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Castellammare di Stabia

Napoli, scudetto: lettera di un cronista innamorato di due passioni

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Napoli, il terzo scudetto si avvicina a lunghi passi e domani con la Salernitana potrebbe esserci la matematica certezza: i pensieri e le riflessioni di un cronista innamorato di due passioni calcistiche.

NAPOLI, LO SCUDETTO SEMPRE PIU’ VICINO.

Nella mia vita sono stato e sono tuttora innamorato di due passioni calcistiche: la Juve Stabia (squadra della mia città) e il Napoli. E con lo stesso trasporto ho festeggiato sia le due storiche promozioni in Serie B dello Stabia il 19 giugno 2011 (con annessa Coppa Italia di C qualche mese prima) e il 20 aprile 2019, sia i due scudetti del Napoli del 10 maggio 1987 e del 29 aprile 1990 oltre alla Coppa Uefa del 1989 e alle 6 Coppe Italia.

E tutto ciò alla faccia di chi ancora oggi (e nella mia città ce ne sono purtroppo ancora tanti) cercano di creare stupide e illogiche contrapposizioni tra l’amore per la squadra della propria città e quella che dovrebbe essere il riferimento di qualsiasi cittadino campano e del Sud Italia in generale, vale a dire il Napoli.

E credetemi non sapete cosa vi perdete a tifare per squadre che non ci rappresentano in alcun modo (Juve, Inter, Milan, Roma ecc.) e che rappresentano realtà distanti 800-900 km. dalla nostra oltre che mondi lontani anni luce dal nostro.

NAPOLI, SCUDETTO: QUANTI RICORDI!

Il calcio l’ho conosciuto attraverso mio padre che negli anni 70′ nel vecchio e polveroso Stadio S. Marco di Castellammare mi portava a vedere le prime partite della Juve Stabia nei campionati di Serie D.

Ma non potrò mai dimenticare il giorno in cui (era il 29 marzo del 1981) sempre mio padre (anche lui innamorato delle mie stesse due passioni calcistiche) mi portò per la prima volta a vedere una gara del Napoli al San Paolo. Era un Napoli-Bologna finita due a uno per gli azzurri con reti di Speggiorin e Damiani e gol felsineo di Garritano. Era il Bologna del brasiliano Eneas e di un giovanissimo Roberto Mancini.

Ma ciò che mi restò impresso di quella giornata fu la grande emozione e il cuore che batteva nel salire le scalee e vedere da vicino il prato del San Paolo.

Era il Napoli di Ruud Krol, che con i suoi lanci di 50 metri precisi al millimetro permise all’attaccante Pellegrini (non molto dotato tecnicamente) di lottare per la classifica capocannonieri fino alla fine.

E quel Napoli con Rino Marchesi in panchina e Gaetano Musella (poi trascinatore della Juve Stabia qualche anno dopo) quell’anno lo scudetto lo sfiorò davvero a pari punti in testa con Roma e Juve dopo un gol proprio di Musella di testa a Torino contro i granata a pochissime giornate dal termine.

Un match stregato contro il fatal Perugia (già retrocesso in B) mise fine ai sogni di gloria. Autogol di Ferrario il 26 aprile del 1981 dopo un solo minuto di gioco e al resto pensò Malizia, portiere del Perugia, che parò tutto e anche di più. E Pellegrini quel giorno fu capace di colpire in una sola azione due volte il palo. Cose da Napoli, purtroppo, come la storia avrebbe poi più volte insegnato.

C’ero anche quando poi nel 1982-83 e nel 1983-84 si rischiò due volte in modo molto serio la retrocessione in Serie B.

NAPOLI, LO SCUDETTO SI AVVICINA NEL RICORDO DI MARADONA.

Ma c’ero anche quel 5 luglio 1984 quando io e altri 80.000 ci demmo appuntamento per salutare e accogliere nel migliore dei modi l’uomo che avrebbe cambiato i destini non solo del Napoli ma anche della città di Napoli: Diego Armando Maradona.

Quell’estate, avevo 15 anni, costrinsi mio padre a rientrare prima dalle vacanze per andare ovviamente al San Paolo a vedere la prima di Maradona con la maglia azzurra: Napoli-Arezzo 4-1 gara di Coppa Italia con doppietta di Diego (il primo un capolavoro su punizione).

Da quel momento per me 7 anni di abbonamento e di presenza fissa al San Paolo fino al 1990-91, ultimo anno di D10S al Napoli.

E tanti ricordi che si accavallano e la mia adolescenza immolata al culto di Diego di cui ancora oggi c’è traccia in ogni vicolo, in ogni strada e anfratto di Napoli e non solo.

