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Castellammare di Stabia

Istruttori italiani in Libia: da Kurdistan al Tripolitania

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L’Italia ammette di avere forze speciali in Libia. La missione è stata decisa dal premier Renzi con un obiettivo preciso: aiutare le milizie locali contro l’Isis. I nostri uomini le addestrano a sminare e ad evitare i cecchini ma non svolgono missioni di combattimento. E’ quanto emerge dall’articolo di Francesca Schianchi pubblicato oggi su la Stampa. Ed è questa la notizia che commenta Giuseppe Cucchi nel suo editoriale odierno pubblicato su la Stampa e che proponiamo alla vostra attenzione.

Gli sminatori dal Kurdistan alla Tripolitania GIUSEPPE CUCCHI

N

on c’è da meravigliarsi se le forze di Misurata hanno stentato a completare la conquista di Sirte, procedendo a rilento nella avanzata malgrado l’appoggio di fuoco fornito loro dalla aeronautica americana. Stanare combattenti decisi a vendere cara la pelle arroccati fra cumuli di macerie è sempre stato particolarmente duro. Nella seconda guerra mondiale per prendere Montecassino presidiata dai paracadutisti tedeschi i bombardamenti non furono sufficienti.

E gli alleati prevalsero soltanto allorché mandarono all’attacco i marocchini del generale Juin, sperimentati soldati di fanteria – Boots on the ground! – che combattevano con il pugnale alla mano. Nel caso di Sirte poi la presenza di numerosi civili nell’area ancora tenuta dall’Isis ha costretto gli americani ad utilizzare una particolare cautela per evitare quanto più possibile i cosiddetti «danni collaterali». L’intervento aereo, così condizionato, ha finito quindi col divenire pressoché inutile, sempre che non si consideri l’impatto psicologico che esso ha certamente avuto su entrambi i contendenti. C’è da tener presente poi come le forze residue dell’Isis fossero composte da personale che ben sapeva di aver perduta la battaglia per la Libia e che si vedeva preclusa ogni via di fuga. In simili condizioni la sua massima aspirazione era rimasta quella di vendere molto cara la pelle prima di cadere sotto il fuoco nemico. Un compito che i combattenti del Califfato hanno svolto sino all’ultimo molto bene, con un efficacissimo e costante ricorso a cecchini, a mine e ad ordigni esplosivi improvvisati, gli Improvised Explosive Devices – Ied in acronimo – della terminologia ufficiale Nato. Per un attimo lo scontro ha persino rischiato di divenire impari, con la prevalenza in numero delle milizie di Misurata abbondantemente compensata dal fatto che esse sembravano avere ormai raggiunto il limite di perdite che i combattenti e l’intera città potevano tollerare. Perché i misuratini riuscissero a questo punto a progredire ulteriormente ed a completare l’operazione iniziata occorreva evidentemente che i loro reparti effettuassero un deciso salto di qualità, tanto nel campo dell’equipaggiamento quanto in quello dell’addestramento. In sostegno ai combattenti di Misurata sono così intervenuti, con funzioni essenzialmente addestrative, contingenti di forze speciali di vari paesi dell’Occidente.

E’ inutile e probabilmente anche dannoso chiedersi ora, anche se Sirte sembra definitivamente caduta, a quali Stati essi appartenessero, ove fossero dislocati e quali fossero i precisi confini della loro azione. Le imprese delle forze speciali si raccontano soltanto dopo, allorché si è sicuri che l’azione è definitivamente conclusa, e non prima o durante, allorché ogni indiscrezione può danneggiare gli uomini sul terreno. E del resto tutti i governi, il nostro compreso, dispongono di norma di strumenti di legge che consentono loro di mantenere segreto per un certo periodo quanto sta accadendo. A questo punto dunque sarà sufficiente sottolineare come sia elevata la capacità delle forze armate italiane di fornire un altissimo livello di addestramento a combattenti stranieri magari valorosi e sperimentati individualmente ma privi di qualsiasi esperienza di azioni di reparto. Inquadrati nell’ambito della Nato abbiamo contribuito a formare le forze armate e la polizia afghane ed ancora rimaniamo con un forte contingente di addestratori in quel martoriato paese. In Mali facciamo parte della forza europea che provvede all’addestramento dei locali reparti. Il nostro fiore all’occhiello rimane in ogni caso in questo momento la missione che manteniamo ad Erbil, in Iraq e che nel tempo ha formato circa la metà dei peshmerga curdi che ora combattono con successo contro l’Isis in quel paese. Soprattutto nel campo delle mine, degli Ied e delle cosiddette «Booby Traps» – le trappole esplosive allestite per «gli ingenui» – la nostra lunga esperienza potrebbe aver avuto modo di rivelarsi particolarmente preziosa. In merito c’è da ricordare come, pur avendo ratificato la Convenzione di Ottawa del 1997 per la messa al bando delle mine antiuomo, l’Italia abbia dovuto costantemente confrontarsi con il problema ogni volta che ha inviato un contingente di pace su un fronte che era stato sino al giorno prima un fronte caldo. Abbiamo così elaborato tecniche e preparato specialisti, sviluppando una competenza che ci è universalmente riconosciuta.

Le Nazioni Unite ci convocarono, insieme ad Usa e Germania, per gestire la Operazione Salaam con cui a Quetta, in Pakistan, dal 1998 al 2000, insegnammo ai profughi afghani alla vigilia del rientro in patria dopo il ritiro russo come muoversi con sicurezza in un paese costellato da residui esplosivi. Nel 2006 poi, al termine della cosiddetta terza guerra israelo-palestinese, fummo noi che ripulimmo dalle decine di migliaia di bombette e piccole mine inesplose tutto il territorio libanese ove dovevano operare le forze Onu. Potremmo dunque essere risultati molto, molto utili nell’aiutare le forze di Misurata, instradandole sulla via del successo. Contribuendo così anche alla affermazione di quel governo Sarraj installato a Tripoli che ancora stenta a consolidarsi come governo unico della Libia ed a cui abbiamo promesso tutto il nostro appoggio per porlo in condizione di colmare rapidamente i gap nei settori fondamentali per il suo successo.

È ancora comunque molto presto per gioire delle notizie positive che iniziano a giungere da Sirte. Imponiamoci quindi una ragionata calma e ricordiamoci magari ancora una volta che è soltanto dopo la sicura conclusione di una azione, non mentre essa è ancora in corso e gli esiti non sono ancora sicuri, che si raccontano le imprese delle forze speciali!

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