13.5 C
Castellammare di Stabia

LA “MALEDIZIONE DI KATYN”

LEGGI ANCHE

Proseguendo nei miei innesti culturali sul filo dei ricordi e della Storia per la rubrica ”PILLOLE DI STORIA”, invio oggi questo mio contributo che ho titolato: LA “MALEDIZIONE DI KATYN”
Aprile 2010: azzerata in un incidente aereo la classe dirigente polacca.

L

ech Kaczyński, trova la morte, unitamente a 7 membri di equipaggio dell’Aeronautica polacca, in un incidente aereo a Smolensk (Russia) La delegazione, costituita dalle massime autorità politico-istituzionali, è diretta alla foresta di Katyn per commemorare gli Ufficiali polacchi trucidati, nell’aprile 1940, dagli Agenti della Polizia Segreta sovietica. Sarebbe stata la prima manifestazione, alla presenza dei massimi rappresentanti istituzionali dei due Paesi, a conclusione di un lungo iter per il riconoscimento delle responsabilità di un massacro di cui erano state vittime Ufficiali dell’Esercito polacco, prigionieri di guerra dei Sovietici, nella seconda guerra mondiale.

Le polemiche sulla paternità dell’atroce massacro, originate nel 1943 fra Governo polacco in esilio ed Unione Sovietica, sono riprese, con forte impulso, solo dopo il crollo del Comunismo nell’Europa dell’Est cioè dopo l’affrancamento della Polonia dal Blocco sovietico. È quindi indispensabile fare un passo indietro e ricordare i fatti ed i motivi che portarono all’eccidio passato alla Storia come il massacro delle fosse di Katyn.

La premessa è l’accordo Molotov-Ribbentrop del 23 agosto 1939 col quale, nel quadro di un Patto di non aggressione fra i due Paesi con regimi totalitari, viene concordata, con un Protocollo aggiuntivo rimasto segreto fino al 1992, la spartizione della Polonia, repubblica indipendente, creando così le premesse per lo scoppio della seconda guerra mondiale. Dopo l’attacco nazista alla Polonia scatenato il 1° settembre 1939, l’URSS, violando il Patto di non aggressione del 1932 con la Polonia, ne invade le regioni orientali il successivo giorno 17 per attuare la spartizione concordata. Dopo un’accanita quanto inutile resistenza, la Polonia, stretta fra due fuochi, è costretta alla resa. La spartizione fra i due Paesi aggressori si completa il 1° ottobre con l’incontro delle truppe dei due eserciti sulla linea prefissata.

La nuova spartizione della Polonia (la quarta dal 1772) pone nelle gerarchie sovietiche il problema della facilitazione del compito per l’assoggettamento di un popolo sempre risorto tenacemente dalle sventure della Storia. A ciò provvede il Ministro dell’Interno sovietico Beria che, predisposti con la famigerata NKVD (Polizia Segreta) 10 campi di prigionia, propone la sistematica soppressione dell’élite delle Forze armate e dell’intellighenzia polacca onde privare la popolazione di riferimenti culturali che avrebbero potuto animare un movimento di resistenza per l’indipendenza. La decisione è presa dal Politburo sovietico (i sette massimi esponenti del partito comunista con a capo Stalin) con un decreto del 5 marzo 1941: viene ordinato alla NKVD di esaminare il caso di 25.700 prigionieri di guerra polacchi secondo una procedura speciale, cioè senza citare in giudizio i detenuti, senza presentare imputazioni, senza documentare la conclusione dell’istruttoria dell’atto di accusa, applicando nei loro confronti la più alta misura punitiva, la fucilazione (il documento sarà rinvenuto negli atti della Polizia segreta sovietica nel 1992 con l’apertura degli archivi). In una parola è programmata l’eliminazione della classe borghese medio-alta della Polonia, classe sociale che i sovietici hanno sempre considerato quale primario obiettivo da sopprimere secondo il principio ideologico della lotta di classe.

