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Castellammare di Stabia

Intervista al sociologo José Casanova a cura di Giancarlo Bosetti

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La violenza è il peccato originale della religione. Ecco perché ogni credo alterna ciclicamente pace e ferocia

I

testi sacri delle grandi religioni grondano sangue da millenni. È un luogo comune, che è vero. Ma l’ispirazione violenta viene spesso abbandonata, a volte invece tragicamente sfruttata. La domanda interessante è come e perché questo accade. La giriamo a José Casanova, spagnolo di Saragozza, ma insediato a Washington (Georgetown University), uno dei maggiori studiosi nel mondo di sociologia della religione, tradotto ovunque (in italiano è noto il suo “Oltre la secolarizzazione”, Il Mulino, 2000). L’intossicazione originaria non è incurabile, dice, le fasi violente si presentano a cicli. I siti web di ogni parte catalogano con faziosità contabile la violenza “degli altri”: mani mozzate e uccisioni di infedeli invocate nel Corano o stermini realizzati o propiziati dal Dio della Bibbia e poi le teste tagliate delle scritture induiste, il Tridente di Shiva. Nessuna religione è innocente. “La violenza è nelle origini della società, con Durkheim possiamo dire nel sacro sociale, più che nella religione in sé. E questo non c’è dubbio si riflette nelle Scritture, ma nel tempo le cose cambiano. Nella Bibbia per esempio è necessario distinguere tra i testi precedenti all’esilio babilonese e quelli successivi. Il Dio di Israele sacralizza la violenza contro gli altri popoli, era un Dio monolatrico, non monoteista, un Dio di Israele non di tutta l’umanità. Dopo l’esilio a Babilonia, in quella che chiamiamo l’età assiale (Casanova usa l’espressione di Jaspers per indicare l’epoca tra Ottavo e Terzo secolo a.C., n. d. r.), i profeti non sacralizzano più la violenza, al contrario, il Dio della storia usa l’Impero romano per punire il suo popolo”.

Questo vale per tutte le religioni?
“Tutte le culture tribali delle origini sacralizzano la violenza del “nostro gruppo” contro gli altri. La novità delle religioni assiali è che la desacralizzano: arrivano così la critica profetica della violenza e la fine dei sacrifici cruenti”.

La violenza resta scritta però per sempre nei testi sacri.
“Troviamo nelle Scritture un misto di testi della sacralizzazione della violenza e di altri che espongono la critica della violenza. Si pone allora il problema di come i testi sono stati e vengono interpretati e usati nella storia”.

E nessuna religione fa eccezione, anche se ogni confessione è tentata di accusare le altre.
“Potremmo usare le parole di Papa Francesco: “Di fronte alle atrocità commesse nel nome di Dio o della religione, nessuna religione è immune da forme di delusione individuale e estremismo ideologico”, nessuna, inclusi il Cristianesimo e il Cattolicesimo. Io vengo dalla cattolica Spagna, in cui la religione e la violenza sono state intimamente connesse: le Crociate, l’Inquisizione, l’espulsione di ebrei e musulmani, la Conquista e l’evangelizzazione forzata, guerre civili”.

Anche gli atei militanti tengono la lista delle violenze a carico delle religioni. I religiosi rispondono ricordando la lista dei massacri del XX secolo e le pagine nere dell’ateismo.
“La religione non è l’unica fonte di violenza. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento abbiamo visto la sacralizzazione della violenza anarchica; con la Prima guerra mondiale lo Stato moderno, che rivendica il monopolio della violenza, la sacralizza sull’altare del nazionalismo; c’è il genocidio armeno; c’è la violenza comunista degli anni Trenta, il Gulag, Hitler e l’Olocausto; dagli anni Sessanta del ‘900 troviamo l’Ira, l’Eta, le Brigate rosse, i preti guerriglieri in Colombia, i cattolici Montoneros in Argentina. Il XX secolo è stato il più violento nella storia dell’umanità e la maggior parte della sua violenza non era religiosa”.

Ma oggi abbiamo una ondata di terrorismo religioso, quello islamico.
“Anche in questo caso dobbiamo chiederci quali fattori attivano il fenomeno del terrore jihadista e perché questa religione diventa fonte di violenza. La sua crescita avviene nel corso di una globalizzazione verso la quale certi settori dell’Islam legittimano la violenza contro quello che considerano un ordine mondiale che usa violenza contro di loro”.

Anche il Cattolicesimo in passato riteneva la modernità un assalto ai suoi principi morali.
“Certo, eppure ha subito nel tempo una grande trasformazione. Insieme ai protestanti i cattolici hanno dato vita in Germania alla Democrazia cristiana. Di fronte al sanguinoso conflitto tra sciiti e sunniti dei nostri giorni, penso che se la trasformazione è avvenuta per i cristiani, può accadere anche per i musulmani, quando le voci in favore della pacificazione supereranno quelle che sacralizzano la violenza”.

Il buddismo è candidato al ruolo di primo della classe, perché più pacifico? L’imperatore Ashoka nel Terzo secolo a.C., si convertì dall’induismo al buddismo e lasciò scritti sulla roccia i suoi editti sulla tolleranza. Ma oggi va in scena il terrore buddista.
“I monaci militari buddisti sono un ordine armato come tutti gli altri che si sono associati a un potere statale ed è accaduto per loro quello che è accaduto per tutti quando una religione diventa sacralizzazione dello Stato. Ma c’è sempre la possibilità che le religioni assiali facciano prevalere il volto pacifico, e la parte della loro tradizione che fa loro dire Salam, Shalom o Pace”.

Ma l’Islam con la Shari’a non presenta problemi maggiori delle altre religioni nel cammino verso la modernità?
“La Shari’a non era un problema alla nascita delle prime costituzioni in Iran o in Pakistan alla svolta di fine secolo tra ‘800 e ‘900. Lo è diventato più avanti. La stessa tradizione può essere letta in altri modi. La violenza jihadista non sarà diversa dalle altre del passato, quella anarchica o quella marxista”.

La tentazione illuminista è di immaginare nella storia un processo di riduzione della violenza. Ma la realtà ci dice il contrario.
“Non si possono fare generalizzazioni. La combinazione di religione e strutture del potere è la chiave esplicativa nel bene e nel male. In Spagna c’è stata l’epoca della convivencia tra cristiani, ebrei e musulmani e lo stesso è accaduto altrove, ma con l’emergere dello Stato moderno, delle monarchie cattoliche si è affermata la spinta alla pulizia etno-religiosa. Tutte le volte che il modello westfaliano – cuius regio eius religio – si è affermato il fenomeno si è ripetuto. Alla fine degli imperi, di quello ottomano e di quello britannico. Non c’è in questo una singola traiettoria, ma cicli. Ci sono però anche buone notizie e cicli di pace. L’America latina in una sola generazione è passata dal monopolio cattolico alla perdita di egemonia della Chiesa e a un pluralismo condiviso con i protestanti. Senza violenza”.

repubblica


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