a href="https://vivicentro.it/nazionale-24h/cronaca/libia-uccisi-due-italiani-dei-quattro-rapiti-e-ancora-giallo-sui-sequestratori-paolo-gallori/" target="_blank">La tragica fine di Fausto Piano e Salvatore Failla è un violento campanello d’allarme. L’Italia farà tutto il possibile per salvare gli altri due ostaggi nelle mani di Isis. Le operazioni speciali in Libia autorizzate dal governo servono anche a questo.
L’Italia è chiamata a una doppia prova di responsabilità e di maturità. Di responsabilità perché la Libia è la crisi che non può non affrontare. Di maturità perché deve incassare questo brutto colpo, sapendo che non sarà l’ultimo. Siamo in guerra, anche se non vogliamo chiamarla tale. Con lo Stato islamico – non con la Libia, non col suo popolo.
La Libia di oggi è uno Stato inesistente. Il sedicente califfato ne ha approfittato per insediarvi i suoi avamposti con una duplice valenza: di controllo del territorio e di minaccia terroristica. Il primo è pura barbarie; la seconda una mina vagante internazionale. Dove arriva, Isis si sostituisce all’autorità statale senza rinunciare agli attentati. Il raggio d’azione è dettato esclusivamente dai mezzi di cui dispone e dalle opportunità che si presentano. Può colpire a Tripoli, in Tunisia o in Europa.
Da due anni la comunità internazionale è alle prese con lo Stato islamico in Iraq e in Siria. In Siria, il cessate il fuoco e il negoziato sono appesi a un tenue filo, ma se terranno taglieranno l’erba sotto i piedi dello Stato islamico.
Le incognite abbondano ma la pista è stata individuata. E’ stata individuata anche in Libia: lo sfuggente governo di unità nazionale, compromesso fra Tobruk e Tripoli, che Onu e diplomazie internazionali, italiana in testa, inseguono da mesi. Se e quando ci si arriverà avrà una strada molto in salita.
Intanto il cancro di Isis si è diffuso, a due passi dall’Italia. Se le nostre coste sono alla portata di carrette del mare col loro inerme carico umano, figuriamoci quanto sarebbero vulnerabili ad un’operazione terroristica ben organizzata. Dai pezzi di litorale dov’è insediata Isis può controllare il traffico di masse di clandestini; sta mettendo le mani sui rubinetti di gas e petrolio. Questa è la realtà con cui fare i conti. Per l’Italia disinteressarsi della Libia significa cacciare la testa sotto la sabbia e abdicare al resto del mondo.
La minaccia di Isis va tenuta distinta dal problema politico della Libia. Il secondo richiede necessariamente il compromesso negoziale fra le parti libiche sostenuto dalla legittimità internazionale delle Nazioni Unite – e, possibilmente, da un’intesa regionale e araba sul futuro. La Libia rimarrà troppo fragile se i vicini non la puntellano. La convinzione di Matteo Renzi che sarà un intervento esterno a rimettere insieme i cocci di uno Stato fallito è ineccepibile.
Diverso il caso per la minaccia e per azioni di controterrorismo che l’Italia intraprenda per proteggere la propria sicurezza e i propri interessi. Non c’è nulla di male a difendere legittimi interessi nazionali. Un Paese maturo, responsabile, non rinuncia a definirli chiaramente, specie quando toccano nervi scoperti come l’immigrazione clandestina e i flussi energetici. L’una è traffico di esseri umani che arricchisce terroristi e reti di criminalità comune. I secondi assicurano la linfa vitale a quello che resta della Libia (Banca Centrale); meglio evitare che proventi vengano dirottati nelle ingorde casse dello Stato islamico.
Il controterrorismo non si fa con la diplomazia e con i negoziati. Si fa tagliando le fonti di finanziamento. Si fa combattendo il proselitismo. Si fa prosciugando la palude delle connivenze e simpatie, private e pubbliche, intorno a Isis e ad Al Qaeda. E si fa con le operazioni speciali, con i droni e, nel caso libico, con un’agguerrita sorveglianza marittima e costiera.
Contro Isis lo strumento militare è indispensabile. Autorizzando le unità speciali italiane ad operare in Libia, nelle stesse condizioni degli alleati europei e americani, il Presidente del Consiglio non ha fatto altro che riconoscervi il diritto alla legittima difesa riconosciuto dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla Costituzione (in aggiunta a due risoluzioni del Consiglio di Sicurezza su Isis). Non c’è bisogno d’altro.
*lastampa
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