Le chiacchiere, o bugie, o frappe, sono dei tipici dolci italiani preparati solitamente durante il carnevale, chiamati anche con molti altri nomi regionali.
Oggi ci siamo fermati presso un panificio della Riviera Jonica messinese, zona balneare-turistica che insieme alla Citta di Messina e la provincia tirrenica, ha una gastronomia impareggiabile, specialmente quella dei panifici, delle rosticcerie dei bar e delle pasticcerie, basti citare le granite messinese, i pasticcini, i dolci e similari, tutti prodotti per i quali i turisti quando vengono da queste parti impazziscono letteralmente.
Essendo prossimi al Carnevale, che specialmente nel paese di Santa Teresa di Riva (ME) è divenuto ormai una ricorrenza che attira ogni anno decine di migliaia di persone, non potevamo non assaggiare (onestamente: abbuffarci ma una volta ogni tanto) di chiacchiere specialmente di quelle a forno, che sarebbero più “leggere” rispetto a quelle fritte.
Le chiacchiere risalgono all’antica Roma e si chiamavano frictilia ovverosia dei dolci fritti nel grasso che venivano preparati proprio durante il periodo dell’odierno Carnevale. La base generale è un impasto di farina, burro, zucchero, uova e una componente alcolica, come l’acquavite, il marsala, la sambuca, il vinsanto o la grappa. Successivamente l’impasto viene tagliato a strisce, talvolta manipolate poi a formare un nodo (in alcune zone prendono infatti il nome di fiocchetti).
Per la cottura ci sono due possibilità, o fritte oppure cotte nel forno. Ovviamente ogni locale può anche avere un proprio segreto nell’aggiungere qualcosa che ne differenzi il sapore oppure altre modalità di preparazione.
Il loro nome a volte varia in qualche regione e persino provincia. Ad esempio: bugie (Piemonte, Liguria eccetto Lunigiana); cenci o crogetti (tutta la Valdarno da Arezzo a Montecatini Terme); strufoli o melatelli (se con miele) (Maremma toscana); chiacchiere (alcune zone dell’Umbria, basso Lazio, Abruzzo Citeriore, Molise, Puglia, Basilicata, Campania, Calabria, Sicilia, ma anche a Milano, nella zona delle Alpi Apuane e della Lunigiana, nell’Emilia settentrionale e in alcune zone della Sardegna); cioffe (Abruzzo Ulteriore); cróstoli, gróstoli o gròstoi o grustal (Polesine, Veneto a eccezione della zona compresa tra Venezia, Padova e Verona, Trentino, Venezia Giulia, Alto Adige, Ferrara, alcune zone della Liguria); sossole Veneto cróstui o cróstoli (Friuli); cunchielli’ (in alcune aree del Molise); fiocchetti (Montefeltro, Romagna costiera); frappe (Lazio dalla zona di Latina e Aprilia a Viterbo, a Roma, nel nord della Ciociaria, nell’Aquilano, alcune zone dell’Umbria, alcune zone delle Marche e dell’Emilia); galàni (zona tra Venezia, Padova e Verona) gale o gali (Vercelli, Bassa Vercellese, provincia di Novara e Barenghese); gasse (Montefeltro); guanti (Alife, zona del Matese); intrigoni (Reggio Emilia); lattughe (provincia di Mantova, provincia di Brescia. In dialetto latǖghe); maraviglias (Sardegna in lingua sarda); merveilles[5] (Valle d’Aosta, in francese); rosoni o sfrappole (Modena, Bologna, Romagna); galarane o saltasù (Bergamo); sfrappe (Marche); sfrappole (Bologna); sprelle (Piacenza); risòle (Cuneo e sud del Piemonte); sossole (desueto a Verona, soppiantato da galàni); pizze fritte (Romagna interna); stracci, lasagne, pampuglie, manzole, garrulitas (in sardo).
Comunque le si voglia chiamare sono buonissime. Le preferisco a forno.
A
dduso Sebastiano
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