M
olte tragedie italiane hanno un’origine sotterranea: il Paese che si sveglia dal dramma di Livorno, dove una famiglia è stata inghiottita dal fango, ha circa 12mila chilometri di corsi d’acqua “tombati”, fiumi e torrenti coperti da edifici e strade. Quando le piogge torrenziali emblema del cambiamento climatico colpiscono le nostre terre, la potenza dell’acqua fa esplodere questi corsi “tombati”. “I fiumi, abbiamo verificato a nostre spese non sono corpi morti, ma vivi”, scrive Roberto Giovannini nel dossier che dedichiamo al problema che affligge tante città italiane, da Torino a Milano, da Palermo a Genova
La minaccia dei fiumi “tombati”. Una rete di 12 mila chilometri
Alluvioni e nubifragi dimostrano la pericolosità dei canali sotterranei. Ma in Italia non è ancora stato compiuto un rilevamento completo
Oggi abbiamo scoperto che questi fiumi «tombati», questi canali sotterranei su cui sono state costruite case e uffici in cui vivono e lavorano persone, nella loro «tomba» non ci stanno. Per colpa delle le precipitazioni «normali», di quelle potenziate al parossismo dal cambiamento climatico, ma anche per i flussi generati dalla impermeabilizzazione del territorio dovuta al consumo del suolo, a Livorno, Genova e in molte altre città l’acqua alla fine esplode letteralmente fuori da questi poveri fiumi tombati, cementificati, o strangolati da argini e ponti mal concepiti. Con conseguenze distruttive e devastanti, in termini umani ed economici.
La «tombatura» dei fiumi è un’invenzione francese: furono gli ingegneri del servizio delle «Acque e dei Ponti» del Regno d’Italia di Napoleone Bonaparte a immaginare per primi la necessità di coprire certi rivi minori all’interno delle città. La ragione era sanitaria: questi corsi d’acqua erano fogne a cielo aperto, potevano e dovevano essere trasformati in fogne ben chiuse che sfociavano nei fiumi più importanti, liberando le città e risanandole da cattivi odori ed epidemie. Tra fine Ottocento e inizio Novecento in tante città grandi e piccole del Belpaese molti rivi furono così «tombati», e coperti da strade e salubri viali alberati per il passeggio.
Successivamente, la motivazione di queste opere di sistemazione idraulica cambiò: negli Anni 60, 70 e 80 sempre più rivi vennero coperti per ragioni urbanistiche o per permettere l’edificazione di nuove costruzioni. I corsi d’acqua non coperti ebbero argini di cemento, il loro scorrere venne regimato, rettificato, ristretto e ingabbiato, e nel loro alveo vennero costruiti ponti e a volte anche edifici d’abitazione. Le aree paludose e le cosiddette «casse di espansione» in cui un tempo i fiumi riversavano l’eccesso di acqua non ci sono più. Nelle zone all’esterno delle città il terreno agricolo è stato occupato da case, centri commerciali, capannoni industriali, parcheggi. Il consumo del suolo continua ad aumentare, amplificando il processo di impermeabilizzazione: solo nel 2015-2016 sono stati «consumati» ogni giorno una media di 30 ettari. Tre metri quadri di suolo artificiale in più ogni secondo che passa.
Ma i fiumi – abbiamo verificato a nostre spese – non sono corpi «morti», ma «vivi». L’acqua che non può più scendere verso le falde sotterranee perché bloccata da cemento e asfalto, da qualche parte deve pur andare. Se piove molto, l’acqua che prima scorreva in un alveo fluviale di cento metri non ce la fa a passare dentro un canale sotterraneo largo solo venti metri. Adesso che il clima è cambiato, o non piove per molti giorni, o quando piove, piove tantissimo. L’acqua che giunge nella strettoia del fiume tombato, «esplode», e va dove ci sono le case e le persone.
La mappa che pubblichiamo accanto indica solo alcuni dei casi più eclatanti di questa situazione. Che secondo gli esperti è particolarmente pericolosa soprattutto nelle Regioni meridionali, dove sono state realizzate a suo tempo opere di qualità peggiore. Come spiega l’ingegner Martina Bussettini, ricercatore dell’Ispra, non si può fare moltissimo per rimediare: ci sono a volte dei sistemi di deflusso, si possono realizzare delle opere per rimediare alle situazioni più gravi, «ma l’Italia – spiega Bussettini – può essere paragonata a un paziente con gravi problemi circolatori cui si applica uno stent per far passare meglio il sangue dove le arterie sono più strette. L’unica cosa che si può fare veramente è tenerlo sotto controllo e vigilare».
Vigilanza, investimenti come quelli in corso (9400 cantieri avviati in tutto il paese e monitorati dalla task force di governo #Italiasicura). Ma c’è anche chi propone di imitare quanto si fa in paesi come la Germania, dove si spende per «rinaturalizzare» i corsi d’acqua. Gli alvei rettificati e le sponde in cemento si demoliscono; si ripristinano le aree di espansione; si piantano sulle sponde alberi di alto fusto, che aumentano la capacità del suolo di trattenere le acque. Vogliamo provarci anche nelle nostre città?
vivicentro.it/attualità
vivicentro/Le alluvioni colpa dei fiumi cementificati
lastampa/La minaccia dei fiumi “tombati”. Una rete di 12 mila chilometri
Lascia un commento