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Castellammare di Stabia

Pantelleria : il miracolo del passito

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Sudore a Pantelleria. Il lavoro dei vendemmiatori inizia all’alba. La temperatura può arrivare a 35 gradi, mentre nei tunnel dove le uve sono messe ad appassire può salire a 37

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Pantelleria inizia la raccolta delle uve più dolci e raffinate che esistano. Dal loro succo, e dal faticoso lavoro dei vendemmiatori, si ottiene il passito. Negli ultimi trent’anni questo vino è diventato l’unica grande difesa contro l’abbandono di una delle terre più belle d’Italia.

I vendemmiatori di Passito “Così difendiamo Pantelleria” FLAVIA AMABILE

È appena iniziata la raccolta delle uve di uno dei vini più famosi. La difficile coltivazione ha evitato all’isola un inarrestabile declino

«Il passito è il nostro sudore». Biagio si ferma e sorride. È il primo giorno di vendemmia a Pantelleria. Si ricomincia a raccogliere una delle uve più dolci e difficili che esistano. Dal suo succo, e dal sudore di quelli come Biagio, si ottiene un vino che in tanti hanno provato a imitare ma che solo su quest’isola riesce a restituire il Mediterraneo intero quando lo si versa in un bicchiere.

Il suo succo e il sudore di quelli come Biagio sono diventati negli ultimi trent’anni l’unica grande difesa contro l’abbandono di una delle terre più belle d’Italia. Dallo stilista Giorgio Armani all’attrice Carole Bouquet o la ballerina Alessandra Ferri, sono tantissimi ad averla scelta come rifugio. Ma questa bellezza non sarebbe così ben custodita se non ci fosse il Passito e se non ci fosse stata una grande famiglia siciliana ad innamorarsene e a decidere di investire le sue risorse sull’isola.

Era il 1989 quando Giacomo Rallo decise di acquistare ettari e ettari di giardini di viti abbandonati. Non sono viti qualsiasi. Sono alberelli alti al massimo dieci centimetri, posti su terrazze che dalla montagna vanno fino al mare: una tortura per chi decide di occuparsene, un immenso piacere per chi acquista il vino Passito, frutto di tanto lavoro.

Io, ex commerciante, oggi contadino orgoglioso tra le viti di Pantelleria

Nel primo giorno di vendemmia all’esterno ci sono trentacinque gradi, sotto i tunnel dove andrà stesa l’uva ad appassire si arriva anche a 37. Il lavoro è iniziato all’alba, una pausa per una merenda e per il pranzo, ma Biagio sorride. Ha 51 anni, fino al Duemila lavorava come carrozziere a Marsala poi ha scelto. «Molto meglio lavorare l’uva di Pantelleria. Preferisco stare in campagna al sole, piuttosto che chiuso in un’officina a respirare veleni che uccidono».

Stare in campagna al sole è un vero eufemismo. Biagio e un’altra decina di contadini sono arrivati il 16 agosto a Pantelleria e vi rimarranno anche per due mesi, finché non terminerà la vendemmia. Hanno famiglia a Marsala, a Palermo e in altre città della Sicilia: la rivedranno in autunno. In questi due mesi dovranno raccogliere quintali di uva. «Bisogna piegarsi per raccogliere ogni grappolo», spiega Biagio. Vuol dire chinarsi centinaia di volte, rimettersi dritti e eliminare gli acini marci, quelli già secchi e quelli che non hanno succo. Ci si china di nuovo per appoggiare con delicatezza il grappolo pulito in una cassetta e si passa al successivo.

Lo zibibbo diventa uva passita, ecco le tecniche che lo trasformano

Dopo una mattinata di lavoro le cassette vengono caricate su un camion e portate nei tunnel, delle serre aperte sui lati e coperte in alto per lasciar passare l’aria e proteggere dall’umido della notte. I grappoli vengono stesi su un graticcio e lasciati lì ad appassire. Dopo dieci giorni vengono girati per far asciugare bene ogni lato degli acini. Altri venti giorni circa di attesa, sperando che non piova. Da metà settembre in poi i grappoli sono pronti per essere portati in magazzino dove gli acini vengono staccati a mano dal raspo, uno per uno. Cuoccia a cuoccia, come dicono i contadini panteschi. Solo a questo punto, circa due mesi dopo la vendemmia, si può iniziare a estrarre il succo.

«Ma la vendemmia è una passeggiata. La vera fatica è in inverno», avverte Vincenzo. Ha 48 anni, da tre lavora a Pantelleria. Prima aveva una cartoleria a Marsala. L’ha lasciata alla moglie, serviva un altro stipendio per vivere in modo dignitoso e da queste parti lo zibibbo è una delle poche alternative possibili. Giacomo Rallo ha vinto la sua scommessa. Anche ora che non c’è più lui e a occuparsi di Donnafugata – l’azienda di famiglia – è il figlio Antonio, il Passito è un prodotto che riesce a dare lavoro ogni anno a 35-40 persone tutto l’anno che diventano 75 durante la vendemmia. Sessantotto ettari di giardini salvati dall’abbandono, venticinque chilometri di muretti a secco rimessi a nuovo, riducendo in misura notevole il rischio di frane in caso di piogge abbondanti. Le cifre dei Rallo acquistano anche maggiore importanza se si pensa che 50 anni fa i vigneti coprivano la metà dell’isola, oggi solo un decimo del suo territorio. E che a maggio un incendio doloso ha distrutto 600 ettari di bosco. «Un attacco alla natura e a un sistema già molto difficile da mantenere in equilibrio ma si può reagire», assicura Antonio Rallo. La prima reazione è avvenuta dalle istituzioni che hanno dato il via libera alla nascita del Parco Nazionale. La successiva è quella di imprenditori come Rallo che continua ad andare alla ricerca di giardini da salvare dall’abbandono o come Emanuela Bonomo che ha avuto diversi giardini distrutti ma non intende arrendersi.

Seguendo il Passito, insomma, si può trovare lavoro. A patto di accettare di diventare pendolari del mare: finita la vendemmia si va a casa ogni quindici giorni ma il resto del tempo si resta sull’isola. E se la delicata fase della vendemmia è «una passeggiata» il resto dell’anno trascorre potando sotto il vento sferzante dell’inverno, portando la pompa sulle spalle su e giù per le terrazze, zappando intorno a ogni vite per togliere l’erba e scavare le conche che permettono di raccogliere l’acqua per la pianta. Faticoso? Chi accetta finisce per appassionarsi. «Non farei nulla di diverso», afferma Ali, 65 anni, origini tunisine ma da quarant’anni in Italia fino a diventare il mastro dell’uva passita, uno dei capi indiscusso della complessa tecnica dell’asciugatura dello zibibbo.

«Sono orgoglioso di fare questo lavoro» – aggiunge Vincenzo – avevano scommesso che non ce l’avrei fatta, che sarei scappato dopo quindici giorni. Dopo tre anni sono ancora qui. E non intendo assolutamente andare via».

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