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“Ora sei un uomo…” – Gli effetti della svalutazione dei riti di passaggio in Occidente

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“Ora sei un uomo…” –  La svalutazione dei riti di passaggio in Occidente e l’educazione all’esperienza della Paura

span style="font-weight: 400">Sebbene la post-modernità abbia reso le consuetudini della tradizione ormai obsolete in Occidente, l’anziano conserva indubbiamente, almeno nell’immaginario collettivo, il ruolo di depositario dell’esperienza.
Ed è proprio nella figura del Saggio che spesso cerchiamo un “rifugio dalle paure”:  da piccoli cerchiamo il coraggio dei nostri genitori, crescendo, invece, cerchiamo consapevolezze nei testi di chi ha sperimentato prima di noi, cerchiamo rassicurazioni nelle istituzioni secolari, finchè non diventeremo a nostra volta il rifugio delle nuove generazioni. Ma non si può diventare grandi senza attraversare lo spazio misterioso delle paure. 
Un viaggio formativo che rischia però di concludersi senza la giusta assimilazione a causa della fragilità dell’individuo e della mancanza di un supporto.

Occorre innanzitutto, quindi, educare alla paura: non educare con la paura, ma proprio educare ad avere paura, a fare in modo di non scandalizzarsi delle proprie paure, a reinterpretare la paura come dimensione tipica del mondo animale e della cultura umana. Il che significa sperimentare la paura, educare alla resa e alla fuga, ma anche alle conseguenze della sconfitta. Uno dei riti più antichi dell’umanità è dedicato proprio all’attraversamento, fisico o spirituale, dello spazio misterioso, tòpos ricorrente in tutti i riti di passaggio. Come non citare per esempio la famosa, quanto drastica, educazione spartana, o le scuole nella foresta dell’Africa subsahariana nelle quali il passaggio è simboleggiato da un lungo e pericoloso viaggio di caccia?
O ancora le affascinanti cerimonie dei nativi americani per smorzare le paure non solo per essere considerati adulti, ma per spegnere la stessa paura di diventare adulti? Queste ultime non sono solo dedicate agli uomini guerrieri, ma anche alle giovani donne; con il rito “Išnata Awicalowan”, infatti, le giovani sioux, al presentarsi del primo mestruo venivano tenute simbolicamente legate dai propri parenti, alla presenza di tutta la tribù che le incitava a liberarsi, guadagnandosi l’ingresso nell’età adulta, risvegliando la forza adatta ad una buona Madre.

 

Che fine hanno fatto i riti di passaggio in Occidente e in particolare nell’Italia di oggi? Come si diventa adulti in una società caratterizzata dall’assenza di stabilità, dall’indebolirsi di ritualità condivise, dal diffuso ricorso a forme estreme di consumo che regolarizzano le posizioni sociali? Il passaggio dall’adolescenza all’età giovanile avviene presto nella nostra società: si diventa in fretta giovani adulti, una categoria inventata di recente, una tappa della vita che tende a durare per un periodo indefinito. Si rimane a lungo giovani adulti, troppo a lungo. I riti di iniziazione — dall’esame di maturità alla patente, dal primo giorno di lavoro al matrimonio — non sono del tutto scomparsi, ma si sono trasformati in riti a “bassa intensità”. Essi cioè mancano di un ampio riconoscimento pubblico, di significati socialmente condivisi, e tendono ad assumere un carattere quasi privato. Ma soprattutto l’incapacità dello Stato e, in generale, degli anziani ad assicurare lo svolgimento dei riti di passaggio ha lasciato campo libero alle corporation dei consumi nella regolamentazione dei suddetti. L’acquisto del primo telefonino, l’acquisto di alcolici e tabacco, il motorino e l’automobile personale, la possibilità di tatuarsi scandiscono il progredire dell’età nella nostra società, accelerata o rallentata secondo i ritmi del mercato. La pericolosità di un così facile accesso all’età adulta, cioè senza riti, prove fisiche o simboliche, è rappresentata dall’ incubazione della concezione dell’ansia, della paura e del panico, che resta latente nel giovane fino ad esplodere alla prima crisi.

RIPRODUZIONE RISERVATA
A cura di Mario Calabrese

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