Lo scudetto del 10 maggio 1987 (trascinando ancora una volta anche mio padre al San Paolo nei Distinti), con la notte precedente insonne a vedere la Grande Attesa in tv condotta da Michele Plastino e quella successiva a camminare per Napoli e a sedersi a mangiare nei vicoli di Napoli nelle tavolate organizzate dai vari quartieri per festeggiare l’Evento.

E il secondo scudetto, quello del 29 aprile 1990, dopo un testa a testa avvincente col Milan.

Ma io c’ero anche quel 1 maggio 1988, quel maledetto giorno in cui il Milan vincendo a Napoli ci soffiò uno scudetto praticamente già vinto dopo un dominio netto in tutto il corso della stagione e un calo fisico altrettanto netto degli azzurri nelle ultime gare. Cose ancora da Napoli, purtroppo.

Quella rimane tuttora la mia delusione calcistica più grande della mia vita insieme alle due finali perse dallo Stabia per l’accesso in B nel giugno del 1994 contro la Salernitana, ironia della sorte proprio al San Paolo, e contro il Savoia al Partenio il 13 giugno 1999.

In mezzo, la grande vittoria della Coppa Uefa del 1989 della quale ho due fotogrammi ben impressi nella mia mente.

Il primo è il gol di Alessandro Renica al 120esimo minuto dei quarti di finale Napoli-Juventus 3-0 dopo il 2-0 subito a Torino all’andata. Non ho mai visto esultare il San Paolo in maniera più rabbiosa in vita mia. Ero in Curva B e il gol lo rividi solo a casa qualche ora dopo essere stato sommerso dalla gioia di chi era vicino a me. Allo stadio ebbi solo la percezione della rete che si gonfiava e nulla più.

Il secondo fotogramma è il riscaldamento di Napoli-Bayern con i tedeschi che si preparavano al match di semifinale e tutti a fermarsi testa all’insù al Porompompero che tutto lo stadio intonò prima del match. Cose solo da pubblico di Napoli.

NAPOLI, SCUDETTO: GLI ANNI DEL DECLINO.

E c’ero anche negli anni 90′: gli anni del declino dopo l’addio di Maradona. Il primo segnale fu la sconfitta nella finale di Coppa Italia a Vicenza.

Poi un lento e costante declino con le due retrocessioni in Serie B del 1998 e del 2000 intervallate dal ritorno in Serie A con il capolavoro di Walter Novellino poi inspiegabilmente non riconfermato per seguire i voli pindarici di Zdenek Zeman durati ahimè pochissimo all’ombra del Vesuvio.

Poi il duo Naldi-Corbelli e il fallimento, le carte bollate, i tribunali in un’estate rovente che non dimenticheremo mai. Il Napoli scompare nell’estate del 2004 e riparte dalla Serie C con Aurelio De Laurentiis.

Ma qui inizia la favola. Una favola senza limiti che ogni anno aggiunge qualche fattore di positività. Due anni di Serie C ma poi è Serie B nell’estate del 2006 e l’anno dopo con Reja, traghettatore dalla C e vero padre di questa rivoluzione copernicana, si torna subito in Serie A.

Il Napoli si qualifica subito al primo anno di A per l’Intertoto e arriva fino ai preliminari col Benfica per un posto in Europa League. E poi, tranne un solo anno, è una presenza costante nelle Coppe Europee, segno che qualcosa sta cambiando.

La certezza ce l’abbiamo quando all’ombra del Vesuvio arrivano attaccanti di grande valore come lo stabiese Quagliarella ma anche e soprattutto Matador Cavani e Higuain.

Con Benitez arriva anche la consapevolezza del cambio di marcia a livello internazionale con tanti giocatori che arrivano e sono destinati a farci sognare negli anni successivi come Callejon, Mertens, Jorginho, Ghoulam, Insigne, Reina e lo stesso Higuain, croce e delizia soprattutto per il suo passaggio alla Juve.

Ma è con Sarri che si sogna davvero. Dopo la stagione 2015-2016 in cui il Napoli tiene testa alla Juve con i 36 gol di Higuain per buona parte del campionato cedendo solo nel finale, è due anni dopo (2017-2018) che davvero si sfiora la vittoria del campionato.

E’ il mio primo anno da giornalista a commentare le gesta del Napoli anche al San Paolo. Ai sogni mette fine il signor Orsato di Schio, arbitro della celeberrima Inter-Juventus.

Il Napoli arriva dalla vittoria a Torino contro la Juve con gol di Koulibaly nei minuti finali della gara e si porta ad un punto dagli odiati bianconeri. Ma la settimana dopo Orsato, dopo aver subito ridotto in dieci l’Inter, pensa bene di evitare una sacrosanta espulsione di Pjanic sorvolando su un secondo giallo evidentissimo e spianando la strada ai bianconeri verso lo scudetto.

