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Castellammare di Stabia

La guerra tra Berlusconi e Bolloré: chi vince e chi perde

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Volge alla fine la breve guerra tra Berlusconi e Bolloré, il patron di Vivendi che ha tentato di scalare Mediaset e controlla Tim con il 24 per cento delle azioni. Proprio quest’ultima pagherebbe il prezzo della pace tra i due litiganti. Ma è ora che di tutto ciò il mercato venga informato chiaramente.

Nel duello Vivendi-Mediaset a perdere è Tim

Dopo il mancato “matrimonio”, Vivendi e Mediaset sono comunque costrette a trovare un’intesa che chiuda il contenzioso. Sembra che la soluzione sia a portata di mano grazie a Tim, nell’ennesimo sopruso perpetrato dai suoi azionisti di riferimento.

Riassunto della telenovela

T

im, che è il nuovo nome di Telecom Italia, viene da una lunga storia di soprusi perpetrati dai suoi azionisti di riferimento. Il “triangolo” nel quale è ora messa in mezzo – fra la francese Vivendi e Mediaset, entrambe produttrici di contenuti e in lite sul loro matrimonio saltato – non la disturberà poi troppo; ne ha già viste tante.

Augusto Preta ha illustrato su lavoce.info diversi aspetti della telenovela, che qui si riassume solo per lo stretto necessario e sulla sola base delle notizie disponibili al pubblico sui mezzi di comunicazione. Il raider bretone Vincent Bolloré, tramite Vivendi, con poco meno del 24 per cento del capitale, ha il controllo di fatto di Tim, ove nomina la grande maggioranza degli amministratori, il presidente e l’amministratore delegato; forse perché considera l’Italia una colonia, ha avuto l’improntitudine di sostenere di non avere il controllo di Tim. In ciò seguendo le orme di suoi predecessori, tutti spaventati dell’idea di dover consolidare il debito di Tim nei propri conti. Vivendi ha da poco sostituito l’amministratore delegato Flavio Cattaneo (uscito dopo solo un anno con la iperbolica liquidazione prevista da un accordo a dir poco avventato) con un uomo di sua fiducia, Amos Genish.

Bolloré aveva anche concordato con il gruppo Berlusconi una partecipazione incrociata; in base all’accordo, Vivendi avrebbe aiutato il gruppo a finanziare l’operazione acquistando Mediaset Premium, iniziativa mai decollata economicamente. Poco prima della data di esecuzione dei contratti, però, i francesi eccepivano di essere stati tenuti all’oscuro del reale andamento di Premium, rifiutandone l’acquisto.

Il gruppo francese ha intanto costruito una quota di poco inferiore al 29 per cento in Mediaset, senza l’accordo e anzi in contrasto con il gruppo Fininvest, che ne ha il controllo con il 40 per cento circa. Una successiva sentenza dell’Agcom ha accertato che le due partecipazioni di Vivendi (in Tim e in Mediaset) vìolano alcune norme sulla concorrenza; l’Agcom ha quindi congelato il diritto di voto sulla quota in Mediaset eccedente il 10 per cento, dando a Vivendi un anno per smontare una delle due posizioni.

Una pedina di scambio

Nel frattempo, Mediaset ha convocato un’assemblea per aumentare i poteri di nomina dei propri amministratori in capo alla maggioranza (Fininvest), in funzione di contrasto a Vivendi. A sua volta la società francese cerca di fermare le iniziative legali assunte da Fininvest/Mediaset contro di lei, nonché le modifiche statutarie; e pare interessata nel lungo termine più a Tim, che controlla, rispetto a Mediaset, ove incontra un efficace fuoco di sbarramento. I francesi han dunque due partite aperte con il gruppo Berlusconi: una sul mancato acquisto di Mediaset Premium, l’altra su come vendere, o almeno ridurre parecchio, la partecipazione in Mediaset. Sono dunque costretti dalle circostanze a un accordo, per il quale Tim fa un gran comodo. È la parte debole – oggetto del contendere e pedina di scambio – nel confronto fra Vivendi e il gruppo Berlusconi.

Ora sulla stampa si legge che Tim ha approvato, senza l’assenso di diversi consiglieri indipendenti, quindi solo a maggioranza, un accordo per acquistare da Mediaset alcuni contenuti. In una precedente stesura, l’acquisto avrebbe dovuto farlo una joint venture fra Tim e Canal+ (gruppo Vivendi). Il timore che una simile intesa, in quanto fra parti correlate, dovesse passare sotto le forche caudine di un esame più approfondito, pare abbia indotto ad accollarlo direttamente a Tim. L’accorgimento non muta la sostanza di un accordo fra Vivendi e Fininvest, del quale la povera Tim, che figura come soggetto, è invece l’oggetto.

Tanto più che apprendiamo, sempre dalla stampa, che la chiusura del contenzioso sul mancato acquisto di Mediaset Premium sarebbe bell’e pronta; manca solo la decisione di Tim di ingurgitare la medicina (i contenuti Mediaset) che i due contendenti le hanno prescritto. Appena firmato l’accordo, sarebbero chiuse entrambe le partite: sia il contenzioso su Mediaset Premium, sia quello sull’uscita di Vivendi da Mediaset.

Queste sono solo supposizioni, pur se i fatti sopra allineati che emergono dai resoconti di stampa le fanno ritenere fondate. Se invece non lo sono, una comunicazione chiara dovrebbe smontarle. È augurabile che ciò accada, ma non basterà far riferimento a una sfilza di adempimenti formali debitamente osservati. È la sostanza che conta.

SALVATORE BRAGANTINI – Attualmente è vice presidente di Banca Popolare di Vicenza, amministratore indipendente di Sea, Società esercizi Aeroportuali SpA, che gestisce gli aeroporti di Linate, nonché della Università degli Studi di Milano (“La Statale”). Già direttore generale di Arca Merchant, poi commissario Consob; in questa veste ha partecipato alla “Commissione Draghi” che ha preparato il Testo Unico della Finanza, divenuto legge nel 1998. È poi stato amministratore delegato di Centrobanca. Fino al 30 giugno 2016 ha fatto parte del Securities Market Stakeholder Group che assiste l’Esma – European Securities Markets Authority – nelle misure di attuazione delle direttive dell’Unione Europea. E’ editorialista del Corriere della Sera dal 1994. 

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