L
’editoriale di oggi è dedicato alle riflessioni che sorgono, con l’inevitabile apprensione, dall’ennesimo atto terroristico (mussulmano o meno che sia; la matrice non è ancora accertata) che ha avuto luogo, questa volta, a Monaco, in quella Germania che si credeva al sicuro, – se non altro per la sua teutonica efficienza tanto decantata in ogni dove -, e che invece si è fatta trovare impreparata non solo nel subire l’azione (cosa magari anche realmente imponderabile) ma anche, e soprattutto, nella reazione che, sebbene avvenuta con una certa rapidità almeno nello schieramento delle forze in campo, ha mostrato ampi strappi di coordinamento ed azione efficace tanto che, ad ora, perdura la fuga del, o degli, attentatore/i (perché anche nel numero sussistono incertezze) e quindi non è dato nemmeno ipotizzare, con attendibilità, la ragione e la matrice dell’attentato stesso. Si sa solo che ci sono stati (a quanto comunicato) 9 morti di cui, ancora altro forse, uno sarebbe di un attentatore (o dell’attentatore). Troppi forse e troppi lati oscuri quindi, e questo fa scendere la Germania dal piedistallo sul quale si era autoelevata e le si era concesso farlo in ogni settore e ovunque, soprattutto nel governo della UE.
Ciò premesso, leggiamo ora l’articolo di Elena Lowenthal che assumiamo come editoriale del giorno e con il quale, con l’indiscutibile competenza in materia che lei ha, analizza la situazione nella quale ci troviamo immersi sempre di più per noi stessi ed ancor più per i nostri cari, i nostri figli, ormai abituati a girare il mondo per studio, lavoro ed anche svago. Prima c’era la “normale” apprensione dei genitori per i propri “fanciulli” (per loro, per noi, tali sono i figli, anche se magari 30enni e oltre) in giro da soli ed era generata solo dall’affetto, dall’amore. Ora invece, questa apprensione si è appesantita di parecchio ed è divenuta “preoccupazione” molto adiacente a “terrore” vero e proprio.
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Ma vediamo cosa scrive la Lpwenthal nel merito:
Ostaggi in un mondo che si chiude ELENA LOEWENTHAL
Dopo Parigi, Bruxelles, Istanbul, Dacca e Nizza ora è la volta di Monaco di Baviera. Terrore, morti, sangue e orrore aggrediscono la nostra vita quotidiana trasformando questa estate in una sorta di roulette russa per chiunque voglia uscire di casa, andare ad un caffè o in vacanza. O abbia dei figli in viaggio. È soprattutto il timore per i nostri cari, lontani anche solo per pochi giorni, che si avventa su di noi.
Avevamo il cuore pesante, la prima volta che li abbiamo lasciati andare, tanto tempo fa. Così pesante che ci sembrava di precipitare giù per terra e restarci nel tempo della loro lontananza dal nido. Ma bisognava proprio mandarli lontano, a studiare l’inglese d’estate, anche se erano poco più che pulcini, appena affacciati all’adolescenza.
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Col tempo quanto abbiamo sorriso a quelle prime, smisurate nostalgie: altro che pulcini. I nostri figli hanno preso il volo così presto. Viaggi, soggiorni studio, Erasmus, master, corsi, amici, il mondo era tutto loro.
E noi abbiamo imparato a tenerci in piedi lo stesso, a misurarci con una genitorialità tutta diversa da quella stanziale vissuta dai nostri, di genitori (fortunati loro!). Abbiamo imparato a muoverci sulle loro orme, a seguirli con lo sguardo e il biglietto aereo, a distillare il tempo insieme a loro perché più diventano grandi più è questione di qualità e non di quantità – di tempo. A sperare che forse, chissà, un giorno torneranno a casa. Ma dov’è più la casa?
Abbiamo insegnato ai nostri figli che il mondo è aperto, libero, che è più piccolo di una volta perché le distanze si accorciano. Abbiamo abbattuto i confini del nostro mondo, abbiamo visto il loro sorriso quasi incredulo quando indicavamo col dito i posti di confine alle frontiere, raccontando che un tempo ci voleva il documento per passare. E l’abbiamo fatto per loro, in fondo: reso il mondo più piccolo perché i nostri figli avessero una vita più piena, più libera, più carica di speranze e opportunità.
E adesso? Adesso come facciamo a pensarli in giro per il mondo? Loro lo sono già, ai quattro angoli del mondo, vuoi per studio vuoi per lavoro vuoi per le vacanze che li stanno disseminando ancor di più in questo periodo. In un mondo che di giorno in giorno è più chiuso, meno libero, minaccioso in un modo che non ci saremmo mai aspettati. E così, oltre lo sgomento e la paura, oltre una rabbia che monta e schiuma e ci lascia senza parole, dobbiamo anche trovare il modo di spiegare ai nostri figli che forse ci eravamo sbagliati. Che il mondo non è più aperto e libero di prima, anzi. Che in Europa non ci sono più quelle innocue frontiere con i casotti della polizia e la scritta «ALT», ma ce ne sono delle altre ben più consistenti e pericolose. Che dobbiamo imparare insieme ad affrontarle, quelle frontiere, a imbracciare insieme delle armi che non pensavamo di dover fornire loro e che non abbiamo ancora ben capito di cosa siano fatte ma di cui non possiamo più fare a meno. A meno di non costringere i nostri figli a tornare a casa e restarci, dopo che abbiamo insegnato loro a spiccare il volo. E invece no, ci piace vederli così, cittadini di un mondo libero. Per questo abbiamo dovuto imparare a convivere con la nostalgia di loro, ad accontentarci di un messaggino, due parole al telefono un giorno sì e due no.
No, non possiamo costringerli a tornare a casa. Certo che però in questo mondo dove l’ordine del giorno sono stragi insensate, con i nostri figli più o meno adulti – ma anche ancora piccini – disseminati per le città d’Europa e non solo, essere e fare i genitori è una gioia immensa ma anche uno sfiancante stillicidio di strazio: sempre all’erta con un occhio sulla carta geografica, qua e là dove sono loro, e l’altro sulle notizie, a prendere le misure del terrore.
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