Pertanto, con metodo proprio dei sistemi totalitari più efferati, gli Ufficiali delle FF. AA. polacche ristretti nei campi di prigionia di Kozielsk, Starobielsk ed Ostashkov, nei primi giorni dell’aprile 1940 sono trasferiti, stipati in carri merci, alla stazione ferroviaria di Gnezdovo ed avviati successivamente alla foresta di Katyn, poco distante, dove vengono prima privati degli effetti personali di valore e poi soppressi con un colpo di pistola alla nuca a cura di Agenti dell’NKVD. I corpi saranno quindi accatastati in otto fosse comuni in 7/8 strati e ricoperti da circa un metro e mezzo di terra. L’eliminazione è compiuta con pistole (la famosa “Walter PKK”) e munizioni rigorosamente tedesche.

L’eccidio si estenderà, successivamente, ad altri campi di prigionia nei quali sono ristretti Poliziotti, dipendenti di ogni ordine e grado dell’Amministrazione statale, professori universitari, professionisti, ecc.).

L’azione, visto il macabro successo, sarà ripetuta, se pur con modalità diverse, il 1° aprile 1941 allorquando truppe sovietiche, nei pressi di Varnita nella Valle del Siret, in territorio moldavo, aprono il fuoco su una colonna di profughi che intendono riparare in Romania in seguito ad una nuova definizione di confine anche questa conseguenza del Patto Molotov-Ribbentrop. L’URSS si annette la Bessarabia e, se pur non previsto dagli accordi nazi-sovietici, anche la Bucovina Settentrionale nel quadro di una politica espansionistica di tipo imperialista mascherato da finalità ideologiche. Il nuovo territorio, che l’URSS ha acquisito con un semplice ultimatum, sarà poi diviso fra le Repubbliche socialiste di Moldova e Ucraina. L’Operazione, nota col nome di Fantana Alba (Fontana bianca), è l’eliminazione di circa 2.300 profughi, di etnia romena: le salme saranno sistemate in cinque grandi fosse comuni. La strage ha resistito più di ogni altra alla conoscenza storica: solo nel 2000 è stata possibile una cerimonia di commemorazione delle Vittime.

Dopo che le truppe naziste, il 22 giugno 1941, attaccano proditoriamente l’Unione Sovietica (Operazione Barbarossa) rompendo il Patto del 1939, il gen. Sikorski, Capo del Governo polacco in esilio, col gen. Anders (comanderà il 2° Corpo d’Armata polacco nella campagna d’Italia) si reca a Mosca per definire la formazione di un contingente militare chiedendo notizie degli Ufficiali prigionieri per poterli impiegare nella costituenda forza combattente. La risposta di Stalin è che in URSS non c’erano più Ufficiali polacchi prigionieri ipotizzando una loro fuga collettiva in Manciuria. Evidentemente è certo che la strage non sarà mai scoperta.

Nel luglio 1941, nella prima fase dell’Operazione Barbarossa, la zona di Smolensk sarà occupata dai Tedeschi e nell’aprile del 1943, sulla base di informazioni acquisite fra gli abitanti dei villaggi vicini, iniziano scavi di sondaggio nella foresta di Katyn che portano alla scoperta delle fosse con i cadaveri degli Ufficiali polacchi.

Il 13 aprile Radio Berlino dà notizia dell’orrenda scoperta attribuendone la responsabilità ai Sovietici. Il 14 aprile l’Unione Sovietica dichiara, contrariamente a quanto riferito al gen. Sikorski nel 1941, che gli Ufficiali prigionieri nei campi di quell’area, per l’impossibilità di trasportarli sotto l’incalzare del nemico, “evidentemente” erano stati catturati dai Tedeschi che, conseguentemente, li avevano passati per le armi. Il Governo polacco in esilio, manifestando forti dubbi su tali dichiarazioni, chiede quindi alla Croce Rossa Internazionale di aprire un’inchiesta sul luogo. La risposta sovietica sarà la rottura, il 26 aprile, delle relazioni diplomatiche col Governo polacco in esilio riprese solo dopo la rinunzia polacca all’indagine immediata. Infatti i Governi Alleati, interessati al mantenimento dell’alleanza politico-militare con l’URSS per la comune lotta alla Germania nazista, inducono il Governo polacco a soprassedere ad ulteriori richieste su Katyn e rinviare il problema alla conclusione del conflitto. La Croce Rossa internazionale non potrà comunque procedere a causa del rifiuto dell’URSS a partecipare all’indagine. Ma i Tedeschi, pur di sfruttare l’episodio a fini propagandistici, promuovono l’istituzione di una Commissione scientifica che si riunisce il 27 aprile a Berlino portandosi poi, sul luogo, per l’indagine medico-legale. La Commissione, presieduta dallo svizzero prof. Naville, è formata da 14 cattedratici di medicina legale provenienti da Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Finlandia, Olanda, Boemia, Slovacchia, Ungheria, Romania, Spagna e Italia con la partecipazione, come osservatore, di un generale medico francese. Il rappresentante spagnolo si ritira prima delle operazioni adducendo malessere e non sarà sostituito. L’Italia è rappresentata dal prof. Vincenzo Palmieri, direttore dell’Istituto di Medicina legale dell’Università di Napoli, indiscussa autorità nella materia, con esperienze anche estere. Parla correntemente inglese, francese e tedesco il che gli facilita anche i rapporti ed è autore di numerose opere scientifiche di livello mondiale.

