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Nuove tecnologie. Il governo raccolga la sfida MARIO DEAGLIO *

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uove tecnologie – I francesi di Vivendi avanzano nel capitale di Telecom, di fatto costringendo alle dimissioni l’amministratore delegato, e vogliono concludere accordi strettissimi con Mediaset, che potrebbero preludere a una sua acquisizione almeno parziale. Sarebbe certamente errato interpretare queste mosse, secondo il costume italiano, soprattutto in termini di potere e di poltrone, di logica politica anziché di logica industriale.

Negli ultimi vent’anni in Italia le competenti commissioni parlamentari sono state teatro di scontri violentissimi sulle nomine dei vertici Rai.

Ma pochi membri di queste commissioni si accorgevano che i nuovi nominati erano i generali di un esercito in ritirata e che, soprattutto negli altri Paesi ricchi, l’attività di cui si occupa la Rai stava cambiando in maniera sostanziale e rapidissima. La televisione ha ormai smesso di essere a senso unico e i telespettatori non sono più soltanto telespettatori: la tecnologia consente loro di scegliere tra centinaia o migliaia di spettacoli e altri programmi di ogni tipo, stabilire l’ora nella quale guardarli, rispondere a sondaggi, selezionare le notizie di loro interesse. In giro per il mondo, insomma, ciascuno comincia a farsi la «sua» televisione.

In questo grande rivolgimento, il «servizio pubblico» si sta trasformando in «prodotto» e per accedere alle nuove meraviglie bisogna abbonarsi e addirittura, per vedere certi spettacoli, bisogna prima digitare sul telecomando il numero del proprio Bancomat o della propria carta di credito. L’informazione televisiva è diventata un’industria e invece di pagare un canone, uguale per tutti (tranne i molti che non l’hanno mai pagato) si comprano i programmi che si vogliono vedere. E i programmi si possono ricevere anche su computer e su smartphone o su tablet. Tutto ciò può essere bene o può essere male; semplicemente non si può ignorarlo come ha fatto il mondo politico italiano che di fronte a questi sviluppi si trova nettamente spiazzato.

In Europa l’Italia non è certo l’unico Paese sonnolento né l’unico in cui i telespettatori «classici» sono sempre più vecchi. Tra gli operatori più dinamici nel Vecchio Continente c’è il gruppo francese Vivendi, ai cui vertici si trova Vincent Bolloré, imprenditore e finanziere transalpino con una forte attenzione alla finanza italiana, nella quale è molto presente.

I francesi di Vivendi hanno un’idea molto precisa: per «sfondare» in questi nuovi orizzonti televisivi non basta esser dotati di una grande rete di telecomunicazioni, meglio se in fibra ottica, in grado di portare in tutte le case i nuovi programmi, ma anche di moltissimi «contenuti» da offrire ai telespettatori stessi. Il che spiega l’interesse francese sia per la grande «rete» di Telecom Italia sia per una collaborazione – se ci si fermerà a questo – con un importante realizzatore di programmi come Mediaset. Al connubio «grande rete Telecom, molti programmi da diffondere» si aggiunge anche una terza dimensione: la possibilità di offrire uno spazio pubblicitario al tempo stesso sterminato e differenziato.

L’interesse di Vivendi si è fatto pressante quando, nell’autunno del 2015, in Italia sbarca l’americana Netflix, colosso mondiale del settore, con oltre 75 milioni di abbonati, uno sbarco preceduto da un’offensiva in piena regola con organizzazioni Netflix costituite ormai in quasi tutti i Paesi europei. Occorre allora stringere i tempi, e così arriviamo alle notizie di finanza – e non solo – di questi giorni.

La palla, a questo punto, torna alla politica e, in particolare, al governo: che cosa vuol fare di fronte a questo rapido cambiamento della nostra vita che potrebbe riservarci ancora molte sorprese (basti pensare all’uso che si potrebbe fare della «televisione su domanda» per la formazione permanente e altre attività didattiche)? Davvero si lascerà che cambi – senza molta trasparenza – la maggioranza di Telecom, una delle imprese più rilevanti del Paese anche dal punto di vista tecnologico, senza porre qualche condizione che garantisca l’Italia dal pericolo di una vera e propria spoliazione? Ci sono benefici possibili per il mondo italiano delle notizie e degli spettacoli? Che ne sarà della Borsa italiana se sarà privata di un altro «peso massimo»?

Le risposte non sono scontate e proprio per questo è necessario un grande dibattito. In ogni caso una cosa è certa: l’ora dei litigi su chi sarà il prossimo direttore di questa o quella rete della Rai è definitivamente passata.

mario.deaglio@libero.it

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