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La strage di Las Vegas, l’America virtuale crea una sua realtà sul web

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a href="https://vivicentro.it/nazionale-24h/cronaca/strage-las-vegas-50-morti-400-feriti-al-concerto-country/" target="_blank" rel="noopener">La peggiore strage da armi da fuoco della storia degli Stati Uniti si consuma in una domenica sera di Las Vegas. La “Strip”, la strada principale della capitale del divertimento, era piena di gente per un concerto: gli spari sono arrivati dal 33° piano di un grattacielo. Stephen Craig Paddock, pensionato di 64 anni, ha ucciso 58 persone e ne ha ferite oltre 500 prima di togliersi la vita. L’Isis rivendica l’attacco ma l’Fbi non crede alla matrice terroristica. «Miliziano Isis, anti Trump, o sicario della lobby delle armi – scrive Gianni Riotta -, squilibrato con forti debiti secondo i reporter in Nevada, che importa ormai del «vero» Stephen Paddock? Conta quanti ne faranno icona, o mostro online, per le loro comunità in guerra culturale».

Tra rivendicazioni e attacchi alla lobby delle armi l’America virtuale crea una sua realtà sul web

Poco importa se davvero Stephen Paddock, pensionato di 64 anni che ha ucciso a Las Vegas 58 innocenti, ferendone 515 nella più grande strage da armi da fuoco dell’America moderna, avesse o no legami con il terrorismo islamista. Isis lo proclama suo soldato, via l’agenzia semiclandestina Amaq, annunciando che Paddock s’era convertito all’Islam e ha colpito dal trentaduesimo piano del Mandalay Bay Resort mobilitato dall’appello del califfo Abu Bakr al-Baghdadi. L’Fbi nega, per ora, legami con il terrorismo internazionale, e la famiglia di Paddock si dice ignara della conversione. Nell’orrore di un killer solitario che semina morte, con diciannove fucili da guerra, su un festival pacifico nella città sinonimo di giochi e allegria, l’America virtuale riplasma i fatti a immagine e somiglianza delle tribù ostili.

Chi vuol credere alla rivendicazione Isis già twitta, o rilancia via Facebook, quella tesi. Chi, come Hillary Clinton, crede che la colpa sia dei troppi fucili in giro, accusa non l’Isis, ma la National Rifle Association, potente lobby pro porto d’armi. Qualcuno twitta, con humor nero, che Paddock abbia sparato urlando «Nra u Akbar!», affibbiando il grido di guerra islamista alla Nra, la satira è presto dimenticata, qualcuno abbocca ingenuo.

I trolls, mestatori web spesso organizzati, via Macedonia, da laboratori organizzati dal Cremlino, sono all’opera. Ieri la polizia cercava una donna, pare vicina al killer Paddock, Marilou Danley, e attivisti dell’ultra destra alt-right hanno subito individuato online l’ex marito della Danley, Geary Danley. Facebook mostrerebbe che Mister Danley è un «democratico progressista», ha «contribuito alla campagna di Obama» ed «è ostile a Trump», quanto basta perché parta la campagna «Il killer è un liberal!» che gli algoritmi di social network e motori di ricerca corroborano. Un falso grossolano, ma Everipedia, clone dell’ubiqua Wikipedia, in poche ore lo rilancia centomila volte.

Miliziano Isis, anti Trump, sicario Nra, squilibrato con forti debiti secondo i reporter in Nevada, che importa ormai del «vero» Stephen Paddock? Conta quanti ne faranno icona, o mostro online, per le loro comunità in guerra culturale. Le voci di compassione e ragione, che si sforzano di superare la cacofonia dell’odio, sembrano sopraffatte. Il presidente Donald Trump annuncia che andrà a Las Vegas per le vittime e il tam tam tuona cupo: perché non è andato a Portorico dove l’uragano ha fatto 16 vittime secondo le autorità, ma «dozzine» secondo il Center for Investigative Journalism, lasciando al buio tre milioni di persone?

Stephen Paddock è stato trovato tra le 3309 stanze del Mandalay hotel dai commando Swat solo perché ha sparato con tanta furia che le canne del suo (o dei suoi, perizie balistiche ancora in corso) mitra si sono surriscaldate al punto da diventare incandescenti e il fumo dei colpi a ripetizione ha innescato l’allarme anti incendio. Paddock ha dimenticato che la canna delle armi automatiche è vulnerabile, se usata senza sosta, ed è per questo facilmente sostituibile in guerra. È morto, pare suicida, la sua identità è assodata, ma la sua immagine si riverbera in mille diversi fantasmi nella coscienza Usa. La studiosa Zeynep Tufekci ricorda che l’effetto imitazione è molla poderosa per i killer solitari, ancor prima di terrorismo e politica. Come il pastore greco Erostrato, che nel 356 avanti Cristo incendiò il meraviglioso Tempio di Artemide ad Efeso solo per diventar famoso, i killer anonimi vedono in tv, online, sui giornali, la fama di chi commette una strage, come in una staffetta della furia assassina. Nel 2014 Andre Simons, agente della Behavioral Analysis Unit dell’Fbi, squadra specializzata nella caccia ai «mostri», ha studiato, su documenti pubblici e segreti, 160 casi di sparatorie accese da killer: la conclusione è perentoria «Il fenomeno imitazione è reale… persone a rischio, marginali, cercano ispirazione dagli attacchi del passato…».

Per questo Isis e troll violenti iscrivono a forza lo sconosciuto Stephen Paddock tra i loro soldati o i loro nemici. Sanno che nelle cantine con wifi qualcuno è pronto a imitarlo, o a odiarlo e colpire i suoi presunti rivali. È in questo mondo di specchi deformati che dobbiamo cercare, tra distorte menzogne, le nostre superstiti verità.

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lastampa/Tra rivendicazioni e attacchi alla lobby delle armi l’America virtuale crea una sua realtà sul web GIANNI RIOTTA

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