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Castellammare di Stabia

Pietro Bartolo: “Io, medico della speranza, nell’isola che accoglie tutti”. ALESSANDRA ZINITI*

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Dall’ambulatorio nel cuore del Mediterraneo all’Orso d’oro di Berlino: “La mia gente dà tutto senza mai chiedere nulla “.

PALERMO. “Lo dedico alla mia isola, alla mia gente, ma anche a tutti quelli che non ce l’hanno fatta”. Appena sbarcato a Milano da Berlino, l’Orso d’oro portato fieramente sotto braccio, l’emozione di sentire Meryl Streep dire che Fuocoammaremerita l’Oscar, la voce di Pietro Bartolo si incrina, mentre il pensiero va alle decine di migliaia di migranti in condizioni drammatiche e ai tantissimi corpi senza vita passati dal suo ambulatorio a Lampedusa. Il medico da trent’anni motore instancabile dei soccorsi ai migranti, adesso non vede l’ora di smettere i panni dell’attore e tornare a indossare il camice. “So che stanotte sono arrivati in duecento, avrei voluto essere con loro invece che qui. Questo mondo non mi appartiene di certo, ma è stata un’avventura travolgente e sono felice di aver accettato questa scommessa. Lampedusa, il suo ruolo in tutti questi anni di migrazione epocale, riguarda tutta l’Europa. C’è chi alza muri, chi tira su fili spinati, ma non saranno né muri né fili spinati a fermare questa gente. L’unico modo di fermarla è aiutarla nel suo Paese, e fino a quando non si riuscirà a farlo, il dovere di ognuno di noi è di assisterla, accoglierla. Come ha fatto sempre il popolo di Lampedusa. È questo che racconta il film di Rosi. E spero che anche questo serva da stimolo a persone, istituzioni, che possono fare e non hanno finora fatto”.
 
Può servire anche un film?
“Sì. In Germania ho trovato quello che non mi sarei mai aspettato. Non facciamo altro che leggere di frontiere chiuse, di respingimenti, ma io qui ho trovato grande sensibilità e grande affetto. Ho visto centinaia di persone commuoversi, con le lacrime agli occhi, sono stato travolto da un interesse e da un’emozione che non mi sarei mai aspettato. E allora credo, spero, che questo possa servire. Io il mio obiettivo l’ho già raggiunto, riuscire ad avviare un’opera di sensibilizzazione, svegliare le coscienze”.
 
Da un ambulatorio di frontiera alle passerelle del festival di Berlino. Come ha fatto Rosi a convincerla a cambiare ruolo?
“Il nostro è stato un incontro casuale. Rosi era a Lampedusa per cominciare a girare il film quando ha avuto bisogno di me per alcuni suoi acciacchi. È venuto in ambulatorio e abbiamo cominciato a parlare. Tre ore e più, mi chiedeva di tutto sulla storia di Lampedusa. Poi gli ho fatto vedere delle immagini che hanno segnato la mia vita, che porto sempre con me in una chiavetta usb e da allora è cominciato tutto”.
 
Già, le immagini di tante tragedie che l’hanno vista sempre in prima linea. Come quella di Kebral.
“Non dimenticherò mai il volto di quella ragazza eritrea. Era la mattina del 3 ottobre 2013, sul molo i pescherecci scaricavano uno dietro l’altro decine di corpi di uomini e donne morti nel terribile naufragio davanti alle coste dell’isola. Quella ragazza era lì, allineata tra i cadaveri. Sembrava morta, ma quando l’ho toccata e le ho sentito il polso ho avvertito un flebile segno di vita. È stata una corsa contro il tempo, l’ho presa in braccio, l’abbiamo portata in ambulatorio. Era viva, l’abbiamo salvata. È stata una delle gioie più grandi della mia vita”.
 
Quanti migranti sono passati dalle sue mani?
“Non ho mai tenuto la contabilità perché per me sono tutte persone e non numeri, ma mi dicono più di 250 mila in 25 anni. Dal primo sbarco di tre tunisini su una barchetta ai settemila che nel 2011, in una sola settimana, nell’anno della Primavera araba, invasero Lampedusa. Erano molti di più della popolazione dell’isola. I lampedusani aprirono le loro case, diedero loro vestiti, cibo, letti, affetto. In quell’occasione Lampedusa mostrò a tutto il mondo il suo cuore grande. Ed è per questo che porterò loro dopodomani questo Orso d’Oro. So che mi aspettano tutti con grande emozione, non vedono l’ora. E d’altronde se lo sono meritato. È un popolo che ha dato sempre tutto con grande abnegazione senza mai lamentarsi, senza mai chiedere e ottenere niente in cambio”.
 
È un popolo che si merita il premio Nobel?
“Certamente, sarebbe un grande riconoscimento per tutti noi”.
 
Il telefono di Pietro Bartolo squilla continuamente. Lo chiama il sindaco Giusy Nicolini, emozionata e felicissima, lo chiama sua moglie, medico rimasta a Lampedusa con i tre figli, lo chiama il parroco dell’isola, don Mimmo, che ha dedicato la sua omelia domenicale alla vittoria di Fuocoammare. E tutti pensano già all’organiazzazione della grande festa nell’isola, con un primo grosso problema da risolvere. “A Lampedusa non abbiamo un cinema – dice Bartolo – Adesso Gianfranco Rosi dovrà fare in modo che arrivi uno schermo gigante, e una troupe per proiettarlo in piazza e dare questa possibilità alla gente”.
 
*larepubblica

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