Nell’articolo odierno di analisi della politica americana e del cammino in corso verso l’elezione del nuovo Presidente USA, Molinari prende in esame la nomination ottenuta, per i repubblicani, da Donald J. Trump per contrastare la candidatura della democratica Hilary Clinton e, nel farlo, chiede anche il parere di Gianni Riotta che vi proponiamo per l’ascolto rimarcando che, in perfetto stile destrorso, anche in USA sono adusi all’appropriazione indebita: prima la moglie di Trump “ruba” un discorso di Hilary e lo ripropone, con perfetta faccia di bronzo, come sua suscitandone le comprensibili rimostranze (non udite dai destrorsi visto che hanno le orecchie tappate dal bronzo); poi Trump “ruba” la voce di Pavarotti e ne ottiene la diffida dei familiari dello stesso a farne uso per la sua campagna e via di questo passo. Ma questo, anche anche a noi italiani, non è cosa ignota visto che, tanto per fare un esempio, c’è stato qualcuno che intese mutuare il grido più viscerale degli italiani “Forza Italia” piegandolo ai suoi giochi ma tantè …..
C’è da ammettere però che il ladrocinio lo praticano con “destrezza” e costanza e del resto, non per niente, esiste un termine per indicare proprio i furti fatti con consumata esperienza ed abilità: “Furto con DestrEzza”, appunto, e non per niente non è che si chiamano “Furti con Sinistrezza” o “Furti con Centrezza”, no? Ma tutto in modo legale, si intende e, se legale non fosse, lo di fa diventare o diventerà: indimenticabile la legge sulla “modica quantità” nel falso in bilancio per non parlare poi del lemma “utilizzatore finale” ecc ecc. Un altro mondo. Un mondo di ladri, per dirla alla Venditti (ascolta)
Ma ora leggiamo l’interessante articolo del direttore Molinari titolato:
La scommessa del dorato isolamento MAURIZIO MOLINARI
Nel discorso pronunciato nella notte dal palco della Quickens Loans Arena di Cleveland, in Ohio, Trump ha lanciato la corsa alla Casa Bianca proponendo la visione «America First» – Anzitutto l’America – poche ore dopo aver consegnato al «New York Times» una revisione della dottrina della Nato che non prevede più l’intervento automatico a difesa di qualsiasi partner aggredito. Sono due tasselli di una visione dell’interesse nazionale basata sul rafforzamento dei propri confini e non più sulla convinzione di essere la «nazione indispensabile» nella comunità internazionale.
La priorità è allontanare la nazione da conflitti, terrorismo, migrazioni e instabilità finanziarie. E non contribuire a risolverli.
È una ridefinizione del ruolo dell’America esaltata dall’uso degli stessi tre termini per attaccare i rivali democratici: i delegati dell’Arizona nel parterre della Convention rimproverano a Hillary Clinton di volere confini aperti» così come quelli della Florida imputano a Barack Obama la «carenza di ordine e leggi» all’origine degli attacchi contro la polizia, mentre nel settore di New York – lo Stato di Trump – «terra» significa anzitutto «non ridiamola ai Clinton, corrotti e bugiardi». Ted Cruz, il senatore del Texas che ha sfidato la Convention dal podio, descrive in maniera limpida l’identità del popolo di Trump: «Qualcosa di imponente sta avvenendo, lo abbiamo visto con la Brexit in Gran Bretagna ed ora si ripete dentro i partiti repubblicano e democratico in America, gli elettori rigettano lo strapotere del governo, i politici corrotti, vogliono sicurezza e muri per difendersi da migranti e terroristi». La «libertà» e la «prosperità» che Trump persegue per la nazione sono delimitate dalle proprie frontiere così come il ritorno delle frontiere ha accompagnato il voto britannico per uscire dall’Unione Europea.
La scommessa di Trump è sulla creazione di barriere capaci di assicurare all’America una sorta di dorato isolamento, consentendo al ceto medio bianco flagellato dall’impoverimento di risollevare consumi e tenore di vita. È una scommessa politica che tende a far coincidere isolazionismo e promesse di benessere per i più poveri con il risultato di «strappare il tema della giustizia sociale ai democratici», come ammonisce l’opinionista Maria Bustillos sul liberal «Los Angeles Times». A pensarla allo stesso modo è Tim Hagan, capo del partito democratico nella contea di Cuyahoga in Ohio, secondo il quale «la classe operaia corre verso Trump perché da decenni non sopporta gli immigrati, si impoverisce e Hillary non si preoccupa di cercare risposte». Ironia della sorte vuole che proprio i democratici quattro anni fa riconfermarono alla Casa Bianca Barack Obama con una campagna contro le diseguaglianze che mobilitò a loro favore il ceto medio, ma ora è Trump ad essersi impossessato di questo tema facendo leva sul triplice argomento di «confini», «terra» e «leggi». Il risultato è che Nate Silver, il blogger-statistico che prevede i risultati delle presidenziali come quelli del baseball, avverte Hillary: se sulla carta resta la favorita perché Trump non ha più del 35 per cento di possibilità di farcela, in realtà «può perdere come avvenne a John Kerry nel 2004» quando il candidato democratico si sentiva favorito, uscì dalle Convention con 3-4 punti di vantaggio sul repubblicano George W. Bush e poi perse al termine di una notte al cardiopalmo. È lo stesso scenario che disegna Alfonso Aguilar, ex consigliere di Bush sugli ispanici, quando dice: «Finirà per una manciata di voti, perché la coalizione di Trump non è politica, parla al popolo di spettatori delle tv, ed anche la gaffe di Melania potrebbe averla creata ad arte per accattivarsi le simpatie di chi è ai margini di tutto». Puntando a far votare chi in genere diserta le urne perché disprezza o ignora la vita politica.
> vivicentro / Molinari sul cammino di Trump verso egoismo ed isolamento USA STANISLAO BARRETTA
> lastampa / La scommessa del dorato isolamento MAURIZIO MOLINARI
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