QUALCHE amico laico e miscredente mi ha avvertito alcuni giorni fa che io parlo e scrivo con troppa frequenza di papa Francesco e ad un pubblico come il nostro di Repubblica e dell’Espresso non piace.
A
l mio pubblico io tengo molto, ma non si tratta né di una civetteria né d’un improvviso mutamento di opinione. E tantomeno d’una nuova linea del nostro giornale e del nostro editore. Si tratta invece di Francesco Vescovo di Roma e Capo di santa romana Chiesa. Dopo averlo conosciuto la prima volta sette od otto mesi dall’inizio del suo pontificato, a chiusura del nostro primo colloquio gli chiesi: “Santità, qual è la funzione delle donne nella vostra Casa? Non parlo soltanto delle suore che vivono in conventi, operano negli ospedali, coltivano la terra e soprattutto pregano; parlo delle donne in generale, dei loro sentimenti, dei loro pensieri e del loro istinto femminile ed anche, se mi permette, dei loro diritti. Per voi, presbiteri, vescovi, sono nulla? Sono una specie subordinata in compiti di moglie, madre, figlia obbediente alle decisioni dei genitori “.
“Le rispondo in un solo modo che rispecchia però la pura verità: la Chiesa è femminile”.
Risposi che non capivo e Lui a sua volta, scandendo le sillabe, ripeté: “La Chiesa è femminile. Maria è la nostra madre che intercede per noi; ma non è solo questo. La Chiesa detesta la guerra, ama i propri figli, li educa al bene, aiuta i poveri, i malati, i derelitti, ama il prossimo e detesta chi violenta. Non sono valori femminili?”.
Lei lo dice ed è certamente vero, ma nella Chiesa dove pure questi valori ci sono, anche se non sempre, ma in tutte le epoche: e non da parte di tutti i suoi membri, le donne non hanno alcuna importante funzione. Neppure le suore dei vari ordini. Sono centinaia di migliaia in tutto il mondo ma contano niente. Dipendono da un presbitero o da un suo delegato. Non capisco il senso di tutto ciò se la Chiesa è femminile come Lei dice e pensa”.
Stavamo salendo la breve scala che dalla sala di Santa Marta arriva al portale d’uscita ed eravamo fermi a metà. Fuori – ricordo – c’erano nuvole e lembi d’azzurro. Francesco disse: “Lei ha ragione. La tradizione dei secoli si è fatta lì, non è opera delle donne, e non riconosce i loro diritti nella Chiesa e nella vita”.
“Non sarà una battaglia facile, Santità”.
“Temo di no e non credo per cattiveria ma perché le tradizioni fanno parte della storia di ogni comunità e spesso diventano dottrina. Per aprire le porte ci vuole del tempo, questo del resto è uno degli obiettivi del Vaticano II. Quando venni insediato il compito che mi è stato assegnato fu proprio quello di portare a termine le indicazioni di quel Concilio, la principale delle quali è l’incontro con la modernità. Questo è ciò che mi sento di dirle. Lei però non parli di questo fino a quando l’opera che intendo svolgere non sarà cominciata”. Fu in quel momento e su quel tema che diventammo amici. Francesco arrivò alla porta d’entrata e la mia automobile mi attendeva. Lui mi abbracciò ed io feci altrettanto, profondamente commosso, e fu in quel momento che capii che Francesco era un Papa rivoluzionario come pochi c’erano stati prima di lui. Ora è cominciato nella Chiesa il movimento affinché le donne partecipino alla liturgia nei limiti che sarà opportuno prevedere. Di queste cose non debbo parlare? Io non credo e penso che anche i miei lettori, tanto più se laici, vogliano i diritti per tutti e questa deve essere una battaglia laica per eccellenza, ne sono sicuro e perciò vado avanti.
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Scritto questo prologo (che è per quanto mi riguarda il tema ben più d’un prologo) vengo ad un problema che ho già più volte trattato e recentemente nell’articolo pubblicato giovedì scorso: l’Europa, i suoi guai, la sua drammatica disarticolazione, la mancanza di uno spirito unitario che la rinsaldi e la faccia uscire dall’abisso in cui sta cadendo.