La Commissione all’unanimità attesta che la sepoltura è avvenuta circa tre anni prima, quindi, ineluttabilmente all’epoca dell’occupazione sovietica. Uno degli elementi decisivi è l’esame del cranio effettuata dal prof. Orsos dell’Università di Budapest che rileva, sulla parete interna, tracce di decalcificazione, fenomeno che si forma a tre anni circa dall’inumazione. L’indagine tecnica sulla decomposizione porta a datare la morte nella primavera del 1940. Inoltre, da esami botanici, coincide anche l’età del boschetto di betulle e pini che coprono le fosse: hanno almeno cinque anni di età, trapiantati però da tre. Anche la botanica dà quindi un contributo inattaccabile a far combaciare questi elementi con le date sui documenti rinvenuti sui cadaveri (autunno 1939- primavera 1940) e con i riscontri anatomopatologici. La mancanza di larve e di insetti sarà poi eloquente sul fatto che i cadaveri fossero stati sepolti nella stagione fredda. Tutto converge sempre nello stesso punto di gravità cronologico.

Niente, quindi, che potesse posticipare il periodo degli eventi.

Le salme sono quasi tutte identificabili dai documenti e dagli effetti personali. Su alcune sono rinvenute annotazioni sulla prigionia. Particolarmente interessante il diario dettagliato del Magg. Siolski che riporta la cronaca degli ultimi giorni col viaggio dal campo di Kosielsk il 7 aprile 1940 fino all’arrivo alla stazione di Gnezdovo: “il 9 aprile i prigionieri vengono fatti salire su autocarri e diretti verso la foresta di Katyn”. Dopo tale data più nulla!

All’inchiesta partecipa, condividendone le conclusioni, una rappresentanza della Croce Rossa polacca nella quale, si saprà in seguito, sono presenti, in incognito, anche elementi della Resistenza. Sono anche presenti, in qualità di testimoni-osservatori, Ufficiali americani e inglesi prigionieri dei tedeschi.

Nel luglio 1943 il prof. Palmieri pubblica la relazione medico-legale sul fascicolo 364 della rivista “La vita italiana” che, inspiegabilmente, sparirà, dopo la fine della guerra, anche dalle biblioteche alla stregua di un segreto di Stato.

Intanto il 4 luglio 1943 il gen. Sikorski, in polemica per il rifiuto opposto alla tesi sovietica sulla sorte degli Ufficiali prigionieri, muore in un incidente aereo mai del tutto chiarito, poco dopo una sosta tecnica all’aeroporto di Gibilterra, proveniente dal Medio Oriente dove ha visitato l’Armata polacca in addestramento. Quel giorno a Gibilterra si registrano due inquietanti presenze: Kim Philby, uno dei famosi “cinque di Cambridge” (spie doppiogiochiste), Ufficiale dei Servizi Segreti britannici, che nel 1963, temendo ormai di essere scoperto per la sua lunga collaborazione col KGB sovietico, fuggirà nell’URSS, ed il Vice Ministro degli Esteri sovietico Vysinskij che affretta il suo rientro a Mosca subito dopo l’incidente aereo.

Il massacro di Katyn rappresenterà sempre un’ossessione per Stalin al punto che, quando il 1° agosto 1944 Varsavia insorge contro i Tedeschi, sollecitato dal Governo polacco in esilio ad intervenire con le truppe sovietiche ormai a pochi kilometri dalla capitale, condizionerà l’appoggio ad un riconoscimento ufficiale sulla paternità tedesca del massacro ed, al rifiuto, preferirà che la rivolta venga soffocata nel sangue dalle truppe naziste.

