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Castellammare di Stabia

Lettera aperta di Antonio Polito a Paolo Siani: in Parlamento si sentirà solo

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I miei propositi di essere utile a Napoli, lasciando stare quelli di essere utile alla nazione tutta, naufragarono miseramente contro gli scogli di un sistema parlamentare dominato dalle logiche di partito e di schieramento

Caro Siani, in Parlamento si sentirà solo. A me è successo 

C

on tutto il rispetto per lei, Paolo Siani, per la sua storia di impegno civile, e per la tragica vicenda di suo fratello Giancarlo, ho i miei dubbi che riuscirà davvero ad «aiutare meglio Napoli in Parlamento che in ospedale», come ha dichiarato in innumerevoli interviste dopo aver accettato la candidatura del Pd. Sebbene con molti meno meriti, anch’io ho fatto l’esperienza di essere eletto in una Camera provenendo dalla cosiddetta società civile, che poi vuol dire senza avere una tessera di partito o fare il politico di mestiere. E dunque parlo a ragion veduta. I miei propositi di essere utile a Napoli, lasciando stare quelli di essere utile alla nazione tutta, naufragarono miseramente contro gli scogli di un sistema parlamentare dominato dalle logiche di partito e di schieramento, per niente interessato all’esperienza e alle idee che provenivano dall’esterno, anzi infastidito dalla petulanza di quelli di noi che presuntuosamente si illudevano di cambiare le cose, ed esclusivamente concentrato su una gestione cinica e talvolta volgare del potere. Le iniziative legislative da me avviate, come quella per evitare l’uso politico delle intercettazioni e per licenziare i fannulloni nella pubblica amministrazione, vennero accolte con affettato compiacimento, poi masticate, digerite e infine sputate dalla maggioranza di cui facevo parte, in tutt’altre faccende affaccendata, e comunque troppo attenta a tenersi buoni i pm e i sindacati del pubblico impiego per preoccuparsi di quello che pensava la «società civile».

Caro Siani, l’avverto, in Parlamento si sentirà solo. I capi non ci mettono mai piede, i loro sergenti pensano solo a compiacerli e ad evitare problemi, e i peones a farsi i fatti propri. Le sfreccerà davanti Piero De Luca, inseguito da uno stuolo di clientes e da un vago odore di frittura di pesce, e allora capirà dove risiede veramente il potere, come e perché si va in Parlamento. Anzi, già che ci sono, un consiglio: se vuole mandare avanti qualche suo disegno di legge se lo faccia firmare anche da lui, o da uno qualsiasi della fitta schiera di notabili che la circonderà. È l’unico modo. Temo inoltre che la legislatura cui sta per partecipare aggraverà e di molto tutti questi problemi, perché novanta su cento sarà priva di una maggioranza, dunque disgraziata; vi si lotterà per sopravvivere, ci sarà ben poco tempo per i temi che le stanno a cuore, i cambi di casacca saranno anche più frenetici di sempre, e tutto rischierà di finire troppo presto per portare in fondo qualsivoglia progetto.

Anche il suo proposito di lasciare dopo un anno se non riesce nei suoi intenti, lei lo deve sapere, non può che essere retorico. Il Parlamento non si lascia per propria scelta, ci vuole un voto che accetti le dimissioni, e questo voto, per prassi, non arriva mai, perché non c’è mai una maggioranza di deputati disposti a credere che uno di loro voglia veramente rinunciare allo scranno, e dunque voteranno contro le sue dimissioni se mai le presenterà, convinti che siano solo per finta. Matteo Renzi la stima, e ha ragione, e se resterà segretario del Pd dopo il risultato elettorale questo potrà aiutarla. Però, a parte lei che è stato scelto per il valore della persona, si sa come i leader selezionano gli «indipendenti»: per categorie merceologiche, per attrarre attenzione mediatica, per scaricarsi la coscienza forse appesantita dall’aver dovuto accettare ben altre candidature; tutte esigenze che ovviamente scompaiono subito dopo le elezioni, insieme con l’interesse per gli «indipendenti» portati in Parlamento.

L’altro ieri Simona Brandolini riportava su questo giornale un sms che Renzi avrebbe mandato a qualche amico fidato napoletano: «Dobbiamo trovare un profilo in grado di competere con Di Maio nel suo collegio. So che è difficilissimo, ma proviamoci. Pensiamo a uno sportivo, a una ricercatrice universitaria, magari a un medico pro-vaccini o a un uomo radicato nell’associazionismo». Sono certo che il testuale del messaggio non sarà stato così brutale, ma la sostanza, diciamoci la verità, è quella. E mica lo fa solo il Pd. Pensi ai Cinquestelle, che portano in Parlamento un candidato solo perché disse «salga a bordo, cazzo» in una telefonata che tutta l’Italia non ha dimenticato. Oppure pensi alla Destra, sempre in cerca di un tabaccaio che abbia sparato ai ladri, meglio ancora se stranieri, da eleggere deputato. È questa la logica, da collezione di figurine, da politica a fumetti, con cui i partiti usano la cosiddetta società civile ogni volta che ci sono le elezioni. Le auguro con tutto il cuore, per la stima che ho di lei, di poter sfuggire a quella logica e di diventarne l’eccezione. Ma devo dirle, per onestà e a malincuore, che ho i miei dubbi.

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