Parole-Pensiero: pensa a come parli, capirai la confusione in testa

Parole-Pensiero: Siamo nell’era dell’ inclusività e dell’uso dello schwa: se l’uso o meno di una determinata finale mette in crisi il “politically correct”

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Parole-Pensiero: Siamo nell’era dell’ inclusività e dell’uso dello schwa: se l’uso o meno di una determinata finale mette in crisi il “politically correct”, e se è anche vero che le parole che usiamo riflettono come pensiamo, possiamo dire di essere in un’epoca di “confusione mentale”?

Dal palco degli EMA 21, la rock band dei Ma°neskin ha sottolineato come sebbene questi ultimi anni siano stati trionfali per l’Italia nell’Arte e nello Sport, è pur vero che in materia dei diritti civili siamo ancora lontani…

Non c’è di fatto però da meravigliarsi considerando che innanzitutto si hanno problemi già a riconoscere la grammatica e la parole al femminile: ne è un esempio lo spot celebrativo del nuovo Calendario dell’Arma dei Carabinieri, in cui con la telecamera centrata su una rappresentante dell’Arma passa la didascalia “Sono una mamma e sono un Carabiniere”.

Perché?

Volendo essere schietti, è perché le parole, i titoli, le cariche altisonanti declinate al femminile vengono percepite come “depotenziate”, meno autorevoli, una versione “carina” e vezzeggiativa della più onorevole versione declinata al maschile.

Perché?

Perché mentalmente siamo ancora “impostati”mentalmente a ritenere che sia così, noi tutti, figlie e figli di una società patriarcale che si rifà ai tempi antichi, dove il pater familias aveva diritto di proprietà sui figli e ancor prima diritto decisionale di vita o di morte sui nuovi nati (nei tempi antichi, appena nato, il pargolo veniva messo AI PIEDI del padre, se questi lo sollevava da terra, lo riconosceva, altrimenti veniva respinto ed EXPOSITUS – da cui il cognomen Esposito- e disconosciuto dalla famiglia… Quest’ultima sorte era spesso comunemente riservate alle figlie femmine).

Nascere femmine e diventare donne era ed è ancora oggi una gara di sopravvivenza: c’è chi lo fa e ci riesce introiettando dentro di sé la forma mentis per cui vale la pena lasciarsi permeare dalla visione patriarcale della società, e c’è chi, rivendica il proprio diritto a stare al mondo innanzitutto come essere umano, e sente e vive il proprio essere nata femmina ed essere donna non come una condizione di inferiorità, ma come “semplicemente” essere sé stessa (e non una versione di essere umano che trova NECESSARIAMENTE la propria realizzazione nell’essere custode del focolare e generatrice dei futuri eredi della famiglia -dove il primogenito deve essere preferibilmente maschio).

Non ci si può meravigliare dunque se ancora non si riesce ad avere un dialogo ed un confronto costruttivo sul riconoscimento dei diritti della comunità LGBTQ+, quando siamo ancora così indietro nel riconoscere i diritti e i doveri delle donne, a partire dal linguaggio.

L’Italia è stata negli ultimi anni un paese teatro (tragedie) di tanti, troppi femminicidi: purtroppo ancora resiste  la mentalità deviata del pater-familias (che si sente in diritto di comandare sulla vita/morte delle proprie figlie), solo che a farne uso sono non soltanto i padri, ma anche i fratelli, compagni, mariti, partner, fidanzatini respinti…

Se le parole riflettono come pensiamo e come “sentiamo” le nostre emozioni, questo è certamente il secolo dove c’è ancora molta confusione riguardo al modo di percepire l’altro e soprattutto l’altra…

Servirebbe un Umanesimo che rimetta sotto esame la visione dell’uomo maschio, educando non solo i giovani, ma andando a recuperare anche i fratelli grandi, gli zii, i cugini, i padri, i nonni e i bis-tris-nonni (che ai giovani danno l’esempio – e si sa di quanto i comportamenti educhino molto più dei bei discorsi).

Serve un #metoo che veda insieme Tutti nel rivendicare una società dove non ci si senta padroni della vita di un’altra persona, dove ci si sappia guardare e relazionare con empatia e rispetto reciproci.

La polemica dello Schwa è solo un tentativo per saltare l’ostacolo: la mancanza di riflessione sulla nostra identità e il riconoscimento nella società del linguaggio al femminile non più inteso come “vezzeggiativo” del maschile.

Le differenze esistono, le distinzioni vanno riconosciute e rispettate, se non ci si convince di questo perché in giro si vedono rappresentanti del genere di scarsa credibilità, allora questi meriterebbero meno spazio sotto i riflettori… Ma è difficile che avverrà, perché in genere questi soggetti riescono a far girare l’economia e fatturare bene, molto bene (per sé e per i grandi marchi).

Stephanie E. Penna / Redazione Campania

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