A guerra finita, per il mancato appoggio dei giudici Alleati, fallirà anche il tentativo sovietico di attribuire il massacro ai Tedeschi nel processo di Norimberga e la Polonia comunista accetterà, tout court, la tesi del massacro tedesco sulla scorta delle risultanze di una commissione di studio russo-polacca appositamente istituita. In proposito sarà avviata, nel 1946, anche un’inchiesta giudiziaria con incarico al Procuratore di Cracovia, dott. Roman Martini. Questi, già utilmente impegnato in indagini a carico di collaborazionisti e criminali nazisti, condurrà indagini particolarmente rigorose rinvenendo, fra l’altro, in una cantina di Minsk, un documento che indica in maniera incontestabile la responsabilità sovietica dell’eccidio: è un rapporto segreto della cellula della NKVD di Minsk alla Centrale di Mosca, in data 10 giugno 1940, nel quale si parla esplicitamente di eliminazione dei tre campi di prigionia portata a termine il 6 giugno e per ogni campo l’indicazione del compagno incaricato della supervisione dell’operazione. Il 7 luglio 2008 la Novaia Gazeta di Mosca pubblicherà, in proposito, un documento dell’NKVD con i nomi dei 125 esecutori materiali del massacro con un provvedimento della Direzione centrale di gratifica di una mensilità supplementare per la “missione ben eseguita”.

Il Procuratore Martini invia la relazione sulla conclusione delle indagini al Ministro della Giustizia ma, temendo per la sua vita, farà in modo che una copia del dossier, nel quale risultavano chiare le responsabilità sovietiche, venisse depositata presso un notaio a Stoccolma. La meticolosità dell’indagine, non condizionata dal principio del politically correct, sarà, evidentemente, la causa della sua morte violenta, avvenuta il 30 marzo 1946.

Il dossier depositato a Stoccolma verrà poi recuperato dal giornalista americano Julius Epstein e pubblicato, in due riprese, dal New York Herald Tribune il 3 e 4 luglio 1949 con le testimonianze degli Ufficiali americani prigionieri che avevano assistito alle operazioni di esumazione. Nel 1952 sarà istituita a Francoforte, nell’allora Germania Federale, una nuova Commissione d’inchiesta su Katyn ma URSS e Polonia (allora parte del blocco sovietico), sollecitate a trasmettere la documentazione, rifiutano i documenti e anche di parteciparvi con propri rappresentanti.

Nella Polonia sovietizzata del dopoguerra l’argomento è tabù: i parenti delle vittime devono accettare la verità di regime per evitare angherie e persecuzioni. I cattedratici che hanno partecipato ai lavori della Commissione nel 1943, i cui Paesi sono entrati nell’orbita sovietica, subiscono varie vicissitudini: i prof. Hajek di Praga e Markov di Sofia, pur ritrattando la loro firma sul documento conclusivo, saranno eliminati in circostanze misteriose. Stessa sorte toccherà al prof. Jurak, dell’Università di Zagabria, giustiziato nel 1945 con l’accusa di essere stato strumento della propaganda nazista per aver fatto parte della Commissione. Il prof. Buhtz dell’Università di Breslavia sarà invece fucilato dai tedeschi per l’accusa di aver partecipato alla congiura per l’attentato ad Hitler del luglio 1944 e, come tale, non sospettabile di simpatie naziste.

Ma ritorniamo alla nobile figura del prof. Vincenzo Palmieri. Egli dovrà subire, dopo la liberazione di Napoli, angherie e molestie, evidentemente ispirate da ambienti comunisti napoletani, accusato di collaborazionismo per la partecipazione alla Commissione scientifica ed aver così sostenuto la responsabilità sovietica dell’eccidio. Spesso le sue lezioni sono disturbate da studenti comunisti che inveiscono accusandolo d’indegnità. La stampa comunista dell’epoca (“L’Unità” e “La Voce”), seguendo il principio leninista di denigrazione degli oppositori, a più riprese lo accusa di essere stato servo della propaganda nazista, indegno di insegnare in un Ateneo di nobili tradizioni mettendo finanche in dubbio la sua indiscussa competenza scientifica. La propaganda comunista giunge anche a dare una spiegazione logica dell’eccidio di Katyn quale eccidio nazista rapportandolo a quello delle fosse Ardeatine.

