A Trapani il trafficante sarebbe evaso scavalcando il muro che circonda il carcere. In Uruguay il boss della Ndrangheta da un foro nel tetto.
Un detenuto albanese, Luca Leke, è evaso dal carcere di Trapani. Secondo i primi accertamenti, avrebbe scavalcato il muro che circonda l’istituto di pena San Giuliano. Il carcere è dotato nei nei passeggi c’è il muro alto almeno tre metri, poi il muro di cinta alto almeno 5-6 metri. Il carcerato stava scontando una condanna per traffico di droga e sono numerosi i precedenti penali del detenuto, tra i quali un gran numero di furti.
Il fuggitivo che ha 32 anni, a luglio del 2017 era anche evaso dal carcere di Civitavecchia insieme a un connazionale. Il detenuto sarebbe riuscito a scavalcare il muro di cinta saltando giù pare durante l’ora d’aria. Al momento verrebbe escluso il coinvolgimento di complici, anche perché l’uomo si trovava a Trapani da poco tempo e, secondo quanto si apprende, non avrebbe collegamenti nella zona. Leke sarebbe vestito con un una tuta di colore nero.
Nel frattempo un’altra evasione che ha avuto molto più risalto sui media nazionali è stata quella di Rocco Morabito, noto decennale boss della ndrangheta che era detenuto a Montevideo in Uruguay nell’attesa che la Corte Suprema di quello Stato si pronunciasse sulla sua estradizione richiesta dall’Italia dove doveva scontare una condanna a 30 anni di carcere perché considerato il re del traffico di cocaina che ha invaso la Lombardia.
Grazie ad un tunnel, scavato pazientemente e senza che nessuno se ne accorgesse, insieme ad altri detenuti, il Rocco è arrivato sul tetto del carcere, costruito nel pieno centro di Montevideo. Da lì si sono calati sul balcone di una casa confinante e sono entrati nell’appartamento della signora Elida Ituarte, sollevando una persiana. Il boss ha rassicurato la donna che non le avrebbe fatto ma che aveva fretta di dover andar via poiché una delle sue figlie sarebbe molto malata. Prima però insieme ai complici, Morabito ha pensato bene di ripulire il portafoglio della signora per finanziare quanto meno la prima parte della sua fuga.
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roblemi economici che il Rocco non aveva quando si spacciava per Francisco Antonio Capeletto Souza, imprenditore brasiliano d’origine, ma da oltre 12 anni residente in Uruguay, dove si era fatto un nome nel campo dell’import-export e nella coltivazione intensiva di soia. Una copertura che ha tenuto per decenni e che Morabito considerava così sicura da non preoccuparsi di mantenere un basso profilo. Al contrario.
Prima dell’arresto, viveva in una delle località più esclusive dell’Uruguay e per di più in una villa – con piscina, ovviamente – nei pressi del quartiere di Beverly Hills, scopiazzato in tutto e per tutto dall’omonima città californiana. Quando viaggiava, sceglieva solo i migliori hotel. E proprio nella hall di uno dei più prestigiosi alberghi della capitale Montevideo è stato arrestato nel settembre del 2017, quando in Italia era considerato fra i 5 latitanti più pericolosi e l’Interpol per lui aveva diramato un’allerta rossa.
Rocco, figlio di Domenico Morabito e Carmela Modafferi, nipote di Antonio Mollica e parente del temuto boss Peppe Tiradritto Morabito, “U Tamunga” porta un cognome importante nel mondo della ‘ndrangheta, tanto in Calabria e nella natia Africo, come a Milano dove ha costruito il suo impero fondato sulla coca. Arrivato a 25 anni sotto la Madonnina, dalla Calabria ha portato con sé l’autorità criminale e il soprannome, forse legato al Dkw Munga, fuoristrada militare tedesco, considerato pressoché indistruttibile, con cui pare che il giovane Rocco scorazzasse per le strade della jonica. A Milano si divideva fra traffici e la bella vita nei locali che solo il rischio di un imminente arresto lo ha convinto ad abbandonare.
Il Ministro degli Interni Matteo Salvini ha dichiarato che si chiederanno spiegazioni all’Uruguay e non si darà tregua al boss fino a quando non sarà assicurato alla Giustizia.
Adduso Sebastiano
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