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I nuovi schiavi: lavoratori in appalto del distretto carni, nel Modenese

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I nuovi schiavi: lavoratori in appalto del distretto carni, nel Modenese – ATTUALITÀ

Li chiamano i nuovi schiavi. Sono 127 persone licenziate dalla Castelfrigo di Castelnuovo Rangone (nel Modenese), un’azienda che opera nel distretto delle carni. Hanno deciso di iniziare lo sciopero della fame contro il sistema delle “false cooperative”. Per i sindacati si tratta del “nuovo caporalato”.

“Non siamo i nuovi schiavi”. Operai della carne in rivolta

Protestano i 127 licenziati dalla Castelfrigo Cgil: è caporalato. Maratona di solidarietà

MODENA – Fra scioperi della fame, veglie di preghiera nel giorno della Vigilia e, oggi, la maratona di solidarietà lungo le tappe segnate dall’azione delle false cooperative di lavoro, non si arresta la campagna contro lo sfruttamento dei lavoratori in appalto del distretto carni, nel Modenese. L’obiettivo della Cgil, che appoggia la protesta e difende le ragioni dei 127 lavoratori licenziati di recente alla Castelfrigo di Castelnuovo Rangone, dove da dieci giorni è in corso un presidio con quattro persone alimentate solo ad acqua e vitamine, è richiamare l’attenzione della magistratura sui problemi degli operai di uno dei mestieri più duri.

Gli addetti dell’economia agroalimentare italiana che ha per capitale Modena, uno dei distretti più importanti con un fatturato da 3 miliardi l’anno, non dipendono più dalle aziende dove lavorano, ma vengono messi a disposizione da cooperative che nascono e falliscono per poi riformarsi sotto altro nome, licenziando e riassumendo personale costituito al 100% da stranieri, gli unici a fare un lavoro così massacrante. Gli addetti in questa zona sono 5mila, 1.200 nella spiacevole condizione di lavoratori in appalto, esposti al «nuovo caporalato» di cui parla apertamente il sindacato.

Oggi Mauro Gambaiani, dipendente di un’azienda di lavorazione carni, 52 anni, partirà da Fanano per raggiungere dopo sessanta chilometri il piazzale della Castelfrigo, senza dimenticare lungo il percorso le realtà produttive che fanno ricorso al lavoro in appalto: dall’Inalca dove nacque il fenomeno vent’anni fa, fino alla Suincom di Castelvetro dove il fenomeno «è degenerato con la proliferazione di false cooperative che sono state anche oggetto di indagini e dove, nel 2002, è morto un lavoratore», dice Marco Bottura della Cgil.

Sciopero della fame, sciopero dei lavoratori, ultra-maratona, come l’hanno chiamata per la lunghezza superiore ai 42 km, iniziative per accendere un faro, possibilmente quello della giustizia, su un comparto esposto a moderne forme di schiavitù: «Abbiamo presentato un centinaio di esposti all’Ispettorato del lavoro e ad altri enti, che hanno trasmesso il materiale alla procura di Modena, ma le segnalazioni non hanno avuto corso o sono state archiviate – aggiunge il sindacalista -. Nel frattempo però si è creato un ambiente dove si sono moltiplicate irregolarità e illegalità».

Tanti i motivi per cui è difficile indagare sui lavori in appalto: «C’è l’opacità delle leggi, ambigue e poco chiare sia sulle modalità degli appalti che sulla tipologia di contratto – spiega Bottura -. Poi c’è stata la depenalizzazione del reato di somministrazione illegale di manodopera e, d’altro lato, l’abbattimento della sanzione, il cui limite è stato stabilito a 50mila euro, che si riducono a un terzo, 16mila, se l’azienda paga subito». Intanto, dopo settimane di proteste, la tensione fra i lavoratori della Castelfrigo continua a salire in vista dell’arrivo delle 127 lettere di licenziamento, attese per il 2 gennaio.

«I licenziati accederanno al Naspi, un ammortizzatore sociale, ma qui il problema è anche un altro – avverte l’espondente Cgil -: non si tratta della chiusura di una cooperativa, ma di un sistema che espelle dei lavoratori che hanno denunciato lo sfruttamento e la violazione dei propri diritti. La nostra richiesta per queste persone è che rientrino nel settore dove lavoravano prima».

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