Governo e sindacati hanno firmato l’accordo sulle pensioni che prevede un piano da 6 miliardi in 3 anni per favorire l’uscita dal mondo del lavoro e le tutele dei soggetti più deboli che già percepiscono un assegno, ma la vera partita economica del governo si svolge con l’Europa che ha espresso dei dubbi sulla manovra. Renzi vuole forzare la mano sulla flessibilità e sembra pronto allo strappo con Bruxelles. Ma come spiega Marco Zatterin “qualunque sia l’esito” della trattativa “saranno bruscolini rispetto alle esigenze reali di stabilità del Paese”.
Nel Def solo 7 miliardi di margine per Renzi, e la flessibilità è ancora tutta da negoziare
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La tentazione dello strappo con l’Europa
Per la Commissione Juncker, irrigidita da dinamiche politiche incontrollabili – la debolezza della Merkel, la Brexit, lo stallo spagnolo – l’Italia si è già presa molto di più di quanto le regole non consentissero. Le voci che si raccolgono ai piani alti delle istituzioni comunitarie somigliano ad una presa di distanze: «A oggi nemmeno sul 2 per cento c’è un accordo con la A maiuscola. L’Italia si era impegnata ad un indebitamento dell’1,8 per cento. Con questo innalzamento l’aggiustamento strutturale sarà pressoché nullo, se non addirittura negativo». Non solo: le fonti europee interpellate dalla Stampa prendono le distanze anche da quei quattro decimali sui quali il governo invoca l’eccezione: «Lo scorso anno lo sconto sulle spese per i migranti valeva un decimale. Su questo occorrerà negoziare». La trattativa sarà lunga: dalla presentazione della manovra passerà almeno un mese prima che la Commissione si esprima. Il giudizio potrebbe arrivare a cavallo del voto, ma è difficile immaginare che Bruxelles apra subito una procedura di infrazione per deficit eccessivo. Le fonti europee danno invece per certa l’attivazione dell’articolo 126.3 del trattato per violazione della regola sul debito. Non è la prima volta e non sarà l’ultima. La nota di aggiornamento al Def scrive che quest’anno e il prossimo il debito resterà inchiodato rispettivamente al 132,8 e al 132,5 per cento del Pil, curiosamente tre decimali in più del comunicato di ieri di Palazzo Chigi.
Qualunque sarà lo scenario dopo il voto da quel momento si aprirà una fase nuova. Se prevalesse il no, c’è già chi immagina il premier costretto a dare le dimissioni a favore di una personalità di garanzia. Viceversa in caso di vittoria del sì Renzi avrebbe la forza per gestire il costo politico di una procedura di infrazione. La debolezza in casa di Merkel e Hollande, le difficoltà della Commissione e la ferma convinzione di Draghi di procedere ancora per un po’ con il piano di acquisti di titoli pubblici costituiscono l’occasione ghiotta per spingere Renzi a portare l’asticella del deficit al livello necessario a finanziare un robusto taglio dell’Irpef. Il 2017 sarà un anno elettorale sia in Germania che in Francia. E se la Cancelliera ha i conti a posto e può permettersi un taglio delle tasse sui redditi bassi, da Parigi arriva la notizia che nel 2017 il governo non rispetterà la promessa fatta a Bruxelles di scendere con il deficit al 2,7 per cento.
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