Viene sollecitato, nei confronti del prof. Palmieri, l’intervento della Commissione di epurazione, attiva nell’immediato dopoguerra per perseguire le attività fasciste, perché l’insigne cattedratico fosse estromesso dall’insegnamento universitario definendolo ripugnante falsario che del titolo accademico si è servito per avallare una menzogna.

Il prof. Palmieri però, forte della sua onestà professionale e di una solida personalità, resiste anche a pressioni amichevoli per un allontanamento, anche in via provvisoria, dall’insegnamento. Agli indegni attacchi si limita a rispondere con una lettera pacata, che il quotidiano comunista non gli pubblica, ospitata però da “Il Popolo”, organo della Democrazia Cristiana. Ma la spiegazione scientifica non interessa ai suoi denigratori perché la verità, secondo i criteri leninisti-stalinisti, la indica esclusivamente il partito.

Non è dato sapere se, dopo le ammissioni russe del 1990 conseguenti al crollo del Comunismo e la lettura degli atti ritrovati negli archivi della Polizia segreta sovietica, la stampa comunista e gli ex studenti disturbatori abbiano sentito la sensibilità, secondo un principio etico, di una riabilitazione, seppur postuma, della nobile figura del prof. Palmieri.

Intanto la Polonia democratica non dimentica e, appena si realizza il crollo comunista nell’Europa dell’ Est, chiede, con insistenza, spiegazioni all’URSS. Sarà Gorbaciov, nell’ambito della perestrojka, a fare outing: nell’ottobre 1990, finalmente, riconosce la responsabilità sovietica del massacro di Katyn e porge le scuse ufficiali al popolo polacco senza però fornire la documentazione. Sarà il suo successore Boris Elstin, nel 1992, ad autorizzare l’apertura di parte degli archivi per la libera consultazione storica. Anche se, per cavilli burocratici, non tutti i documenti verranno declassificati, ormai l’eccidio è ufficialmente riconosciuto anche se la Russia non accetta di dichiararlo genocidio o crimine di guerra. Comunque tuttora i 2/3 dei faldoni che negli archivi russi racchiudono la verità su Katyn sono coperti dal segreto di Stato.

La vicenda avrà una fedele ricostruzione cinematografica col film “Katyn” (premio Oscar quale miglior film straniero nel 2008) del grande regista Andrzej Wajda (Oscar alla carriera nel 2000, spentosi all’età di 90 anni il 9 ottobre scorso) il cui padre, Ufficiale di Cavalleria, fu vittima dell’eccidio.

Il film, nonostante il grande pregio artistico e storico e la caduta, ormai da tempo, del Muro di Berlino, ha avuto scarsa distribuzione in Italia subendo un vero e proprio boicottaggio.

Va comunque sottolineato che il 7 aprile 2010, tre giorni prima del disastro aereo di Smolensk, si è svolta in Polonia la prima manifestazione alla presenza dei Capi di Governo dei due Paesi, riconoscimento definitivo della verità storica.

Fra le due tragedie che ha colpito la Polonia in due momenti storici diversi si rileva una drammatica analogia: come nella primavera del 1940 fu azzerata l’intellighenzia polacca, così il 10 aprile 2010 è stata eliminata, se pur in parte ed a causa di un incidente aereo, l’élite politico-istituzionale di quel martoriato Paese, vittima di quattro spartizioni ma sempre risorto per la fierezza del suo popolo.

Viene comunque da pensare che il fantasma di Stalin nell’aprile 2010, aleggiasse ancora sul cielo di Katyn : l’aereo, per tragica fatalità, è un Tupolev Tu-154M, di fabbricazione sovietica!

Giuseppe Vollono

(1^ edizione-maggio 2010) – 10 ottobre 2016

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Juve Stabia – Sudtirol arbitra Ermanno Feliciani della Sezione di Teramo. La scheda completa dell’arbitro

Giovane, talentuoso e deciso, Scopriamo la storia di Feliciani e le sue caratteristiche
Pubblicita

Ti potrebbe interessare