In Sicilia ristoratori ed esercenti shanno messo in campo manifestazioni di protesta affinché, sempre con le dovute regole anti-covid, si permetta la riapertura dei locali, poiché, come ha detto un ristoratore “con seicento euro di sostegno non si sfama una famiglia con due figli e si pagano le bollette”.
Una manifestazione si è svolta questa mattina a Caltanissetta davanti Palazzo del Carmine: ristoratori, parrucchieri, titolari di negozi, hanno esposto al sindaco Roberto Gambino e agli assessori i loro problemi dovuti alla pandemia proponendo alcune soluzioni e chiedendo di farsi portavoce con le istituzioni regionali e nazionali.
“Chiediamo – dice Michele Tornatore, ristoratore – che vengano eliminate le zone a colori (gialle, arancioni e rosse) perché se siamo ancora a parlare di contagi evidentemente qualcosa non ha funzionato”. Caltanissetta è zona rossa da più di un mese.
“Gli ultimi aiuti sono stati dati in relazione al fatturato – dice Liborio Di Buono, proprietario di un negozio di arredamento – ed è una cosa assurda perché il fatturato è la somma di scontrini e fatture emessi in un anno. Ma io potrei emetterli non guadagnando una lira e solo per fare cassa. Ciò vuol dire che magari svendo la merce che ho, non guadagno, ma lo faccio per poter pagare fornitori e utenze. La soluzione non la possiamo dare noi. Non so se per esempio alcuni capitoli del bilancio possono essere spostati per aiutare noi. Mi viene da pensare alle somme che sarebbe dovute servire per la Settimana Santa e che non saranno utilizzate. Noi abbiamo coinvolto il sindaco come portavoce politico, perché i nostri tempi non sono quelli della politica. Io il problema ce l’ho oggi”.
A Catania una folla di oltre cinquecento persone ha manifestato stamattina in piazza Stesicoro. Un evento, organizzato dal comitato Ristoratori Siciliani Indipendenti, a cui hanno preso parte imprenditori provenienti da tutta l’Isola tra cui dall’hinterland etneo e da Ragusa, Siracusa e Messina.
“Dobbiamo andare a Roma per farci sentire davanti al Governo- spiega il portavoce del comitato Ristoratori Siciliani Indipendenti e leader dei pubblici esercizi di Catania Roberto Tudisco – viviamo un incubo cominciato circa un anno fa. In quest’arco di tempo abbiamo lavorato appena 4 mesi malissimo a causa di un continuo cambio tra zona gialla, arancione e rossa. Un gioco di colori che ha messo letteralmente in ginocchio l’intero comparto della ristorazione.
Oggi – aggiunge Tudisco – circa il 30% di noi ha chiuso per sempre la propria attività e se il Governo continua imperterrito a prendere queste decisioni scellerate, presto tutti abbasseremo la saracinesca definitivamente”.
A Catania hanno protestato per l’analogo motivo gli ambulanti sulla tangenziale in direzione Siracusa, dove stamattina dalle 8 si è svolto un presidio organizzato, all’altezza dello svincolo di Gravina di Catania, dalle associazioni di categoria dei venditori ambulanti: Fenailp e Fiva Confcommercio, per chiedere la riapertura regolare del commercio su aree pubbliche, mercati delle sagre e fiere nel rispetto delle regole anti-covid.
“Non avendo avuto risposte concrete dal governo abbiamo deciso di farci sentire noi – afferma Sebastiano Coco, responsabile della categoria degli ambulanti – perché i ristori promessi non sono arrivati e quel poco di denaro che ci è stato concesso assomiglia ad una elemosina“.
“Chiediamo che il nostro comparto venga rimesso nelle condizioni di lavorare – prosegue Coco – considerato che i nostri ambulanti svolgono la propria attività all’aperto. Certamente noi saremo i primi da utilizzare tutti gli accorgimenti per evitare contagi. Oggi la nostra categoria è in ginocchio: gli ambulanti sono al collasso totale. Il comparto del commercio ha operato con un grande controsenso: agli ambulanti che lavorano per strada all’aria aperta è stato vietato di lavorare, mentre chi ha operato al chiuso nei supermercati ha ottenuto la possibilità di farlo. Vogliamo far sentire la nostra voce a Roma“.
Venerdì prossimo, 23 aprile, a partire dalle 10, ci sarà anche un un flash mob a Santa Croce Camerina in provincia di Ragusa, in un luogo simbolo: il terrazzo del commissario Montalbano, a Punta secca. È stata l’iniziativa di un gruppo di ristoratori siciliani che erano già stati in piazza a protestare il 7 aprile scorso. Una protesta organizzata da Co.Ri.Sicilia, il movimento che si è costituito per rappresentare le istanze degli operatori del settore.
“Non possiamo fermarci – spiega il presidente Raffaele Fiaccavento – il comparto è al collasso. Il Governo parla di riaperture, ma a quali condizioni? Appena riapriremo i nostri locali avremo le tasse da pagare, i contributi previdenziali, i tributi comunali e statali. Dovremo pagare gli affitti e chi non l’ha fatto in questi mesi rischia lo sfratto. Pare che il Governo non voglia più prolungare la moratoria sui mutui. Per riprendere l’attività e fare gli acquisti servono soldi e noi non li abbiamo: in 14 mesi di stop abbiamo dato fondo alle nostre risorse”.
