Il Parlamento si prepara a votare la missione navale dell’Italia sulle coste libiche. L’obiettivo è dimezzare i flussi.
Adesso il governo punta sulla missione in Libia per dimezzare gli sbarchi
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OMA – Deluso dall’esito della trattativa con le Ong, il governo oggi conta sul passo avanti decisivo di un’altra iniziativa: la missione in Libia. Annunciata solo mercoledì scorso, rinnegata dal capo del governo libico al-Sarraj e poi riconfermata nella forma non di «un’invincibile armata», come dice il premier Paolo Gentiloni, ma di «una missione di supporto all’azione delle autorità libiche di controllo del proprio confine marittimo», stamane sarà illustrata dai ministri Alfano e Pinotti, Esteri e Difesa, alle commissioni competenti di Camera e Senato perché la votino. Domani, poi, il passaggio in Aula a Montecitorio, che dovrebbe autorizzare con una maggioranza più ampia di quella di governo le nostre navi nelle acque libiche.
Operazione vissuta con grandi speranze nelle stanze di Palazzo Chigi, Farnesina, Viminale e Difesa: potrebbe persino, rivelano, dimezzare i flussi verso l’Italia. E intrecciarsi in qualche modo al fallimentare tentativo di dialogo con le Ong: interpretando in modo estensivo l’accordo con Tripoli, facendo leva sulla clausola secondo cui la Libia può chiedere ogni aiuto in caso di emergenza, potrebbero essere proprio le navi italiane – al momento relegate a fare da scorta a quelle libiche – a vigilare perché le Ong restino in acque internazionali e non entrino in quelle di Tripoli.
Dati alla mano, nei ministeri che si stanno occupando del dossier hanno notato una flessione negli arrivi. A inizio luglio erano circa il 20 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2016; una settimana fa, l’aumento si era ridotto al 5,7 per cento, sceso all’1,1 ieri. Una variazione che può essere legata a molti fattori, ma che dal governo non esitano ad attribuire in buona parte a interventi più incisivi della Guardia costiera libica, che agisce con quattro motovedette consegnate dall’Italia e che entro fine estate ne avrà altre sei: oltre a un’azione deterrente sulle partenze, sono tredicimila le persone che hanno riportato sulle proprie coste dopo averle intercettate in mare. Il mese di luglio fa registrare un dato sbalorditivo: 10.781 arrivi contro i 23.552 dell’anno scorso, la metà. Se questo è il risultato dell’azione dei soli libici, ragionano nel governo, l’affiancamento italiano potrebbe portare a stabilizzare la tendenza.
L’ultimo passaggio necessario prima della partenza della missione – entro pochi giorni – è il via libera delle Camere. A cui nel governo guardano con tranquillità: sanno che dentro Mdp, che sostiene l’esecutivo, c’è qualche maldipancia («ombre sulla missione: il governo ci rifletta», invita Arturo Scotto), e infatti oggi i parlamentari si riuniranno per discuterne, ma ai voti della maggioranza si aggiungerà con buone probabilità Forza Italia. La Lega vincola il suo sì a un mandato chiaro per «una politica di rinforzo ai respingimenti», come dice Giancarlo Giorgetti, mentre dal M5S Luigi Di Maio anticipa che «valuteremo tutte le proposte: se saranno l’ennesima presa in giro per gli italiani voteremo no».
L’obiettivo è quello dichiarato da Gentiloni al Tg5, «rendere più governabili e, se possibile, ridurre come è necessario i flussi organizzati dai trafficanti di esseri umani». Anche se chi se ne sta occupando ha già in mente i problemi successivi. A cominciare dalle garanzie necessarie sul trattamento delle persone riportate in Libia, su cui è importante coinvolgere l’Onu con l’Unhcr. E poi si sa bene che, chiusa una rotta, i trafficanti ne trovano un’altra: per questo, oltre che col governo di Tripoli, sarebbe utile, si dicono nel governo, stringere un accordo anche con il generale Haftar, l’uomo forte della Cirenaica. Nei giorni scorsi è intervenuto tramite portavoce con parole non concilianti, interpretando la nostra iniziativa come volta a fare «abortire» quella francese di pochi giorni prima. Contatti con lui ci sono, ma sottotraccia: non si è mai voluto dargli lo standing di interlocutore al pari del premier riconosciuto dall’Onu al-Sarraj. Ma l’invito di Macron a Parigi della settimana scorsa potrebbe aver cambiato la prospettiva.
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