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La terza vita di Pomigliano

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Pomigliano: nella fabbrica napoletana «Giambattista Vico» viene prodotta la Panda. Qui in passato sono nate l’Alfasud, l’Alfa 33, la 145, la 156 e l’Alfa 159

b>Pomigliano 3.0 L’amministratore delegato di Fca, Sergio Marchionne, espone dal Salone dell’auto di Ginevra la nuova strategia del gruppo per l’Italia: saranno prodotte solo auto premium, dunque la Panda lascia lo stabilimento di Pomigliano, che ospiterà una nuova generazione di vetture.

La fabbrica 3.0 fa un altro passo avanti. E adesso cerca la piena occupazione

Più modelli e produzioni sofisticate richiederanno maggior forza lavoro. I sindacati: non è uno stabilimento qualsiasi, da qui è partito il rilancio di Fca

ROMA – Pomigliano è la fabbrica della mitica Alfasud e di tutte le auto che poi per trent’anni hanno fatto la storia più recente del Biscione, dalla «33» alla «145» alla «156» sino all’Alfa 159. È la fabbrica che oggi produce 850 Panda al giorno, oltre 200 mila nell’ultimo anno dalle 150 mila iniziali. Ma lo stabilimento napoletano intitolato al filosofo Gianbattista Vico è soprattutto la fabbrica della svolta, dove nel 2010 sono state poste le basi per il rilancio della produzione Fiat in Italia. La fabbrica dove è maturato lo storico strappo del gruppo torinese con la Confindustria e dell’altrettanto clamorosa rottura tra la Fiom e gli altri sindacati. Era la «fabbrica vergogna», con gravi problemi di assenteismo, produttività e qualità del prodotto ed una fortissima conflittualità sindacale, naturale che la «cura Marchionne» partisse da qui.

La svolta del 2010  

Mandare in soffitta il contratto nazionale e scrivere nuove regole in grado di garantire al contempo tutta la flessibilità che la competizione globale richiede, prodotti di qualità, ma anche importanti incentivi a chi lavora, è stata la chiave di volta. «L’accordo di Pomigliano è stata una rivoluzione vera, senza la quale non avremmo salvato la presenza industriale della Fiat in Italia» ricordava due anni fa Paolo Rebaudengo, sino al 2015 responsabile delle relazioni industriali del Lingotto. «Molti lo hanno dipinto addirittura come un disegno criminale, ma al contrario quel contratto ha responsabilizzato il sindacato e permesso all’azienda di gestire in modo radicalmente diverso la dissaturazione delle fabbriche: è un’intesa che ha segnato un cambiamento culturale vero, forse non percepito dal sistema Paese». Anche lo storico Beppe Berta sostiene che «molti, soprattutto nella società meridionale, hanno capito in ritardo il valore di questa operazione, che tra l’altro ha consentito il riaccentramento della produzione di auto nel Mezzogiorno e importanti investimenti mentre in parallelo si consumava il declino dell’Ilva».

Pomigliano non solo «era una fabbrica nata vecchia, progettata a fine Anni Sessanta in base ai vecchi principi fordisti quando il fordismo stava già declinando, ma soprattutto era uno stabilimento segnato da fenomeni di clientelismo e di malaffare organizzato che agivano utilizzando come comodo scudo la conflittualità sindacale», spiega ancora Berta. Ed era pure la fabbrica dove tantissimi si davano malati quando giocava la Nazionale.

Dopo l’accordo del 2010 la musica è cambiata, le assenze si sono assestate su livelli fisiologici, il conflitto perenne ha ceduto il passo alla stagione della collaborazione tra azienda e lavoratori, e grazie al nuovo clima sono arrivati nuovi investimenti (oltre 700 milioni) ed un nuovo modello, la Panda. Le vecchie procedure ereditate dalla stagione delle Partecipazioni statali, sotto cui l’Alfa è rimasta sino al 1986, sono state archiviate per sempre e si è passati al Wcm, il World class manifacturing, un nuovo modello organizzativo incentrato su flessibilità, efficienza e qualità assoluta grazie al coinvolgimento degli operai in ogni fase della produzione. Molto forte anche l’investimento in formazione, che nel 2009 ha preceduto quello sugli impianti e segnato anche in questo campo un vero e proprio cambio d‘epoca.

Medaglia d’oro Wcm

Al suo debutto nel 2011 la «nuova Pomigliano» si merita subito da parte di Marchionne il titolo di «migliore fabbrica del mondo», insomma un modello da replicare a Melfi, Mirafiori e Cassino. Lo stabilimento raggiunge rapidamente l’eccellenza: nel 2012 riceve l’«Automotive Lean production awards» come miglior stabilimento d’Europa, l’anno seguente conquista la prima medaglia d’oro del programma Wcm al pari solo di Tychy in Polonia e Bursa in Turchia. «Questo non è uno stabilimento qualsiasi spiega il segretario generale dei meccanici Cisl, Marco Bentivogli – è dove è partito il rilancio di Fca. Pomigliano ha centrato tutti gli obiettivi e anche se la politica spesso lo dimentica, questo lo si deve al sindacato e ai lavoratori che si sono rimboccati le maniche con tutti contro».

Quella che inizierà di qui a breve rappresenta per la fabbrica napoletana una nuova sfida. Vista con gli occhi del sindacato questo si traduce in una parola sola: piena occupazione. Obiettivo che Marchionne condivide. «Occorre pensare subito alle nuove produzioni per fare in modo che anche i 1200 che oggi sono in solidarietà vengano riassorbiti», sostiene Ferdinando Uliano che per la Fim segue il settore auto. Si tratta, in sostanza, di chiudere il cerchio rispetto a 2011 e dare alla Pomigliano versione 3.0 i modelli che si merita, vetture premium che assicurano margini più alti e richiedono più cura e lavoro per essere prodotti. Magari un’ altro gioiello della nuova gamma Alfa Romeo, vincente come Giulia e Stelvio.

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lastampa/La fabbrica 3.0 fa un altro passo avanti. E adesso cerca la piena occupazione PAOLO BARONI

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