La rinascita alla prova della giustizia
I
l clima di umana e attiva solidarietà e di civile convergenza politica che s’è stabilito (con qualche inevitabile eccezione) dopo il terremoto ad Amatrice e nel Centro Italia non dovrebbe impedire qualche più approfondita riflessione su questo genere di calamità naturali, che in Italia purtroppo si verificano assai spesso, dando luogo a conseguenze che non sono affatto inevitabili, ed anzi potrebbero essere previste e arginate per tempo. La storia di quasi mezzo secolo, dal Belice (1968) in poi, ma anche di più di un secolo, da Messina (1908), ci ha impartito severe lezioni che vengono sistematicamente dimenticate o contraddette di volta in volta, aggravando le sofferenze delle vittime dirette di crolli e distruzioni.
Lasciamo pure stare, se vogliamo, per restare ad esempi più recenti, l’esperienza del Belice, in cui uno Stato assolutamente impreparato, che non conosceva neppure il significato della parola «protezione civile», impiegò alcuni giorni prima di raggiungere i paesi colpiti, e alcuni anni per montare baracche e alloggi prefabbricati in cui almeno un paio di generazioni di superstiti fecero in tempo a nascere e a crescere prima della ricostruzione, rimasta incompleta per oltre trent’anni.
E tralasciamo anche, sempre per evitare forzature di ragionamento, l’esempio del Friuli, dove all’opposto una popolazione preventivamente sfiduciata dalla sorte subita dai compagni di sventura siciliani, non indugiò a rimboccarsi le maniche dall’indomani del sisma, e animata da un sentimento che oggi si definirebbe antipolitico, preferì far da sé, coadiuvata da un irregolare democristiano d’altri tempi come il ministro Zamberletti e dalla sua task-force di generali in pensione che agivano di propria iniziativa, a dispetto di qualsiasi direttiva romana, ma riuscendo così a rimettere su case e palazzi distrutti nel tempo sorprendente di un paio d’anni.
Quattro anni dopo in Irpinia (1980), nella notte che sollevò l’indignazione del presidente-cittadino Pertini e in cui i soccorritori scoprirono che non esistevano carte geografiche della zona colpita, tanto da dover usare quelle per escursionisti del Touring Club, sulla pelle degli oltre duemila morti, sepolti dalle macerie di paesi-presepio di impianto medioevale, si apriva uno dei più duri scontri tra una classe dirigente politica – il fior fiore dell’allora gruppo dirigente Dc, da De Mita a Gava – decisa a capovolgere gli esempi negativi del passato, riversando un flusso enorme di denaro pubblico nelle zone colpite e magari allargando i confini dell’intervento, e una magistratura che vedeva in tutto ciò una formidabile occasione per le organizzazioni criminali che volevano approfittarne. Tra i magistrati che con maggiore sforzo si impegnarono in quest’opera di bonifica, preventiva e successiva al contempo, c’era l’attuale procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, allora giovane giudice istruttore a Sant’Angelo dei Lombardi, uno dei centri rasi al suolo dalle scosse, ed oggi, non a caso in prima fila nell’esprimere timori che anche il terremoto di Amatrice possa fornire tentazioni all’affarismo mafioso. Di qui appunto il suo attuale e formale avvertimento all’altro importante magistrato, il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone, incaricato dal governo di sorvegliare la distribuzione dei primi aiuti e l’avvio delle iniziative più urgenti, con il conseguente impiego di danaro pubblico e privato.
Ora, che un lavoro del genere sia necessario oltre che benemerito, viste le esperienze del passato più recente, basti pensare anche all’Umbria (1997) e a L’Aquila (2009), non ci sono dubbi. Ma è un fatto che l’urgenza dei soccorsi e la necessità di passare subito dalle parole ai fatti imponga procedure semplificate e corsie preferenziali, come del resto è avvenuto in passato con l’approvazione di leggi speciali e iniziative specifiche, che richiedono scadenze abbreviate approcci commisurati ai problemi delle realtà colpite. Attrezzarsi per evitare che da queste congiunture possano generare episodi di malversazione è giustissimo. Ma mettere le mani avanti, prima ancora che si mettano all’opera le persone scelte dal governo per il compito difficile di evitare un autunno e un inverno all’addiaccio ai terremotati d’agosto, potrebbe rivelarsi eccessivo, rallentando un lavoro che richiede necessariamente tempi stretti e creando le premesse per un ennesimo, quanto improvvido, al momento, scontro tra politica e magistratura. Che se invece dovesse verificarsi, renderebbe impossibile da mantenere la promessa di Renzi – già di suo un po’ avventata – di smontare le tende e dare ai senza casa un tetto, ancorché provvisorio, entro un mese.
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lastampa/La rinascita alla prova della giustizia MARCELLO SORGI
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