“Abbiamo scelto i luoghi di Montalbano perché hanno un forte contenuto simbolico – aggiunge Giuseppe Fiaccavento, responsabile dei ristoratori di Santa Croce Camerina (RG) – creeremo tante postazioni simboliche, ‘allegoria’ di quel lavoro che era il nostro fino a 14 mesi e che ora non abbiamo più. Concluderemo in modo forte, consegnando simbolicamente le nostre Partite Iva: lo faremo sul terrazzo della casa di Montalbano, luogo simbolo della cultura e del turismo di questa zona della Sicilia. E non ci fermiamo: vogliamo incontrare a Palermo il presidente della Regione, Nello Musumeci. Chiediamo che il governo dell’isola si faccia carico delle difficoltà atroci di un settore che è trainante per l’economia della Sicilia e che, in questa crisi, sta pagando un prezzo più altro degli altri”.
L
’OPINIONE.
Dispiace per i nostri ristoratori, esercenti, piccoli imprenditori e ambulanti. A chi a fine mese arriva in banca (milioni di garantiti nel sistema pubblico) il sufficiente, tranquillo, sereno, sicuro e spesso anche lauto, stipendio o pensione, non può capire la quotidiana vita sacrificata che hanno molti di questi lavoratori privati, a volte persino dovendo trascurare la famiglia, la propria esistenza, i legittimi desideri, le umane aspettative, di contro inseguiti il più delle volte da debiti, tasse, imposte, sanzioni, lavorando anche 12 ore e più al giorno e dopo aver finito si devono preoccupare dei conti, commercialista, avvocati, estorsori legalizzati, delinquenti, mafiosi, ecc.
Però da queste pagine si è anche sostenuto che gli esercenti, i ristoratori, gli ambulanti, le partite iva, i piccoli imprenditori, gli artigiani, insomma tutti coloro che hanno un’attività privata e operano nella legalità, devono trovare dei punti comuni per unirsi nella lotta: non solo contro la criminalità organizzata, di quartiere e persino di condomini; ma anche devono confluire in un sola federazione (realmente) indipendente nella quale si uniscono le rispettive categorie, contro l’annosa tronfiaggine del trasversale sistema politico-istituzionale-giuridico-burocratico, il quale attraverso le proprie leggi, giurisprudenza e circolari, si fa (stra)mantenere con tasse e imposte, trattando i privati operosi, produttivi, lavoratori e proprietari, come fossero dei buoi per dare solo latte carni e pelli all’arrogante ingordo sistema.
Purtroppo certa endemica cultura individualista e anacronistica, specialmente in Sicilia, tanto più in coloro che hanno attività private, di solito diffidenti seppure non a torto in questa Nazione, consente al sistema di dominare costituzionalmente in modo incontrastato insieme alle proprie innumerevoli pletore di codazzi (uomini e donne), profittatori e mercanti di concittadini.
Dividi et impera (una locuzione latina secondo cui il migliore espediente di una tirannide o di un’autorità qualsiasi per controllare e governare un popolo è dividerlo, provocando rivalità e fomentando discordie): L’Italia e la Sicilia.
Uniti si vince (gli antichi romani sapevano che uniti si vince. Quando l’esercito si trovava a combattere una battaglia, la prima mossa consisteva in un lancio serrato di giavellotti sui nemici.
Questo danneggiava gli avversari e soprattutto, costringeva i fanti nemici ad allontanarsi gli uni dagli altri, indebolendoli.
La fanteria romana, al contrario, restava unita. I romani, insomma, sapendo bene che uniti si vince, usavano l’unione per combattere e la separazione per sconfiggere. Il loro motto, non a caso, era Divide et impera che letteralmente significa dividi e comanda).
La storia insegna che i potenti, i regnanti, i politici, gli istituzionali, i burocrati, sono sempre stati consapevoli del fatto che l’unione fa la forza.
Proprio per questo motivo, al fine di mantenere i loro privilegi, hanno spesso usato diversi sistemi di separazione tra il popolo, anche con favoritismi o penalizzazioni, per appartenenza, estrazione o categoria.
È un modo infallibile per rendere la gente meno coesa, in conflitto tra essa e quindi, più debole e manipolabile.
Senza una seria unione, consapevole, preparata, autonoma da tutta la politica quanto altrettanto trasparente, i commercianti, gli artigiani, i piccoli imprenditori, gli ambulanti, i piccoli proprietari, saranno sempre e solo ostaggio nonché un bancomat di gabelle per la decennale innumerevole schiera di smodati pubblicani che regna legalmente nello Stato, Regioni, Enti e Comuni.
Almeno fino a che ci sarà umani e soldi da spolpare. Poi, parafrasando l’Inno inglese: Dio salvi i comuni cittadini dalla penuria, da un regime e dalle mafie.