa scelta non è piaciuta al ministro della Pubblica Istruzione, Lucia Azzolina, che in più occasioni, e anche nel Question Time alla Camera dei Deputi del 13 gennaio scorso, rispondendo alle interrogazioni presentate, ha difeso con veemenza la ripresa della didattica in presenza.
“La scuola, lo ribadisco, – ha affermato la Azzolina – è pronta e in grado di garantire ambienti controllati e con ridotte percentuali di rischio, come rilevato dai dati e dagli studi sui contagi forniti dalle autorità scientifiche. Per quanto riguarda i vaccini, è chiaro a tutti che la scuola sia un servizio pubblico essenziale. Sin dall’avvio del confronto sulla elaborazione del piano vaccinale ho chiesto e ottenuto di garantire priorità al personale scolastico. Auspico dunque che si proceda speditamente con la vaccinazione degli operatori sanitari e degli anziani, per arrivare subito alla scuola, partendo dal personale fragile e da chi ha una età più avanzata”.
C’è chi afferma, con la ministra Azzolina e i tanti adolescenti che protestano in tutta Italia per ritornare in classe, che le scuole sono il luogo più sicuro e chi invece ne mette in luce le criticità (l’aria stagnante nelle aule, l’assembramento sui mezzi pubblici e fuori dagli istituti scolastici).
In effetti, alla luce dei dati attuali sulla diffusione della pandemia, il rientro in classe presenterebbe notevoli rischi. Non dimentichiamoci che ad essere coinvolti sono circa 10 milioni di persone (tra studenti, e personale scolastico) che ogni mattina si spostano, in gran parte con mezzi pubblici, e che restano per cinque o sei ore in luoghi chiusi, venendo in contatto con altri milioni di persone.
Per assicurare un certo grado di sicurezza nella didattica in presenza potrebbero essere utili alcune misure mirate, come la depurazione dell’aria nelle aule, il potenziamento dei mezzi pubblici e maggiori controlli per evitare assembramenti, condizioni impossibili da predisporre in tempi brevi su tutto il territorio nazionale.
Che dire poi dei vaccini anticovid? Anche se la campagna vaccinale sta procedendo a ritmo sostenuto con la vaccinazione degli anziani e dei lavoratori della Sanità, per il personale scolastico potrebbe essere completata solo entro maggio-aprile.
Allo stato attuale (come denunciano i medici internisti) ancora troppo alta sarebbe la pressione sugli ospedali e sulle terapie intensive, a causa di una curva dei contagi elevata, con un indice Rt, arrivato all’ 1.03.
Chi dichiara che la priorità assoluta sia l’istruzione dei ragazzi, il loro grado di socializzazione e chi invece mette al primo posto la salute e la salvaguardia della vita, da perseguire evitando gli assembramenti e tutte le occasioni che favoriscano la diffusione del contagio.
Chi può negare quanto entrambe le motivazioni siano valide? Peccato che a causa dell’emergenza sanitaria queste motivazioni – e non solo queste – siano in conflitto. Ed ecco allora che anche la Scuola, più di altri ambiti della società italiana, diventa il pomo della discordia tra la Destra e la Sinistra o tra i vari membri delle stesse coalizioni.
L’Istruzione si ritrova ad essere uno dei motivi del contendere che ha portato alla crisi di governo apertasi inopinatamente il 13 gennaio, e uno dei nodi cruciali che non si riesce a sciogliere e che tiene tutti col fiato sospeso.
E mentre tanti giovani scendono in piazza e manifestano davanti al Ministero della Pubblica Istruzione per un rientro immediato in classe, senza se e senza ma, due recentissimi sondaggi evidenziano invece come la stragrande maggioranza degli alunni e dei docenti preferisca la didattica a distanza in questa fase di grande incertezza.
Secondo un recentissimo sondaggio della Tecnica della Scuola, infatti, 8 studenti su 10 (l’84,6% di 11.047 intervistati) non sono propensi a rientrare in classe adesso che c’è una curva dei contagi ancora così alta.
Anche sul fronte docenti, da un altro sondaggio ‘La scuola in transizione: la prospettiva del corpo docente in tempo di Covid-19’, condotto dall’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) intervistando un campione di oltre 800 insegnanti di ogni ordine e grado, risulta che Il 70,4 per cento di essi (due docenti su tre) ritiene che sia meglio tenere le scuole chiuse fino a
quando sarà possibile rientrare in sicurezza.
Scuole aperte o scuole chiuse? Didattica in presenza o a distanza? Chi avrà ragione? La Ministra e i paladini della “No Dad” da un lato o i governatori delle regioni dove le scuole restano ancora chiuse e tutti coloro che preferiscono ancora optare per la didattica a distanza dall’altro?
Non è facile individuare quali siano le priorità in una fase di crisi sanitaria, economica, politica, sociale così grave come quella attuale, in cui interessi diversi si incontrano o si scontrano e nella quale tutti hanno ragione e meritano rispetto, perché stanno pagando un prezzo troppo alto, spesso insostenibile.
Un rimbalzo di accuse e di recriminazioni, in una palude da cui si cerca un appiglio in tutti i modi, anche dirottando l’attenzione mediatica su questioni “collaterali”, mentre centinaia di migliaia di Italiani perdono il lavoro, non arrivano alla fine del mese, si sentono sconfitti, si ammalano, muoiono.
Tutto questo mentre la Scuola non si ferma e ogni mattina continua il lavoro silenzioso e scarsamente considerato dei docenti e di tutti gli altri operatori scolastici. E mentre il governo centrale e quello regionale decidono cosa sia più giusto fare, milioni di giovani e giovanissimi si incontrano a distanza ogni mattina, ritrovano i loro insegnanti, imparano, interagiscono, crescono, non si sentono isolati.
La tanto demonizzata didattica a distanza prosegue e, nonostante i suoi limiti e le sue difficoltà, continua ad illuminare le giovani menti, tenendo alta la fiaccola della conoscenza.
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