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Mitra, magnum e calibro 9: l’arsenale delle baby gang che tiene in scacco Napoli. DARIO DEL PORTO*

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Inchiesta. Armi e munizioni arrivano dall’Est Europa o vengono rubate ai vigilantes. I criminali adolescenti le maneggiano come fossero sicari adulti.

NAPOLI – È il rumore delle armi la colonna sonora dei ragazzi perduti di Napoli. I giovani boss che hanno deciso di prendersi il cuore della città ne hanno sempre una tra le mani. Non è solo uno strumento di morte, ma uno status symbol. Lo raccontano le microspie piazzate dalla procura nella casa degli eredi della storica famiglia Giuliano, i capi della cosiddetta “paranza dei bimbi”, come nel quartiere Forcella viene chiamato questo clan di giovanissimi.

L

e cimici captano continuamente lo stesso suono: lo “scarrellamento” di una pistola pronta all’uso: “A questo punto si sente il tipico rumore dell’abbattimento del cane di sul percussore”, annotano ripetutamente gli investigatori nell’informativa trasmessa ai pm anticamorra Francesco De Falco e Henry John Woodcock. E quando non le usano, parlano delle armi come se fossero abiti firmati.

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“Ma pensa che è nuova, nuova e imballata”, dice compiaciuto uno dei rampolli della famiglia Giuliano, Guglielmo, durante un colloquio intercettato alla fine di gennaio del 2014. Uno degli affiliati chiede se quella pistola è “la special 92”. E un altro giovane Giuliano, Toni, risponde da esperto del settore: “No, no, 92 F S, è la nuova. Fuori serie calibro 9 per 19. Le botte dentro vanno, la teniamo solo noi”. Per un bel pezzo il gruppo discute solo di pistole. Parlano di quella “con tredici botte”, scherzano sulla “357 cromata con il manico di gomma, quello là è secco e lungo… quello di Al Capone”.

Anche i numeri rilanciano l’allarme del procuratore nazionale antimafia Franco Roberti sulla “spaventosa disponibilità di armi” delle nuove leve della camorra napoletana. Tra il primo luglio 2014 e il 30 giugno 2015, i carabinieri del comando provinciale di Napoli diretto dal generale Antonio De Vita hanno sequestrato 1265 fra armi da fuoco e armi bianche, più di 23 mila munizioni e quasi 10 mila chilogrammi di esplosivo. Un arsenale da guerra, cui vanno sommati i sequestri delle altre forze di polizia.

Le armi arrivano in città seguendo percorsi diversi, talvolta (ma non sempre) sovrapponibili a quelli di altri traffici illeciti come quelli di droga. In genere, ogni gruppo criminale ha i suoi fornitori. Alla fine degli anni ’90, pistole e mitra giungevano via mare, a bordo degli scafi che trasportavano sigarette di contrabbando. La rotta balcanica resta una di quelle privilegiate. Ma in tempi più recenti si è intensificata l’importazione di armi micidiali, compresi mitra kalashnikov e mitragliette Uzi, che viaggiano a bordo di tir o auto veloci dai paesi dell’Est europeo come la Repubblica Ceca e la Russia. Oggi il mercato illegale si alimenta anche con le pistole rapinate a dipendenti di istituti di vigilanza privata, spesso presi di mira dai banditi proprio con l’obiettivo di impossessarsi delle armi per poi rivenderle oppure utilizzarle in proprio.

E quando le armi finiscono nelle mani dei boss ragazzini, può davvero accedere di tutto. Per provarle, le gang spesso sparano dai tetti. Lo ha confermato un’indagine dei carabinieri che, agli inizi dello scorso mese di luglio, scoprirono in pieno centro, nella zona del Borgo Sant’Antonio Abate, un vero e proprio poligono di tiro sul terrazzo di un edificio: sparsi sul pavimento c’erano decine di bossoli, le antenne paraboliche circostanti erano crivellate di colpi, proiettili erano conficcati nei muri. Nascosta nel cortile c’era una busta con una pistola calibro 9 e 22 cartucce per fucile.

Ma può anche succedere che scendano direttamente in strada, dopo aver comprato un’arma nuova. Come la sera di Capodanno del 2013, quando due rampolli della “paranza” andarono in giro nei vicoli di Forcella per divertirsi un po’. “Mentre stavamo salendo dissi: spariamo in aria”, afferma il ragazzino di neppure vent’anni in uno dei dialoghi intercettati dell’inchiesta. E aggiunge: “Tirai una botta in petto a un nero, il nero cadde a venti metri, sul Volto Santo”. Le indagini della squadra mobile diretta da Fausto Lamparelli hanno verificato che, proprio quella sera, un immigrato indiano si fece medicare in ospedale dopo essere stato ferito in quella zona da un proiettile vagante. In un’altra intercettazione, alcuni indagati preparano un agguato e si consultano: “Me la puoi dare una 45?”, chiede uno. Un altro replica, ironico: “Tu salti in aria con la 45”. Un terzo interlocutore li rassicura: “Sparo con la Beretta, la 9 grossa… fa paura…”. Si capisce dunque cosa voleva dire la testimone di giustizia Antonietta Pacifico, che fu ferita alle gambe per essersi rifiutata di aprire una piazza di spaccio, quando mise a verbale: “Il sistema di Forcella non è più quello di una volta, di quando c’era Luigino Giuliano. Questi fanno il morto per 100 euro”. Ma forse si sbagliava: i ragazzi perduti di Napoli sono pronti a uccidere per nulla.

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