Nello Musumeci: Tamponi e mascherine per tutti è la strategia di cui abbiamo bisogno oggi per isolare i focolai che si manifestano in Sicilia.
Nello Musumeci, vogliamo immediatamente tamponi, tamponi, tamponi.
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Il trionfalismo con il quale viene narrato sui media il “modello italiano” di contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19 è destituito di fondamento. La rapidità con la quale il contagio si è diffuso e la concentrazione dei focolai in un’area limitata del paese ci dicono dell’incertezza con la quale è stata affrontata la fase iniziale dell’emergenza, una situazione molto simile a quella verificatasi in Cina, dove per circa un mese è stata negata l’esistenza stessa del problema.
Non basta oggi a nascondere questa evidenza l’investimento comunicativo fatto di “nazionalismo banale” intorno alla bandiera e all’inno di Mameli. Non basta lo “stringersi a coorte” per mascherare lo smantellamento (di strutture e di personale) di una sanità pubblica che rischia oggi di non reggere nelle regioni ricche del paese, ma che domani sarebbe inevitabilmente travolta al Sud.
Non abbiamo, peraltro, nessuna evidenza, al momento, che ci dica che dopo l’abbattimento dei nuovi casi (come avvenuto in Cina in seguito alla reclusione rigida di decine di milioni di persone) non ci sarà una recrudescenza dell’epidemia all’indomani dell’allentamento delle misure di “distanziamento sociale”. Non sappiamo neanche se le aree attualmente lambite non saranno risparmiate dal virus in conseguenza delle diverse condizioni ambientali (temperatura media più alta, minore tasso d’inquinamento).
Sappiamo, invece, che la scena pubblica è occupata da scienziati e sempre di più, militari. Non possiamo non rilevare, infatti, l’eclissarsi della gestione politica della crisi. E sappiamo bene che quando ci sono di mezzo i militari le società subiscono un processo di involuzione. La pretesa universalità e verificabilità del discorso scientifico, peraltro, annaspa tra posizioni contrastanti e un generico “lavatevi le mani e state a casa”, più o meno quello che veniva detto nelle pestilenze dei secoli scorsi.
Noi non sappiamo se e quanto durerà l’emergenza e, soprattutto, se e quando verrà prodotto un vaccino.
In Sicilia la situazione si preannuncia tragica. La performance di Musumeci che getta l’inefficace mascherina inviata da Roma ci dice di quanto terrore ci sia in questo momento in chi governa l’isola. L’inconsistenza delle strutture sanitarie e il numero ridotto di posti di terapia intensiva ci espone ai rischi della catastrofe se i piccoli focolai di oggi dovessero assumere le dimensioni lombarde.
Piuttosto che invocare l’uso dell’esercito bisognerebbe, dunque, fare immediatamente l’unica cosa che ci sembra abbia ottenuto risultati rapidi in altre parti del globo: fare il tampone al maggior numero di persone nel più breve tempo possibile. Tamponi e mascherine per tutti è la strategia di cui abbiamo bisogno oggi per isolare i focolai che si manifestano. In Sicilia è ancora possibile.
Non facciamo l’errore fatto in Cina e Lombardia, non lasciamo che il virus si infiltri nelle nostre case, nei luoghi di lavoro, in quei brandelli di vita sociale che non possono essere interrotti.
Lo stato di reclusione cui tutti ci siamo sottoposti è necessario, ma non può durare all’infinito. Ad un certo punto risulterà ingestibile socialmente, economicamente e psicologicamente. Deve essere gestito, devono essere possibili allentamenti. E questo si può fare solo se, sistematicamente, a partire da chi è più esposto (personale sanitario, lavoratori della grande distribuzione, operai…), si faranno tamponi a tappeto per isolare il virus.
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