Nella Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne, un focus sui tempi lunghi della giustizia che le donne, vittime di violenze, attendono con angoscia. Il racconto di Maria Rosaria, scampata alla morte e ancora in attesa di giustizia
di Maria D’Auria
Maria Rosaria, 4 anni fa, ha provato a lasciarsi alle spalle il suo passato di maltrattamenti, percosse, insulti. Il suo compagno, trasformatosi in aguzzino, dopo 8 anni di interminabili violenze, era stato fermato e tratto in arresto proprio quando, coltello in pugno, stava tentando di uccidere la donna che diceva di amare. Maria Rosaria, 4 anni fa, dovette aggrapparsi a tutto per cercare di ricominciare a vivere una vita “normale”, perché, assuefatta dalla brutalità di quell’uomo, non sapeva più cosa fosse la normalità. Non aveva più una vita sociale perché lui le aveva tagliato a poco a poco ogni contatto con amici e familiari. Come una schiava al suo servizio, quella donna solare e bellissima, gradualmente, aveva smesso di brillare fino a non sorridere più e a non cercare l’aiuto di nessuno. Il suo mondo ruotava solo intorno a quell’uomo che, in poco tempo, aveva instillato in lei il seme dell’insicurezza e come un burattinaio, la manovrava tirando lui i fili di ogni cosa. Lei aveva il terrore di quel compagno che si era imposto con forza nella sua vita e nella sua casa.
Dopo i primi tentativi di reazione, sconfitta e sottomessa dalla sua forza, aveva imparato ad incassare ogni forma di violenza senza più reagire, quasi fosse quella la cosa giusta da fare. Fino a quella fatidica notte del 16 maggio 2015 di quasi 4 anni fa, quando i carabinieri, allertati da una vicina, riescono a trarla in salvo. Si trovano davanti una donna devastata dal dolore, nel fisico e nello spirito, occhi spenti e senza forze, neppure di gridare.
I
referti raccontano di anni di violenze, di denti rotti a suon di calci, che in ospedale si tramutavano nel frutto di tante cadute accidentali. Volto tumefatto, lividi sul corpo e violenza sessuale continua. Segni invisibili che negli anni diventano cicatrici permanenti dell’anima, che le fanno lacrimare ogni notte il cuore. Gli incubi, i ricordi, non si ricacciano facilmente. Anzi. Ogni notte tornano, le fanno compagnia nella solitudine della stanza. E per Maria Rosaria, forse, è meglio non dimenticare. Nel lungo processo che l’ha vista protagonista come vittima dell’ex compagno, Maria Rosaria voleva essere il più possibile precisa, per descrivere bene ai giudici la pericolosità di quell’uomo che aveva tentato di toglierle la vita. Ha conservato tutto di quella violenza: messaggi, foto, referti… tutto consegnato 4 anni fa in tribunale. Solo le cicatrici sul cuore non si possono passare al vaglio degli inquirenti. Per quelle non sono bastati anni di terapie né decine di sedute dalla psicologa per rimuoverle, rimangono lì, per sempre.
L’epilogo di questa triste storia avrebbe dovuto concludersi con una condanna esemplare al colpevole di tanta crudeltà. E invece, dopo gli arresti domiciliari e la mancanza di una sentenza definitiva, sono presto decaduti i termini della suddetta misura cautelare. Resta in piedi il divieto di avvicinarsi a Maria Rosaria, ma l’aguzzino abita a pochi metri dalla casa dove vive la vittima. Ed è lei a dover andar via, per paura. Per salvaguardare la sua incolumità, svende casa e tutto ciò che aveva per cambiare città, per andare chilometri e chilometri lontana da quell’uomo, perché solo l’idea di incrociare il suo sguardo, la terrorizzava.
Di anno in anno, Maria Rosaria diventa più forte, impara a non avere più paura di lui. Negli ultimi incontri in tribunale, alle udienze, lo ha guardato dritto negli occhi finché ad abbassare lo sguardo è stato lui. Per niente pentito, ha solo perso un po’ della sua spavalderia, ma l’obiettivo di Maria Rosaria è solo uno: avere giustizia. Attende con ansia e speranza la conclusione del processo per chiudere definitivamente con quel passato. Presenzia ad ogni udienza nella speranza di vedere pronunciata quella sentenza definitiva, come una liberazione da quel mostro la cui presenza diventa ancora ossessione.
Era quasi giunto il momento tanto atteso. Dopo tante udienze, lunghi esami e rinvii, si era fissata l’udienza definitiva. Ma lo scorso ottobre, una settimana prima della fatidica data, arriva l’ennesima beffa: il giudice che da anni seguiva questo caso, va in pensione. Si attende l’assegnazione di un nuovo giudice, nel frattempo le date sono sature, l’udienza definitiva slitta al nuovo anno.
Riparte tutto daccapo. Tutto da riesaminare con nuovi personaggi che dovranno rifare il quadro completo della situazione. Nuovi interrogatori, vecchie ferite da riaprire. Un incubo da cui non si esce più.
La delusione di M. Rosaria è indescrivibile, una crisi di pianto è prevedibile ma non basta a farla stare meglio. “E’ come se mi avessero violentata di nuovo. Ho diritto ad avere giustizia, ma questa giustizia non arriva da 4 anni. Sono stanca. Stanca di dover rivivere ad ogni udienza tutto quello che ho subito… è una cicatrice sempre aperta che ogni volta torna a sanguinare. Ho provato con tutte le mie forze a vivere una vita normale, ma finché so che quell’uomo è libero di circolare nonostante il male che mi ha fatto, cado inevitabilmente nello sconforto”.
Maria Rosaria, vittima di violenza, nella Giornata Nazionale contro la violenza sulle donne, è ancora in attesa di giustizia. Oggi è una donna esasperata ed ogni sforzo che ha posto in essere per riappropriarsi della sua vita, viene vanificato dalle maglie di una giustizia che non garantisce alcuna sicurezza alle donne che scampano alla morte per mano di uomini violenti e assassini.
“Tutto ha un inizio ed una fine. Solo questo pensiero mi dà un po’ di pace. L’idea che un giorno finirà come è finito il mio inferno”. Questa è l’ultima speranza di Maria Rosaria.
Fermare il femminicidio si può, ma occorrono pene certe ed esemplari, e soprattutto che vengano applicate in tempi adeguati, non eterni, perché la vita di una donna che ha avuto la fortuna di viverla ancora, non è eterna come l’iter della giustizia.
Lascia un commento