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n questa fase drammaticamente agitata in Europa i personaggi che contano sulla sorte del nostro continente sono tre:Angela Merkel, Mario Draghi,Barack Obama, da posizioni diverse e talvolta contrapposte. Ma conta anche, sia pure a un livello minore, Matteo Renzi.
È molto importante esaminare le loro rispettive posizioni e soprattutto gli interessi che muovono ciascuno di essi, non parlo di interessi personali ma di quelli che ciascuno di loro oggettivamente rappresenta.
La Merkel, ovviamente, rappresenta l’interesse della Germania ma con un “però” grande come un grattacielo: l’egemonia tedesca sull’Europa che, se fosse unificata su un modello federale, non potrebbe esser guidata che dalla Germania.
Questo è il dilemma della Cancelliera: la Germania di oggi e quella d’un possibile domani, il pensiero breve e lo sguardo lungo. Una contraddizione non da poco che fino a qualche tempo fa Angela ha saputo gestire con sapiente abilità, ma che negli ultimi due mesi sembra esserle sfuggita di mano sotto la pressione di interessi di lobby estremamente potenti e con l’approssimarsi dell’appuntamento elettorale.
In questa situazione alquanto paradossale il partito socialista alleato con la Cdu comincia a muoversi con crescente autonomia critica contro la politica di rigore economico che la Cancelliera sostiene più che mai. È difficile capire dove potrà arrivare questa nuova posizione dei socialisti, anch’essa è probabilmente ispirata dall’imminenza elettorale.
Mario Draghi, presidente dalla Banca centrale europea, non ha le contraddizioni della Cancelliera sul ruolo “a breve e a lungo” della Germania. Ha una posizione chiarissima sui compiti della Bce: derivano dallo statuto della Banca ed anche dai modi di applicarlo e dalle conseguenze che ne possono derivare. Deve realizzare la stabilità dei prezzi ad un livello appena sotto il 2 per cento d’inflazione. Questo e non altro.
Sembra facile ma non lo è affatto in un’Europa ancora così nazionalistica e quindi divisa su quasi tutti i temi di fondo: i tassi d’interesse, i tassi di cambio, la gestione dei debiti sovrani, il rapporto tra il debito pubblico e il Pil, la politica bancaria, la flessibilità economica, il neo-keynesismo e il suo contrario, la politica fiscale, le immigrazioni, la lotta al terrorismo e le risorse economiche necessarie per portarla avanti con efficacia.
Draghi è ben consapevole dell’entità di questi problemi e della loro interconnessione. È consapevole anche che la nazionalizzazione della politica è un handicap che favorisce soltanto le multinazionali. Infine è consapevole che la sua politica monetaria va ben al di là dello statuto che è in sua potestà. Nel suo caso il pensiero breve e lo sguardo lungo non creano contraddizioni, anzi aumentano la sua consapevolezza negli obiettivi finali. Del resto lo dice in modo felpato nella forma ma duro nella sostanza.
Si è creata così una dialettica poco amichevole, mentre fino a due mesi fa tra lui e la Merkel il rapporto era sostanzialmente concorde. Oggi non è più così. Passerà presto? Entrambi se lo augurano ma anche su questo tutto dipenderà dalle elezioni tedesche, vicine e al tempo stesso lontane secondo i punti di vista e gli interessi connessi al loro risultato.
Il vero solidale con Draghi è in questo momento il presidente Obama, che nel rafforzamento dell’Europa vede una delle questioni strategicamente essenziali della politica americana, di cui lascerà la guida nel prossimo novembre, ma nella quale per l’ultima volta è ancora in grado di esercitare tutta l’influenza della superpotenza Usa.
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La tastiera sulla quale il presidente degli Stati Uniti suona la sua musica riguarda varie melodie: la geopolitica contro l’inquinamento dell’atmosfera e delle energie rinnovabili; il rafforzamento dell’Eurozona in senso federale; la lotta contro il terrorismo del Califfato; l’immigrazione; la situazione in Africa e le sue conseguenze su tutto il Medio Oriente mediterraneo a cominciare dalla Libia e dalla Tunisia; il Brexit inglese; i rapporti con la Russia.
Come si vede, la tematica di Obama coinvolge una serie sterminata di problemi e determina una grande varietà di alleanze. È alleato di Draghi, di Cameron, di Renzi, di Hollande, del presidente tunisino Essebsi, del presidente libico a Tripoli. Ma è in contrasto con Putin per quanto riguarda la politica neo-imperialistica e mediterranea.
Con la Merkel c’è e permane un’antica solidarietà anche se in questa fase non mancano le nuvole. Obama cerca di convincere la Cancelliera che sarà la Germania il principale punto di riferimento europeo degli Stati Uniti e che questo rapporto dovrebbe dunque far prevalere a Berlino una politica federale europea e una crescita economica sul modello della politica monetaria e occupazionale della Fed, la Banca centrale americana.
