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Castellammare di Stabia

Il parere della Corte dei Conti su MESSINASERVIZIbenecomune richiesto dal Sindaco

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Il parere inerente la Deliberazione n.2017/2018/PAR della Corte dei Conti siciliana nella Camera di consiglio del 21 dicembre 2018.

Nella giornata di ieri si erano riportate in un articoloA Messina, rifiuti ai privati. Ma non sempre è un vantaggio per i contribuenti” le dichiarazioni del sindaco di Messina Cateno De Luca, dell’Associazione politica Capitale Messina, del movimento politico Cambiamo Messina dal Basso e delle segreterie generali provinciali dei sindacati GGIL e UIL, in merito al parere reso dalla Corte dei Conti sulla messa in liquidazione di MESSINASERVIZI bene comune, che si è occupata fino adesso della raccolta rifiuti in città e che, dovrebbe adesso essere forzosamente sostituita da società private per almeno cinque anni. Sulle società pubbliche e private si era in calce detta una più generica opinione.

Ci è pervenuta nel frattempo la suddetta Deliberazione della Corte dei Conti per la Regione Siciliana, di cui qui di seguito si trascrivono alcune parti e in calce si riporta integralmente.

<<… vista la richiesta di parere inoltrata dal Comune di Messina, con nota n.320776 del 27.11.2018 … DELIBERAZIONE: Il Sindaco del Comune di Messina ha chiesto a questa Sezione di pronunciarsi in merito alla corretta interpretazione del comma 6 dell’art. 14 del decreto legislativo n. 175 del 2016, con particolare riferimento al profilo del mantenimento delle partecipazioni nelle società di nuova costituzione, affidatarie degli stessi servizi di quelle sottoposte al fallimento.

Nello specifico, ha riferito che, con deliberazione del Consiglio comunale n 16/C del 13 febbraio 2017, era stata approvata la costituzione della società per azioni in house “MessinaServizi Bene Comune”, partecipata al cento per cento, per la gestione dei servizi di spazzamento, raccolta e trasporti di cui al Piano di Intervento approvato dal Dipartimento Regionale dell’Acqua e dei Rifiuti con D.D.G. n S90 del 7 maggio 2018. Il contratto di servizio, avente durata novennale, veniva poi sottoscritto il 27 luglio 2017.

Successivamente, con la sentenza del Tribunale di Messina n. 45/18 del 14 novembre 2018, è stato dichiarato il fallimento delia società in house providing “MessinAmbiente” s.p.a., partecipata nella misura del 99,01 per cento, alla quale erano precedentemente affidati gli stessi servizi oggi gestiti dalla MessinaServizi Bene Comune s.p.a.

P

ertanto, il Sindaco ha chiesto se il comma 6 dell’art. 14 del decreto legislativo n. 17S del 2016 sia applicabile al Comune di Messina, “nella parte in cui impone il divieto all’amministrazione pubblica di mantenere partecipazioni in società, qualora le stesse gestiscano i medesimi servizi di quella dichiarata fallita”, “con riferimento al divieto di mantenere le proprie partecipazioni nella società MessinaServizi Bene Comune s.p.a., in atto affidataria dei medesimi servizi di quella dichiarata fallita”.

La richiesta è ammissibile sotto il profilo soggettivo, giacché proviene dal Sindaco, legale rappresentante dell’Ente ai sensi dell’art. SO del T.U.E.L.

E’ altresì ammissibile sotto il profilo oggettivo, in quanto presenta profili di carattere generale, non interferisce con le competenze degli altri organi giurisdizionali rientra nella materia delia contabilità pubblica, giacché attiene al contenimento e all’equilibrio della spesa pubblica, in relazione alle norme che disciplinano la gestione delle partecipazioni nelle società in house […].

Come va rilevato da questa Sezione di controllo, con la Deliberazione n. 143/2017/PAR del 21 luglio 2017, la norma si colloca all’interno della disciplina più generale delle “crisi di impresa delle società a partecipazione pubblica” e, in relazione alla fase successiva al monitoraggio ed alia prevenzione delle crisi aziendali, prevede l’obbligo per l’ente di ricorrere al mercato, una volta che sia verificato il “fallimento dell’intervento pubblico”, inibendo la possibilità stessa di costituire o mantenere partecipazioni societarie operanti nell’ambito degli stessi settori di attività, già gestiti dalle società partecipate assoggettate a procedura concorsuale.

Il divieto opera in modo perentorio e prescinde dalla formale determinazione dell’Ente in sede di ricognizione delle partecipazioni, di cui all’art. 24 dello stesso T.U. Si tratta, invero, di una disciplina a contenuto pubblicistico e sanzionatorio, che impone all’amministrazione di dismettere la veste di imprenditore pubblico e di procedere all’esternalizzazione del servizio, in conseguenza dell’insuccesso della formula societaria quale modulo organizzatorio di intervento diretto, comprovato dalla dichiarazione dello  stato di insolvenza del soggetto partecipato. In definitiva, il “fallimento” dell’intervento pubblico è “sanzionato” con l’obbligo di ricorrere al mercato. L’amministrazione pubblica non potrà più assumere (almeno per cinque anni) l’organizzazione e la gestione del servizio attraverso la partecipazione a una società c.c. In house (ossia suscettibile di un controllo analogo a quello svolto nei confronti dei propri organi interni): dovrà, pertanto, ricorrere al mercato, avendo cura di esercitare le imprescindibili istanze di governance, ossia di coltivare gli interessi pubblici sottesi al servizio esternalizzato attraverso l’esercizio del controllo c.d. contrattuale sull’attività affidata e sul servizio erogato dal soggetto esterno affidatario […]>>.

L’opinione.

Normativa dell’ultimo Governo nazionale di centrosinistra. In definitiva, come al solito da decenni, alla fine pagano i contribuenti, ossia i buoi-cittadini, come sono in modo dissimulato visti gli italiani dalla trasversale e ipocrita politica di sempre. Almeno fino adesso.

Adduso Sebastiano

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