Meglio tardi che mai, verrebbe da dire. C’è voluto il clamoroso risultato di questa tornata elettorale per portare finalmente al centro della politica il tema delle periferie. O meglio di come concretamente vivono i cittadini a dieci fermate dal centro storico. Il governo sembra aver capito che la direzione di marcia deve essere quella e il piano di riqualificazione edilizia con cui apriamo oggi il giornale è un primo segnale di ascolto.
D’altronde lo stanno testimoniando le nostre inchieste per strada in questi giorni e lo confermano i flussi elettorali: fuori dalla cerchia delle mura cittadine cova un giacimento di rabbia pronto a esplodere, un deposito che ha trovato sfogo domenica nell’urna. E siamo fortunati che sia ancora il voto democratico a incanalare questo risentimento, mentre in altri Paesi l’odio sociale si è trasformato in incendio.
E ha infiammato i quartieri-ghetto con la benzina dell’immigrazione. Per chi si sente abbandonato da tutti, il voto ai cinque stelle è stato come un grido di dolore e un insulto sparato in faccia a chi governa. «Il problema dell’eguaglianza e delle periferie – sembra abbia riconosciuto il ministro Andrea Orlando nella tesa riunione di governo di lunedì a urne ancora calde – è stato poco affrontato dal Pd in questa campagna elettorale».
Sbaglia Beppe Grillo a considerare quel voto un’adesione incondizionata al programma M5s (una serie di slogan che faticheranno a trovare applicazione concreta) e un’investitura anche per il governo nazionale, ma sbaglierebbe anche Matteo Renzi a ridurlo a una questione che si può risolvere rafforzando la segreteria del Pd con qualche innesto.
Tuttavia il capo del governo è ancora in tempo per recuperare. Ma deve ritrovare quello spirito di attenzione al particolare, quell’atteggiamento da sindaco che sta sempre «sul pezzo» che gli consentì di vincere le primarie e poi di convincere il 40 per cento degli italiani. Quando a Firenze, durante il primo mandato, lo accusarono di essersi dimenticato delle periferie e di pensare solo alla pedonalizzazione di piazza della Signoria, Renzi non negò il problema, non cambiò assessori, fece una cosa di buon senso: studiò il modo per allungare la tramvia che collega la zona di Piagge con il centro. E ricucì il territorio. Con l’ultima legge di Stabilità ha stanziato 500 milioni di euro per le periferie, grazie alla flessibilità strappata a Bruxelles. Il decreto di Renzi che stabilisce le modalità di erogazione di questi fondi alle città porta la data del 7 giugno, due giorni dopo il primo turno elettorale. Ma tutto va troppo lento, si aspettano i progetti dei sindaci, e ci vorrà molto tempo prima che i cittadini si accorgano che qualcosa sta cambiando. Il problema in fondo è tutto qui. Perché una volta in periferia c’era il Pci con le sue sezioni e la Dc con le sue organizzazioni collaterali, c’erano i sindacati, le parrocchie, un mastice che teneva incollato il mondo dei privilegiati e il mondo di sotto. Ora in questo vuoto non c’è più nulla. E Renzi ha solo il governo per provare a farsi ascoltare. Ma lo deve fare in fretta.
vivicentro.it/editoriale – lastampa / La risposta allo smacco delle urne FRANCESCO BEI
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