In questo quadro estremamente complesso esiste anche una posizione italiana e un rapporto tra Obama e Renzi certamente amichevole per la consonanza degli obiettivi.
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Renzi ha avuto fino a pochi mesi fa una politica europea a sfondo nazionalista, non diversa su questo punto dalla grande maggioranza degli altri Paesi dell’Unione, dentro e fuori dall’Eurozona. Solo su un punto — tutt’altro che secondario — la politica renziana auspicava una posizione europea federalista: la gestione dell’immigrazione, la revisione del trattato di Dublino, la ripartizione degli immigrati per quote, il mantenimento del patto di Schengen sull’abolizione dei confini intra-europei.
Si tratta d’un tema di grande importanza, specialmente per i Paesi mediterranei e per l’Italia e la Grecia in modo particolare, dove la politica nazionalista dei governi europei coincide, per l’Italia soprattutto, con una posizione europeista. Così pure per quanto riguarda la politica economica fondata sulla crescita e non sul rigore.
Da un paio di mesi però Renzi ha cambiato cavallo. Improvvisamente ha imboccato una politica europeista che prevede un rafforzamento effettivo, con fatti e non con parole, dell’Unione europea, con alcuni tratti federali e una nuova architettura istituzionale europea.
Il primo di questi passi è stato il dichiarato appoggio da lui dato alla creazione d’un ministro del Tesoro unico, installato nell’Eurozona con i poteri inerenti ad ogni ministro del Tesoro: un bilancio sovrano, un debito sovrano, l’emissione di bond, una politica d’incentivazione degli investimenti pubblici e privati dell’Eurozona, con le responsabilità inerenti a poteri del genere.
Quest’apertura di carattere nettamente federalistico ha coinciso con l’analoga richiesta di Draghi, creando in tal modo una convergenza politica tra Bce e governo italiano.
Un’ulteriore conseguenza si è verificata sull’Unione bancaria. Anche in questo caso l’obiettivo è complesso e va dalla garanzia sui depositi bancari alla costante vigilanza sul sistema bancario europeo e infine sulla nascita di quel sistema amministrato in quanto tale dal ministro del Tesoro dell’Eurozona.
Infine c’è stato un passo ancora più recente e altrettanto significativo: si tratta d’un documento programmatico che porta il nome di Migration compact che propone non solo il pieno ripristino del patto di Schengen sull’abolizione dei confini intraeuropei, ma anche una politica comune europea sulla gestione delle immigrazioni provenienti dall’Africa sub-equatoriale, con l’obiettivo di trattenere gli emigranti nei Paesi d’origine, con contatti diplomatici con quei Paesi e allestimenti di campi di sostegno alla povertà ed educazione socio-professionale ai giovani.
Analoghi campi dovrebbero essere allestiti lungo il percorso di quelle masse di emigranti, nel costante tentativo di fermarli sia nei Paesi d’origine sia nel percorso intrapreso.
Infine, una serie finale di campi sulla costiera mediterranea con l’obiettivo di impedire ogni imbarco verso le coste europee, ma al tempo stesso di sottrarre quei migranti alla schiavitù cui sono attualmente sottoposti, ospitandoli degnamente. Insomma, bonificare socialmente ed economicamente i Paesi africani con investimenti adeguati europei. Questo ambizioso progetto presuppone un’Europa unita che dovrebbe assumere in futuro un ruolo euro-africano che ci compete per geografia e per storia, non più coloniale ma di civiltà, cultura, economia.
Questo è il senso del Migration compact che il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha fortemente appoggiato, altrettanto il presidente del Parlamento Martin Schulz e anche Obama.
La Germania l’ha contrastato opponendosi all’emissione di bond europei, sul resto ha ufficialmente taciuto, ma sembra difficile che possa contestarlo.
Renzi non ha ancora preso posizione (lo ripeto per l’ennesima volta) ad una nostra proposta di creare una polizia federale europea e un servizio di informazione comune per la lotta al terrorismo, con un ministro dell’Interno europeo che guidi la lotta contro il Califfato. Personalmente penso che Obama sarebbe molto favorevole a questo ulteriore passo federale. Lui in fondo vive con passione la nascita degli Stati uniti europei, limitata almeno per ora all’Eurozona come primo passo verso un futuro continentale.
Desidero richiamare l’attenzione dei lettori verso ciò che sta accadendo nella piccola ma importante Tunisia, il cui presidente, successore di Bourghiba, ha liberato le donne dalla sudditanza sociale che ancora le opprimeva, ha ottenuto una vera e propria libertà religiosa con la convergenza politica di musulmani e cristiani in favore di uno Stato laico e spinge verso l’educazione socio-professionale dei giovani, donne comprese.
Nel frattempo deve difendersi militarmente dagli attacchi dell’Is. Un esempio che dovrebbe mobilitare l’Europa intera in favore della Tunisia democratica.
vivicentro.it-editoriale / larepubblica / Quei tre personaggi che contano nell’Europa a pezzi di EUGENIO SCALFARI
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