Il Napoli franerà il giorno dopo a Firenze sotto i colpi del Cholito Simeone. Quel giorno maturai l’idea che il Napoli non avrebbe mai più vinto un titolo tricolore.

Ma fortunatamente mi sbagliavo di grosso. Non avevo fatto i conti con un georgiano, un coreano e un nigeriano che avrebbero scosso dalle fondamenta questo mio malsano pensiero.

NAPOLI, SCUDETTO: LA CAVALCATA TRIONFALE.

Il resto è storia dei giorni nostri. L’epurazione della scorsa estate dei senatori: Insigne, Mertens, Koulibaly, Fabian Ruiz, Ospina, Ghoulam. La contestazione monta ma tutti, me compreso, sottovalutiamo lo spessore tecnico dei calciatori che stanno arrivando.

Raspadori, centravanti della nazionale italiana, Simeone, Kim, Ndombele, Olivera, e soprattutto il georgiano Kvaratskhelia, autentica rivelazione del campionato di Serie A.

A bocce ferme mi lascio addirittura andare ad una previsione, assolutamente ribaltata: dal sesto posto in su sarà tutto di guadagnato.

E invece no. Avviene l’esatto contrario. Il coreano Kim, il nigeriano Osimhen e il georgiano Kvaratskhelia trascinano tutti gli altri.

E’ un monologo, un dominio straripante, che inizia il giorno di Ferragosto e potrebbe terminare matematicamente già domenica prossima o al massimo il prossimo giovedì.

Il Napoli straccia tutti gli avversari e chiude già prima della sosta per i Mondiali a +8 sul Milan. Tutti dicono: a Gennaio sarà un altro campionato, il Napoli crollerà, cambierà tutto.

E invece ancora una volta il Napoli fa accadere l’esatto contrario: tra gennaio e febbraio gli azzurri innestano la sesta marcia e lasciano la polvere dietro di loro con distacchi abissali dalle dirette concorrenti. Anche più di 20 punti.

Il campionato è praticamente già vinto a fine febbraio anche se non ancora matematicamente.

Con delle cartoline stupende: il gol vittoria di Simeone all’andata a Milano di testa contro i campioni d’Italia; i due gol di Osimhen all’andata e al ritorno contro la Roma a bruciare Smalling; il fantastico gol di Kvaratskhelia, forse il più bello del campionato, contro l’Atalanta al ritorno al Maradona.

Ma sulla vittoria mancava il timbro finale. Che viene messo ovviamente allo Juventus Stadium.

Gara tiratissima ma comunque dominata dagli azzurri e, come spesso accade, con errori arbitrali pro-Juve interpretati al contrario dai tifosi juventini.

Ma probabilmente lì tra i cieli abbiamo qualcuno che voleva vederci festeggiare prima possibile questo scudetto meritatissimo.

E la rasoiata alla giugulare della Vecchia Signora la infligge Jack Raspadori su cross perfetto di Elmas al 93°. E su quel tiro che decide il match che rappresenta il timbro di ceralacca finale sulla vittoria dello scudetto, di sicuro c’è la benedizione dall’alto di Diego Maradona.

E’ come se Diego dall’alto avesse accarezzato il piede di Jack, guarda caso il sinistro (il piede di Diego) che fa passare la palla nell’unico punto dove farà male alla odiata Juventus: tra le gambe del portiere Szceszny.

E ora che la festa abbia inizio. Non importa se domani con la Salernitana o giovedì con l’Udinese. L’importante è che dopo 33 anni il tricolore sia tornato dalle nostre parti.

Poiché sono passati 33 anni, con un’intera generazione di mezzo, il mio pensiero va ai tanti amici che hanno vissuto i primi due scudetti e che oggi purtroppo non ci sono più. A Garella, a Giuliani, portieri rispettivamente del Napoli del primo e del secondo scudetto, e ovviamente all’incommensurabile Diego che dall’alto di sicuro si godrà la Grande Festa da una prospettiva diversa.

Ma il pensiero va soprattutto ai tanti giovani e ai bambini che all’epoca dei primi due scudetti non c’erano e che potranno capire cosa significa vincere uno scudetto a Napoli e in tutta la Campania.

Uno scudetto che, a differenza dei primi due vinti all’insegna del più grande giocatore di calcio di ogni epoca storia, stavolta è l’espressione di un collettivo e di un grandissimo allenatore che con il suo gioco ha avuto il grande merito di tirare fuori il meglio da questi ragazzi.

Un vero capolavoro insomma da festeggiare alla grandissima e da ricordare negli annali perchè il Napoli domani potrebbe essere la prima squadra nella storia del calcio italiano a vincerlo con 6 giornate di anticipo (meglio anche del Grande Torino).

Con un coreano, un georgiano e un nigeriano…..


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