Mi rivolsi a Renzi e alla sinistra italiana (ed europea) affinché si dessero carico di questo difficilissimo compito. Dalla sinistra non ho avuto alcun riscontro salvo quello di Alfredo Reichlin che mi conosce e mi stima. Quanto a Renzi, mi ha telefonato (del tutto inconsueto) dicendo che il tema Europa è appunto centrale come lui ha già compreso e ad esso si dedicherà con il massimo impegno per risvegliare lo spirito dei fondatori (Adenauer, De Gasperi, Schuman) e l’ideale di Altiero Spinelli. Se i suoi dissidenti faranno altrettanto, come si augura, il partito marcia compatto verso un traguardo che, se raggiunto, risulterà una vittoria storica dell’Italia moderna. Poi si è parlato d’altro e spesso da posizioni contrastanti, ma su questo non ho da riferire, le comunicazioni sono private ed io questa la considero tale. Renzi del resto fa altrettanto.
A proposito del nostro ruolo in Europa ci sono però alcune cose della massima importanza storica che debbono essere ricordate. Gli italiani (e gli europei con un minimo di cultura) li conoscono ma spesso non ci pensano e di fatto se scordano. Dunque parliamone noi.
Anzitutto siamo tra i Paesi fondatori dell’unione della Comunità del carbone e dell’acciaio e tra i cinque Paesi che firmarono i trattati di Roma nel 1957. Ma c’è un precedente molto più antico che cominciò duemila anni fa ai tempi di Giulio Cesare, Augusto, Germanico, la conquista della Gallia e della Spagna, della costiera mediterranea africana, della Germania, fino a Traiano e poi Adriano che segnò i confini dell’Impero ivi compresa una parte meridionale dell’attuale Gran Bretagna, l’Egitto, il Medio Oriente, e ovviamente la Grecia, l’Illiria e i Balcani.
Prima di allora l’Europa era un continente percorso da popolazioni vaganti e selvatiche, prive di residenza e dedite al saccheggio di regni e città che venivano rase al suolo.
Da questo punto di vista è Roma ad aver costruito l’Europa. Sono passati i millenni, ma purtroppo in vario modo anche per la più becera demagogia destinata ad influire sulla conquista del potere. Questo accade sempre e dovunque, ma resta il fatto storicamente avvenuto che l’Europa è nata dall’esistenza di quell’Impero e delle sue propaggini civilizzate. Perfino il Cristianesimo diventò l’unica religione europea proprio nei medesimi territori imperiali. Tant’è che nell’800 d. C. Carlo Magno resuscitò il Sacro Romano Impero, votato dai principi tedeschi e della Renania ma legittimato dall’imposizione della corona sulla fronte dell’imperatore da parte del Papa dell’epoca in San Giovanni in Laterano.
Tempi remoti, ma è bene non dimenticarseli perché resta il fatto che l’Europa è nata dall’Impero dei Cesari.
C’è dell’altro però, più moderno e di non minore importanza. Si chiama Rinascimento e si svolge tra l’inizio del Quattrocento terminando all’inizio del Seicento diffondendosi dall’Italia in tutta Europa: cultura, reperimento di testi antichi (cardinal Bellarmino), diffusione della stessa lingua nelle sue trasformazioni locali in tutti i paesi latini (Italia, Francia, Spagna, Portogallo), scienza politica, scienza storica, scienza astronomica, pittura, musica. I nomi nei vari settori sono noti: al vertice trecentesco troneggia Dante. Esiste una triade che non si può eguagliare e in ordine di tempo si tratta di Omero (o chi per lui), Dante, Shakespeare.
Ma poi in Italia Petrarca, Machiavelli, i Medici, le corti d’Este e di Urbino, i comuni di Lucca e soprattutto di Firenze, Milano. E non dimentichiamo i nomi di Piero della Francesco, Raffaello Sanzio, Ariosto, Vico. Montaigne conservava molti dei loro volumi nella sua libreria e del resto dopo di lui la cultura moderna che sfocerà nell’Il-luminismo franco-inglese comincia con Vico. A quell’Illuminismo noi abbiamo partecipato con i fratelli Verri, con Cesare Beccaria e con l’abate Galiani.
In sostanza Italia ed Europa sono nate insieme e il nostro Paese ha dato uno dei contributi maggiori e forse il primario rispetto ad altri insieme alla Francia, alla Spagna e all’Inghilterra, senza ricordare le Repubbliche marinare di Venezia e di Genova, Cristoforo Colombo compreso.
Per questa ragione noi dobbiamo batterci e ne abbiamo pieno diritto e titolo per l’Europa unita; il risultato caro Renzi non sarà certo immediato ma dà alnostro Paese un ruolo che altrimenti non avrebbe e che può rendere l’intera politica italiana diversa da quella che finora è stata. Spero che tu te ne ricordi e ne tragga i frutti facendo risorgere il nostro continente dalle rovine nelle quali attualmente si trova.
vivicentro.it/editoriale / larepubblica / A Renzi ricordiamo: l’Italia ha costruito l’Europa EUGENIO SCALFARI
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